PARIGI. Grande incertezza alla vigilia del primo appuntamento istituzionale della nuova Francia uscita dalle urne il 7 luglio senza una chiara maggioranza: oggi, giovedì, è programmato il voto del/la presidente dell’Assemblée nationale, quarta carica dello stato. Il Nuovo Fronte Popolare (Nfp), dopo lunghe trattative ha scelto André Chassaigne del Pcf, un nome unico per i quattro partiti che lo compongono, dopo che ogni formazione aveva messo avanti un proprio esponente (addirittura due da parte della France Insoumise). In corsa per l’area Macron la presidente uscente, Yaël Braun-Pivet (ma circolano anche altri nomi), Annie Genevard per i Républicains (Lr) e il centrista Charles de Courson, parlamentare di lungo corso, Sébastien Chenu per il Rassemblement National. Il Nfp ha lanciato un appello all’area Macron e a Lr, per ricostruire il “fronte “repubblicano” che al secondo turno delle legislative ha permesso di relegare al terzo posto l’estrema destra, per sbarrare così la strada a delle vicepresidenze del Rn.

 

Martedì sera il presidente Macron ha accettato le dimissioni del governo Attal, presentate l’indomani della sconfitta alle legislative. Il governo continuerà a gestire gli “affari correnti” – le Olimpiadi iniziano tra una settimana – ma non potrà prendere decisioni di natura politica, limitandosi a decreti di attuazione di leggi già votate (in caso di violenze o attentato, però, ha il potere di dichiarare lo stato d’emergenza per un massimo di 12 giorni). I 17 ministri che sono stati eletti deputati, ma che restano in carica in questo periodo di attesa di un nuovo governo, possono così prendere parte al voto per la presidenza e le altre cariche dell’Assemblée nationale. Una situazione eccezionale, che sta suscitando polemiche nella patria di Montesquieu e della separazione dei poteri. Ma per i costituzionalisti non c’è contravvenzione della Costituzione, anche se tutti ritengono che la situazione non possa durare a lungo senza causare malessere. Ma per il costituzionalista Dominique Rousseau, c’è un “problema di natura politica, non di diritto”. La transizione verso una cultura di coalizioni si rivela complessa e lenta. Macron aspetta la “strutturazione dell’Assemblée nationale” per l’incarico a un nuovo primo ministro.

 

La settimana è stata occupata principalmente dalle tensioni a sinistra. Il Nfp è nato in fretta, come unione e come programma, ma dopo la vittoria relativa del 7 luglio, è l’impasse, la sinistra non riesce a mettersi d’accordo su un nome da candidare a primo ministro e da presentare a Macron (a cui appartiene comunque la decisione finale). Dai partiti sono stati presentati sei nomi finora – 4 interni e 2 della società civile - tutti bocciati dai fuochi incrociati di Lfi e Ps, che si disputano l’egemonia dell’area di sinistra e che appartengono a due culture politiche diverse, i socialisti sono un partito di governo, Lfi un’area di contestazione con mire di cambiamenti radicali. Il Ps sostiene che Laurence Tubiana, l’ambasciatrice economista che ha negoziato la Cop21 e l’Accordo di Parigi nel 2015, è ancora in gara, malgrado il veto di Lfi, che ha fatto seguito al rifiuto dei socialisti per Huguette Bello, presidente della Réunion, presentata da Lfi. Lo scoraggiamento sta però dilagando a sinistra. Marine Tondellier dei Verdi denuncia “la guerra di leadership” tra Ps e Lfi, si dice “in collera, nauseata” e si scusa per “lo spettacolo”. Per la deputata verde Sandrine Rousseau, “lo spettacolo che stiamo dando è molto deludente, non siamo all’altezza”. Il sindaco di Marsiglia, Benoît Payan, alla testa di una coalizione di sinistra senza Lfi, il Nfp “deve smettere di parlarsi addosso”. Dall’area Macron, Sacha Houlié, un contestatore che sta preparando la formazione di un nuovo gruppo parlamentare social-democratico in vista di una coalizione, afferma: “è disastroso, la lotta per i posti precede gli atti politici”. Dai sindacati e dalle ong è arrivato un appello: “siate all’altezza delle speranze, ogni giorno perso va a vantaggio dell’estrema destra”. Marine Le Pen ironizza: per la sinistra “gli elettori sono usciti dal radar”. E a Strasburgo, Jordan Bardella, diventato presidente del gruppo dei Patrioti, mostra il vero volto filo-Putin, contestando una risoluzione dell’europarlamento di sostegno all’Ucraina e appoggia le manovre di Viktor Orban, che ha sfruttato la presidenza a rotazione del Consiglio dal primo luglio in mano all’Ungheria, per incontrare Putin, Xi Jinping e Trump.

 

Intanto, Gabriel Attal prende le distanze da Macron e cerca di tessere la tela di una possibile coalizione. “Avremmo potuto scomparire, abbiamo evitato il peggio – afferma l’ancora primo ministro – l’avvenire è tutto da scrivere”. E aggiunge: “lavoro per un patto di governo”, senza gli estremisti.

Pubblicato il 

17.07.24
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