Fu la prima Casa del popolo

Per chi esce da Claro sulla strada cantonale in direzione nord è impossibile non scorgere una piccola costruzione sul lato sinistro, davanti all'entrata della quale fanno mostra di sé scale, oggetti di antiquariato, di tutto un po'. Quello stabile è la Casa del Popolo di Claro, poi sede della cooperativa di consumo. Si vede ancora, sulla chiave di volta della porta, il simbolo degli scalpellini (mazzotto, squadra, compasso, filo a piombo). È l'undicesima a sorgere in Svizzera e mostra il bisogno di visibilità che dominava il movimento operaio del tempo. Nella sua corsa alla conquista della società, esso non poteva evitare di porsi il problema della sede, del luogo di ritrovo.
Alcune osterie, il Frecc, l'Asino, ecc., nelle città come Lugano, gestite da personaggi vicini al socialismo, hanno avuto un ruolo di primo piano in questa funzione: è lì che l'anarchico Gori va a cercare gli operai con cui discutere e incute paura all'usciere incaricato di pedinarlo, perché mangia e beve con gli operai e si fa capire da loro! La sua propaganda non può essere combattuta dalle autorità con le stesse armi. Quando però, oltre all'incontro periodico per una conferenza, o episodico per organizzare lo sciopero, si fa urgente il bisogno di spazi sempre a disposizione per l'attività del segretario sindacale, per le riunioni dei vari comitati e le assemblee delle singole sezioni sindacali o socialiste, ecco che l'osteria non basta più e diventa persino un freno (si trovano, nei giornali socialisti, esortazioni a partecipare alle riunioni coll'espressa indicazione che la consumazione non è obbligatoria!).
Il primo accenno a svincolarsi dai locali pubblici lo troviamo nella decisione dei sindacati di Lugano di affittare una casa per l'erigenda Camera del Lavoro (23.3.1902); sarà la sede di via Sassello 299 che ospiterà il sindacato per due anni. Ma non possiamo ritenere questa una soluzione soddisfacente se leggiamo le note di Mario Ferri al proposito:

«Chi scrive ricorda certe riunioni da cospiratori in un lurido e punto igienico locale in via Sassello». (1)

tanto più che la Camera del Lavoro albergava la sezione mista femminile mentre la contrada Sassello era la più malfamata di Lugano, vi erano le case di tolleranza. (2)
Il tema della Casa del Popolo, simbolo dell'auto-emancipazione operaia, si va facendo strada in Svizzera, dopo gli inizi a Bienne nel 1891. I principali centri elvetici ne sono toccati prima del 1905 (con l'eccezione di Zurigo). Ma il Ticino può vantare il primo esempio nella Confederazione di una Casa del Popolo costruita fuori città, risultato della volontà e della dedizione alla causa degli scalpellini in Riviera.

«Avec nos bras, camarades, on peut bâtir. En y mettant chacun du sien, on peut trouver un peu d'argent et acheter le terrain. Les syndicats nous aideront.
– Bien sûr, dit Louis Lautié.
– Et alors...Une Maison du Peuple!
Le Braz ne put en dire davantage.
– Et pourquoi pas? Chez nous nous serons libres. Nous ne devrons rien à personne. Nous ferons des conférences pour les ouvriers, pour les enfants des ouvriers». (3)

Per gli scalpellini, quasi tutti italiani, spesso dimoranti in osterie e pensioni, le cui camerette vengono divise tra 4-6 operai, malvisti dalla popolazione locale, la riunione sindacale è un'occasione importante per ritrovarsi in un ambiente amico. In tali condizioni essa rappresenta sempre un potenziale pericolo per i proprietari e le autorità locali che tentano in ogni modo di impedire i raduni, proibendo persino l'accesso ai locali pubblici. Lo fa il sindaco di Osogna in occasione di una conferenza di Vergnanini nel 1897 (4), e Lo Scalpellino denuncia spesso, nei primi anni del secolo, la proibizione di frequentare le osterie della regione. Questa categoria non può nemmeno sempre ricorrere alle case private, luoghi che offrirono gli spazi necessari alle prime riunioni nelle zone ancora prive di organizzazione sindacale e socialista:

