Vediamo di tirare qualche somma da questa estate che sta finendo. Non parlerò né del tempo piovoso né dell’affare Polanski: ma anche tralasciando questi temi, è stata un’estate tutt’altro che piacevole. Già si era annunciata male ad inizio giugno con il clamore propagandistico e bellicista della commemorazione del D-Day, lo sbarco in Normandia. Tutto per fare credere, soprattutto alle generazioni più giovani, che fu questo, e non invece, come mostra la verità storica, la battaglia di Stalingrado lo scontro che cambiò la storia della seconda guerra mondiale. Ma tant’è: in questo clima di scatenata propaganda anti-russa, tutto fa brodo.


E veniamo dunque all’Ucraina: situazione complessa, ogni giudizio sommario, come quando i nostri media addossano tutta la colpa a Putin, rischia quindi di essere sbagliato. In Ucraina convivono due realtà molto diverse: quella che confina con la Polonia, filooccidentale, l’altra con una popolazione a maggioranza di cultura e di idioma russi. Il cuore di questa parte orientale è il Donbass, dove sin dai tempi dell’Unione Sovietica dominano le industrie minerarie e siderurgiche e quindi una fortissima componente sindacal-comunista. Quando il nuovo governo di Kiev, infarcito di elementi di estrema destra, ha proibito l’uso della lingua russa (che cosa capiterebbe in Svizzera se il Consiglio Federale proibisse l’uso del francese?) non ci poteva che essere la rivolta. È ora da settimane che il governo di Kiev rifiuta ogni armistizio, perché non intende dare una benché minima autonomia a questa parte del paese. A soffrirne maggiormente è la popolazione civile, ormai bombardata quotidianamente. Ma di questo i nostri media non parlano, come quasi non hanno parlato quando ad Odessa i nazi-fascisti hanno bruciato vivi 52 compagni sindacalisti nella Casa del Popolo. E non mi si venga a dire che causa di tutto è stato il referendum in Crimea: la penisola, storicamente russa, era stata amministrativamente ceduta da Kruscev all’Ucraina, quando i due paesi facevano parte della stessa nazione, l’Unione Sovietica.Come se domani si decidesse, per esempio, di annettere la Mesolcina al Ticino. Ma per giustificare l’estensione della NATO ad est, con l’accerchiamento completo della Russia, bisogna che Putin diventi l’incarnazione del male.


Ancora di più mi ha sconvolto durante l’estate il massacro di oltre 2.000 persone, in gran parte civili, perpetrato da Israele con il suo attacco alla Striscia di Gaza. Per i sepolcri imbiancati, soprattutto americani, si è trattato di “una risposta al lancio di missili da parte di Hamas”, lancio che, fino a prova contraria, non ha quasi provocato vittime. E che cosa dovrebbero fare i due milioni di palestinesi, che da quasi 10 anni vivono in quella prigione a cielo aperto che è la Striscia di Gaza, da cui non possono né entrare né uscire e dove, come ho potuto constatare di persona, ci sono una povertà, una disoccupazione e una mancanza di prospettive spaventose?

 

Come ho già avuto occasione di dire, essendo obbligato a vivere in simili condizioni disumane, diventerei anche io un combattente. E sarebbe ora che anche la RSI la smetta di parlare di attacchi terroristici quando Hamas lancia qualche missile, mentre nel caso di Israele si tratta sempre di azioni militari, anche quando è evidente anche per un orbo, che a Gaza ogni colpo d’obice non può che mettere in pericolo la vita dei civili, che vivono accatastati uno sull’altro. La pace, e probabilmente anche un armistizio duraturo, ci potrà essere solo se Israele toglie l’assedio che soffoca Gaza e ritira le sue forze dai Territori occupati militarmente da ormai quasi 50 anni.
Ma che c’entra, per finire, la cagnara contro Bertoli, con queste tragedie di portata biblica? Nessun paragone, naturalmente. Ma ne parlo perché sono convinto che la forma mentis di chi lancia questi insulti e queste minacce non è molto differente da quella di coloro che stanno provocando disastri giganteschi in giro per il mondo. È forse giunto quindi il momento di affrontare questa gentaglia a muso duro.

Pubblicato il 

10.09.14

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