Ci siamo, il giorno della prima manifestazione nazionale dei e per i sans-papiers è arrivato. Sabato 24 confluiranno a Berna i collettivi ed i movimenti di sostegno sviluppatisi negli ultimi sei mesi in tutta la Svizzera. Accanto a loro, oltre 140 organismi, associazioni ed organizzazioni politiche, sindacali, sociali e religiose (circa 40 nazionali e 100 locali) che ne appoggiano gli obiettivi: regolarizzazione collettiva dei sans-papiers, cessazione immediata delle espulsioni, no al nuovo progetto di legge sugli stranieri, salario minimo di 3 mila franchi netti e rivalorizzazione delle condizioni di vita e di lavoro per tutti. La crescita esponenziale del movimento, nato in maggio a Friburgo, è stata alimentata da un capillare ed intenso lavoro politico dei collettivi, che moltiplicano le iniziative e gli interventi collegandosi ai lavoratori sui cantieri, nelle fabbriche, nell’agricoltura e nella distribuzione. Un lavoro dal basso che continuerà certo anche dopo la manifestazione, che mira a dare grande visibilità alle dimensioni nazionali del movimento. Visibilità che deve far gola anche ai politici, se è vero che il Pss ha imposto l’intervento di Christiane Brunner come condizione per il suo sostegno alla manifestazione. No al caso per caso Certo è che lo scontro con la pervicace chiusura del Consiglio federale, ma anche delle Camere che rifiutano di discutere il problema, impone uno schieramento ampio di forze. Tra gli intellettuali, lo scrittore Adolf Muschg ha accettato di far da garante per il collettivo bernese: «I sans-papiers sono esseri umani che devono vivere nascosti tra noi, benché non abbiano commesso alcun delitto. Ora mostrano il loro volto. Quel volto è uno specchio in cui la nostra società si può riconoscere. Perciò necessita anche di più luce, la luce di una maggiore apertura pubblica. L’oscuramento nel quale gli uomini senza documenti sono già una volta scomparsi non deve più ripetersi». E le scrittrici e scrittori del «Gruppo di Olten», stufi di essere divenuti degli «integralisti del consenso» che nel caso dei sans papiers «si rivela una macchina per fabbricare fuorilegge», si sono espressi senza mezzi termini: «I sans-papiers che hanno avuto il coraggio di esporsi collettivamente hanno diritto al nostro rispetto. Lottano per una democrazia che ha dimenticato di annoverarli. Hanno diritto ad una soluzione collettiva. Senza eccezioni, né poliziesche né amministrative», scrive il loro presidente, Daniel de Roulet. Le eccezioni amministrative sono quelle della soluzione «caso-per-caso» del Consiglio federale. Che non è una soluzione sia perché nega l’esistenza di un problema sociale, sia perché di fatto non risolve niente. «Fanno mandare a Berna i dossier dei casi, e poi li respingono!». L’indignazione è della consigliera nazionale Anne-Catherine Menetrey. Una soluzione comune Che la regolarizzazione collettiva non sia rivendicazione di massimalismo rivoluzionario lo provano non solo gli argomenti umanitari e quelli legati alla condizione operaia, ma anche le esperienze già acquisite in altri paesi. Un rapporto dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) fa un bilancio dei programmi di regolarizzazione attuati sia in modo ripetuto sia a titolo eccezionale, ricordando che essi comportano sempre delle condizioni per i candidati: una determinata data d’ingresso nel paese, una prova di permanenza stabile da un certo numero di anni, e talvolta la prova, che definisce «paradossale», di un lavoro stabile. Da questa fonte non sospettabile di simpatie movimentiste (il rapporto è intitolato alla «Lotta contro l’impiego illegale di stranieri») si apprende che, se è vero che la regolarizzazione dei clandestini non pone fine ai flussi migratori illegali (cosa che neppure la repressione riesce a fare), essa fa più che permettere a molti immigrati clandestini di «ritrovare uno statuto più conforme al rispetto dei diritti dell’Uomo». «Con la regolarizzazione» scrive il rapporto, «si ottengono informazioni altrimenti impossibili»: sul numero di immigrati in situazione irregolare, sulle reti di passaggio, sui settori più coinvolti, sul funzionamento del mercato del lavoro. In questo senso «le operazioni di regolarizzazione rispondono anche ad obiettivi di sicurezza pubblica». Inoltre, rileva ancora l’Ocse, «i regolarizzati portano una maggiore flessibilità al sistema produttivo»! Ma parlamento e governo rifiutano di parlarne: fino a quando?

Pubblicato il 

23.11.01

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato