A Ginevra il divieto di manifestare – decretato il 5 giugno – è stato mantenuto (1). Il governo cantonale non ha revocato l’interdizione, anche se la protesta di piazza del 6 giugno (cui fa direttamente menzione il divieto) è stata annullata e nessun appello è stato indetto per i prossimi giorni. È stata la ministra liberale Micheline Spoerri, responsabile del dicastero di giustizia e polizia, a volere questa misura, attirandosi le critiche degli avversari ma anche degli amici politici. «Sproporzionata», ha sentenziato l’avvocato ginevrino Charles Poncet, ex consigliere nazionale liberale, e anima giuridica del partito. I ranghi della formazione politica più votata del cantone rimangono divisi tra chi ha richiesto il divieto generale di manifestare durante il G8 e chi ha, invece, posto cieca fiducia nell’azione della polizia. In entrambi i fronti il partito si è dovuto rassegnare. La marcia dei centomila, il primo giugno, è stata autorizzata contro il parere dei liberali, mentre le forze dell’ordine non sono state all’altezza del compito lasciando la città in mano ai teppisti, prima e dopo la manifestazione. Così, convocando la stampa all’indomani del vertice di Evian, il partito liberale ha dato ragione a chi ha voluto vietare ogni forma di assembramento – «visto cosa è successo il primo giugno» – e ha messo l’inefficienza della polizia sul conto delle divisioni interne al governo. «Niente è stato fatto per agevolare il lavoro della ministra Spoerri», ha dichiarato Olivier Jornot, presidente del partito, alludendo all’intervento del ministro socialista dell’istruzione pubblica Charles Beer, che si è opposto al blocco – decretato da Micheline Spoerri – di alcune centinaia di manifestanti pacifici per diverse ore sul pont du Mont Blanc a Ginevra. La formazione liberale è stata l’unica ad aver fatto sentire una voce politica dopo gli avvenimenti che hanno scosso il cantone. Gli altri partiti, invece, tacciono inspiegabilmente, eccetto l’Unione democratica di centro che ha richiesto le dimissioni, in blocco, del governo cantonale. Sul pugno di ferro che Micheline Spoerri ha agitato sugli organizzatori della marcia dei centomila è calato il silenzio. Eppure alcuni deputati della sinistra avevano chiesto le dimissioni della consigliera di Stato, bocciando la politica della “tolleranza zero” imposta dalla ministra liberale. Altri si interrogano, invece, sul comportamento della polizia. Un’interpellanza è stata deposta, giovedì 5 giugno, al parlamento cantonale, dall’Alleanza di sinistra, chiedendo perché le forze dell’ordine non sono intervenute già sabato sera, alla vigilia della grande manifestazione, per impedire le depredazioni. Ma, sulla richiesta di dimissioni, è bastato il secco rifiuto della “dama di ferro” ginevrina per sgonfiare la bolla della crisi politica. Dal canto loro i Verdi hanno preso le distanze dagli organizzatori delle giornate altermondialiste, riuniti nel Forum sociale lemanico, che avevano domandato la testa della ministra liberale. Gli ambientalisti vogliono dapprima valutare il quadro generale degli avvenimenti e, poi, indicare le responsabilità politiche. A fronte della passività e del silenzio dell’opposizione politica (il cantone è maggioritariamente a destra) prevalgono allora le voci degli esponenti liberali. Così il vertice del partito si è preso la libertà di distribuire voti e giudizi. Uno zero tagliato è andato ai manifestanti “falso pacifisti”, una nota di biasimo è stata attribuita ai passanti, definiti “voyeurs”, mentre il centro culturale alternativo l’Usine è stato accusato (senza fornire prove) di aver coperto i casseurs. In altri termini i liberali hanno richiesto la restrizione del diritto di manifestare, partendo dal presupposto che le contestazioni di piazza sono «sempre seguite da atti di vandalismo» e che «è ormai chiaro che la distinzione tra manifestanti non violenti e casseurs non ha più luogo d’essere». Mentre ricorda che le manifestazioni sono soggette a autorizzazione, la formazione politica, per bocca del consigliere nazionale ginevrino Jacques-Simon Eggly (2), ritiene, infatti, che l’interdizione di marce, cortei e manifestazioni «anche se provocatoria, permetterebbe di levare alcune ambiguità», e di fare luce, dunque, sui legami che intercorrono tra gli organizzatori della marcia dei centomila, la sinistra e i teppisti. Nessun esponente dell’opposizione ha risposto alle accuse dei vertici del primo partito del cantone, mentre si attende la reazione degli animatori del Forum sociale lemanico, bollati come “complici” delle bande di vandali che hanno fatto irruzione nelle strade della città. I liberali (ma anche i radicali e i democratici), si sono difesi dalle accuse di recupero politico delle violenze, ma appare chiaro che la manovra della destra ginevrina tende, invece, a raccogliere il consenso degli elettori – tra cui i commercianti vittime delle depredazioni – in favore di un giro di vite politico sulle libertà fondamentali della popolazione, con effetti immediati sul diritto di riunirsi e manifestare. Su questo punto il presidente dei liberali, Olivier Jornot, ha fatto chiaramente capire le intenzioni del partito. Lo slogan “Genève, ville ouverte” (Ginevra, città aperta), che le autorità avevano coniato per promuovere lo spirito d’apertura del cantone dovrà essere rivisto, ha dichiarato ai giornalisti. (1) Mentre questo articolo andava in macchina il Consiglio di Stato di Ginevra si riuniva per decidere se continuare a mantenere il divieto. (2) Le Temps, 10 giugno 2003. L’ex presidente del partito liberale ginevrino tiene una rubrica permanente nelle colonne del quotidiano, di cui circa un quarto del capitale sociale è nelle mani delle banche private del cantone.

Pubblicato il 

13.06.03

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