La crisi finanziaria ed ora economica ha preso alla sprovvista Nicolas Sarkozy, che un anno e mezzo fa si è fatto eleggere con la promessa di aumentare il potere d'acquisto dei francesi. I primi effetti sociali della crisi cominciano a farsi sentire, mentre Sarkozy non è riuscito a far accettare dalla Germania il varo di un "piano di rilancio" europeo. Tra qualche giorno si saprà se anche la Francia è entrata in recessione (un nuovo trimestre di contrazione del Pil francese, dopo il meno 0,3 nel secondo trimestre).

Quello che è certo è che la produzione industriale è calata dello 0,5 per cento nel mese di ottobre. Le esportazioni diminuiscono e il deficit commerciale aumenta, anche perché, per il momento, non si è ancora verificata la temuta contrazione dei consumi delle famiglie. Ma è questione di tempo, affermano allarmate tutte le associazioni che si occupano di poveri. La disoccupazione è di nuovo in crescita e la Francia sfiora ormai i due milioni di senza lavoro. 1,14 milioni di persone sopravvivono con l'Rmi, il reddito minimo (intorno ai 450 euro per una persona sola), che progressivamente sarà sostituito dall'Rsa, il reddito di solidarietà attiva, un sistema maggiormente vincolante, che subordina in modo più diretto il versamento del sussidio all'accettazione di un lavoro. Ma anche chi lavora è in difficoltà, dicono le associazioni a carattere sociale. «Molte famiglie in situazione precaria vengono a nutrirsi e a vestirsi nei nostri centri, per poter pagare l'affitto» afferma l'associazione Familles, enfance et pauvretés. Alla Croce rossa riassumono: «la situazione continua a degradarsi, i poveri sono più poveri e altri strati della popolazione diventano più fragili economicamente». L'Insee, l'Istituto di statistica, classifica come "povero" in Francia chi ha un reddito inferiore a 880 euro al mese. Oggi ufficialmente il 13,2 per cento della popolazione francese è in questa situazione. Cifra che l'ex presidente della Commissione europea, Jacques Delors (oggi presidente del Cerc, Consiglio dell'occupazione, dei redditi e della coesione sociale) fa salire al 15 per cento. Secondo Martin Hirsch, Alto commissario alle solidarietà attive, è "l'intensità della povertà" che si sta aggravando e che colpisce in primo luogo le famiglie monoparentali, in genere con una donna capo-famiglia.
È più difficile trovare un lavoro, anche precario (in un anno, tra agosto 2007 e agosto 2008, i contratti a termine sono crollati del 4,5 per cento) e chi ha un lavoro ha paura di perderlo. L'industria automobilistica è stata la prima a sentire gli effetti della crisi. Tutte le fabbriche di Renault e di Peugeot-Citroen chiudono per una o due settimane questo mese. La sola fabbrica Ford in Francia ha addirittura messo tutti gli operai in cassa integrazione dal 24 ottobre fino al 5 gennaio. Nell'ultimo trimestre di quest'anno, Peugeot ha deciso di ridurre la produzione del 30 per cento, Renault del 20 per cento. In quest'ultimo caso, il ricorso alla cassa integrazione si aggiunge alle 4mila riduzioni di posti di lavoro, solo in Francia, già decise nei mesi scorsi. «È inaccettabile – afferma un delegato Cgt della Peugeot –. Per 10 anni, Peugeot-Citroen ha accumulato miliardi di euro di profitti, e adesso che le vendite calano sono i dipendenti a dover pagare». La crisi dell'auto, a valanga, sta creando problemi ai settori a monte: le acciaierie di Arcelor hanno già annunciato un ricorso alla cassa integrazione.
Sarkozy ha rimesso in atto gli "impieghi sostenuti" dagli enti locali, che erano la bestia nera della destra, per evitare un dilagare della disoccupazione. Ma, per il momento, spera di trovare una via d'uscita attraverso quelle che la Cfdt ha definito "misure thatcheriane": l'apertura dei grandi magazzini anche la domenica e nei giorni feriali, sperando che le vendite aumentino, e la deregulation progressiva sul fronte delle pensioni, per permettere di lavorare fino a 70 anni, unica strada lasciata aperta per raggiungere i 41 anni di contributi ormai obbligatori per avere una pensione completa.
Queste decisioni in campo sociale contrastano con le larghezze di Sarkozy nei confronti delle banche. Per evitare un crack, la Francia ha stabilito un fondo di garanzia di 360 miliardi di euro per il settore bancario e François Fillon non ha escluso eventuali nazionalizzazioni, dopo i casi di Dexia e di Fortis. Ma le banche non sembrano rispettare i patti: la stretta sul credito alle imprese e alle famiglie continua, con il rischio di aggravare il rallentamento dell'economia.

Pubblicato il 

14.11.08

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