«Dietro iniziativa di un gruppo di compagni della Pieve-Capriasca, domenica 17 corrente verrà tenuta in Tesserete, nella sala della musica, casa del signor Alessandro Lepori, alle ore 1 e mezzo pomeridiane, una pubblica conferenza di propaganda sul tema: Il Socialismo. Oratori saranno i compagni Valsecchi e Macchi. Si invitano a partecipare tutti i compagni e concittadini.
I promotori». (5)
Sono le ragioni che spingono i lavoratori del granito, durante il lungo sciopero protrattosi dall'autunno 1906 alla primavera del 1907, a costruire e gestire la Casa del Popolo-Circolo Operaio di Claro, inaugurata poi in pompa magna il 7-8 giugno 1908. La Casa del Diavolo, secondo il parroco del villaggio. La Camera del Lavoro ne riprenderà la gestione nel 1911, prima di cedere l'immobile alla Cooperativa.
È l'inizio, nient'affatto in ritardo rispetto al resto della Confederazione, di un'avventura che, attraverso la Casa del Popolo di Bellinzona, acquistata nel 1919, quelle di Chiasso (1919-23), Locarno (1923, poi 1957), Genestrerio (1924, per alcuni anni) e anche Lugano (1933), per quanto riguarda i sindacati cattolici, dura ancora oggi (6). Varrebbe la pena di aggiungere all'elenco anche l'Acp di Balerna; il centro dell'Associazione Cultura Popolare, con il ristorante La Meridiana, se non può essere tecnicamente definito una vera e propria Casa del Popolo, non si discosta molto nelle intenzioni da tale tipo di strutture, almeno nei suoi primi anni.
La Casa del Popolo è prettamente operaia, e gli iniziatori di quella di Claro lo proclamano alto e forte nell'articolo 7 degli statuti: nessuna ingerenza estranea al movimento operaio. L'autosufficienza deve essere anche finanziaria (art. 8).
Non sempre le finanze consentono di coronare il sogno di una Casa del popolo. Per i sindacati aderenti alla Camera del Lavoro è il caso, paradossale, di Lugano. La maggiore città del cantone costituisce naturalmente la sede ideale per un centro d'attività sociali diverse come la Casa del Popolo, e infatti non mancano i tentativi di costituirne; nel 1905 la Commissione esecutiva della Camera del Lavoro analizza una proposta per una Casa delle Società da far sorgere a Lugano e la gira alle sezioni sindacali di Lugano che sarebbero le più interessate dal progetto, ma la faccenda si arena. Un tentativo più serio da parte sindacale avviene nel 1931, per anticipare intenti analoghi dei cristiano-sociali: il progetto, dal costo preventivato di 150 mila franchi, di cui 45 mila liquidi e il resto ipoteca, prevedeva:

«a) Piano terreno: Grande salone per Comizi, Congressi, riunioni delle organizzazioni, Scuola Popolare etc. ed eventualmente un palco per filodrammatica o cinema.
b) Buffet-ristorante con giardino.
c) Primo piano: Uffici per i Comitati, per i Segretariati, per la Segreteria della Camera del Lavoro, per la Amministrazione e Redazione di Libera Stampa, etc.
d) una piccola sala per riunioni di minore importanza». (7)

A malincuore si dovette abbandonare anche questo sogno. Sovente ci si accontentava di muovere i primi passi in direzione della Casa del Popolo. A Comano, l'Osteria Cooperativa Sociale venne inaugurata il 22 luglio 1904, mentre in ottobre si apriva a Locarno il Circolo di Studi Sociali, con biblioteca e corsi di storia, francese e matematica. I lavoratori di Biasca costituirono, il 26 gennaio 1908 (ma funzionava già dall'ottobre precedente), il Circolo Ricreativo e Coltura Sociale per

«avvicinare gli operai e procurar loro un ritrovo morale ed istruttivo che ne sviluppi i sensi di solidarietà». (8)

A tale scopo si prevedevano conferenze, assemblee, l'istituzione di una biblioteca sociale e di una scuola serale professionale, nonché la costruzione di una Casa del Popolo allorché i fondi lo permetteranno. A lato, ma subito sfruttato dal commissario di governo per chiedere a Bellinzona di intervenire, funzionava un buffet il quale, inoltre, forniva bibite a prezzi ridotti alle famiglie dei soci. Di fronte alla richiesta di munirsi di regolare patente d'esercizio, gli operai biaschesi replicarono sottolineando le differenze che esistono tra il loro spaccio e un'osteria normale: non vi è scopo di lucro, affermazione dimostrata anche dal fatto che, in caso di scioglimento il capitale andrebbe a favore dell'educazione popolare a Biasca, e si sostiene la lotta all'alcoolismo, svolta non con

«il taglio radicale, ma solo coll'istruzione del male che questo avvelenamento volontario porta allo stesso consumatore per non lasciare che questo nostro intento abbia a lasciare il tempo che trova, benché funzioni un buffet nel nostro seno vi si spaccia solo bevande di prima qualità e non spiritose..., il detto consumo è dato al socio con vera limitazione». (9)

Nei giorni dello sciopero alle Officine delle Ffs di Bellinzona, durante i recenti mesi di marzo ed aprile, chi è passato a portare solidarietà o aiuto, persino chi si è spinto all'interno dell' azienda per visitarla o per seguire uno spettacolo, la messa di Pasqua, per semplice curiosità, si è senz'altro accorto di quanto fosse utile il locale della Pittureria. Per gli scioperanti esso ha assunto subito il significato di luogo di contropotere: qui comandiamo noi, qui i dirigenti entrano se vogliamo, e se non vogliamo se ne vanno. L'aggregazione si è fatta sotto la fila di tute stese sulla parete, davanti alla locomotiva coperta di cartelloni, di fronte agli striscioni appesi sulla balconata. Molti dei partecipanti allo sciopero ci hanno espresso il bisogno di trovare un luogo in cui poter continuare a trovarsi a parlare, a condividere speranze e timori, a sentirsi parte di una comunità.
La Casa del Popolo nacque proprio così a Bellinzona. I ferrovieri, che costituiscono il fulcro del movimento operaio di Bellinzona, non aderirono che molto tardi alla Camera del Lavoro nata a Lugano nel 1902; la loro storia sindacale fu quindi diversa da quella delle altre categorie. Lo si vide bene nel caso dello sciopero generale del novembre 1918: mentre la classe operaia ticinese restava distante e fredda, accettando la lettura borghese dei fatti che accusava i "bolscevichi" del Comitato di Olten di creare il caos e preparare la rivoluzione per aiutare l'imperatore di Germania ormai costretto alla resa militare, i ferrovieri parteciparono in massa allo sciopero, i loro dirigenti furono arrestati, si creò un fossato tra le organizzazioni operaie e la cittadinanza.
La lotta, persa nell'immediato ma vincente nel medio periodo (si chiedeva, tra l'altro, la proporzionale, l'Avs, il voto alle donne) rafforzò la volontà d'azione del movimento che reagì alla sfida costituendo il "Fascio delle organizzazioni sindacali di Bellinzona e dintorni" nel febbraio 1919. Subito si presentò l'occasione di comperare uno stabile di pregio costruito nel 1908 in stile liberty e posto di fronte alla stazione; il movimento operaio ancorava la sua presenza nella pietra dell'Hôtel Schweizerhof. Furono necessari 160 mila franchi (come a Friburgo e a Soletta) che si raccolsero attraverso l'emissione di quote sociali da 25 franchi l'una (anche la sezione sindacale delle Officine contribuì ritirando un buon numero di quote: si ricordi che in quell'anno un meccanico all'Officina guadagnava 77 centesimi l'ora e un fabbro 92). Simbolicamente si rimosse il ritratto del generale Wille per sostituirlo con quello di uno dei condannati per lo sciopero, Giovanni Tamò, capotreno principale, "reduce dalle patrie galere".
La Casa del Popolo divenne sede sindacale, ma anche di attività culturali (biblioteca e sala di lettura, Università popolare, scuola di musica, filodrammatica) e ricreativo-sportive (Utoe, Unione Ticinese Operai Escursionisti). Doveva diventare anche il cuore dell'informazione socialista, con il trasferimento a Bellinzona della redazione e della tipografia di Libera Stampa che avrebbe trovato posto, con Il Ferroviere nei locali costruiti su via Cancelliere Molo: l'idea, caldeggiata dalla sezione socialista locale, non ebbe però seguito. Si sviluppò subito, invece, il cinema che nel 1930 si insediò nella nuova costruzione sorta a nord della Casa del Popolo; il Forum divenne punto di aggregazione cittadino anche grazie al suo Foyer, luogo di balli e di serate carnascialesche.
Sarà possibile ricreare un luogo simbolico di questa importanza? Il futuro lo dirà; il presente ci informa che la necessità è sentita. Non sono dunque solo i giovani ad aver bisogno di luoghi adatti per esprimere i loro bisogni. Dai ragazzi del Molino possiamo però imparare che le visioni utopistiche possono trasformarsi in realtà, attraverso lavoro e costanza, ma anche fiducia e volontà. E un pizzico di pazzia. Fu così che gli scalpellini costruirono la Casa del Popolo di Claro cent'anni fa. Erano in gran parte italiani e sapevano di lasciarla sulle nostre terre dove non sarebbero probabilmente più tornati. La realizzarono lo stesso, per tutti. Nel Ticino di oggi una simile visione internazionalista fa pensare che il passare del tempo non è necessariamente progresso.

* storico, Fondazione Pellegrini Canevascini

1) Guglielmo Canevascini, Autobiografia. Lugano 1986, p.98.
2) Una vicinanza che troviamo anche a Ginevra per la sede della Chambre du Travail in rue du Temple 10 negli stessi anni; cfr Mario Scascighini, La maison du peuple. Le temps d'un édifice de classe. Lausanne 1991, p. 74.
3) Louis Guilloux, La maison du peuple. Paris 1953, p.140.
4) Cfr Il Socialista, 18.9.1897.
5) L'Aurora, 16.1.1904 n.2.
6) Sul tema vedi Scascighini, cit., lavoro che dispone anche di un indice dei luoghi.
7) Archivio Fondazione Pellegrini Canevascini, fondo 1 Camera del Lavoro.
8) Archivio di Stato Bellinzona, diversi 1379, Statuto Corcs art.1.
9) Asb, diversi 1379, lettera Corcs al Commissario di Governo di Biasca, 16.5.1908.

Pubblicato il

27.06.2008 04:00
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