Fra polenta e kebab: non cadiamo in facili tranelli

Il dibattito di questi giorni sulla presunta islamizzazione della Svizzera pone alcuni importanti interrogativi. Uno di questi riguarda proprio la veemenza con la quale il tema è stato portato alla ribalta dalla cronaca, contrapponendo all'identità nazionale la religione islamica e i suoi simboli.
Appare evidente ormai che questo tema è utilizzato in chiave elettoralistica, per condizionare fortemente il dibattito politico. Come in altri periodi storici i migranti sono un facile bersaglio per alimentare sentimenti di insicurezza, posizioni xenofobe e, in taluni casi, comportamenti razzisti. Si tratta ormai di un meccanismo ben oleato che oggi in particolare stritola i migranti di religione musulmana, modello strategico che viene sfoderato in occasione di campagne elettorali da quei partiti che fanno della difesa dell'identità nazionale e dell'isolazionismo politico il proprio cavallo di battaglia.
Le campagne elettorali diventano così occasioni per creare disinformazione, allarmismi ingiustificati sul tema dell'immigrazione, allontanando così l'attenzione delle elettrici e degli elettori dai problemi urgenti della società. Personalmente auspico invece che questa campagna elettorale si trasformi anche in un'occasione per proporre un diverso approccio sia al tema delle migrazioni internazionali, sia a quello dell'identità nazionale intendendola anche come processo dinamico, per fortuna sempre in evoluzione e non fermo al medioevo.
L'esigenza di difendere la propria identità fissandola alle antiche radici si manifesta in modo così virulento quando la società cambia e dà segnali di crisi, sembra aver perso dei valori di riferimento importanti e appare fortemente frammentata al suo interno. Le cosiddette radici diventano allora una zattera a cui aggrapparsi. Una società disorientata che guarda al proprio futuro con incertezza tende ad aver bisogno di credere in qualcosa di forte, stabile e duraturo, individuando nelle proprie radici, nella propria identità nazionale l'unica certezza a cui aggrapparsi. Ecco allora il problema identitario mettersi in scena come una contrapposizione tra estimatori del kebab e quelli della polenta, o simbolicamente, tra minareti e campanili.
Il fatto di sentirsi "sradicato", senza più radici certe, non è un sentimento comune solo a chi viene da lontano, ma appartiene anche agli svizzeri e ticinesi "doc", a coloro che non riescono a riconoscersi  nell'attuale complessa società, e trovano appunto nell'immigrato, sradicato per eccellenza, il capro espiatorio di tutti i problemi sociali. Il fatto di non trovare più dei punti fermi, chiari e di non riuscire a intravvedere un futuro certo, sembra portar a dire "come era bello una volta" e a ricercare delle ricette facili,  come ad esempio attribuire all'altro la colpa di tutti i mali.
Il compito della politica dovrebbe essere quello di cercare delle risposte praticabili e civili di fronte alle incertezze e alle difficoltà in cui si dibatte una parte importante della popolazione, non quello di aggiungere altri elementi di sfiducia. In questo tipo di discorsi, soprattutto nella facile tentazione di fomentare le paure, il grosso rischio che corriamo tutti è quello di produrre una maggiore frattura tra i soggetti sociali che rischiano di trasformarsi in un conflitto reale. Avere un atteggiamento emarginante nei confronti di una fascia della popolazione, che sia di origine straniera o svizzera, vuol dire anche sgretolare il nostro tessuto sociale.
Credo che il perno centrale della politica sociale debba essere un progetto di integrazione, non rivolto solo agli immigrati, ma anche a quelle fasce della popolazione locale che vivono costantemente nell'incertezza economica e sociale. Un'integrazione capace di creare una comunità coesa, un senso di appartenenza a una società sana, in grado di valorizzare le differenze, esempio tra uomini e donne, tra comuni piccoli e grandi, e in generale tra le diverse componenti della società. Non è azzerando o esasperando le differenze che saremo in grado di risolvere qualcosa o di rispondere al bisogno di maggiore sicurezza che i cittadini chiedono.


* vice presidente del Ps

Pubblicato il

22.12.2006 14:30
Pelin Kandemir Bordoli