Fisico, inventore e militante

Sfruttare il vento passivo generato dall'auto in movimento per produrre energia necessaria a muovere il veicolo. "CH 703'223" è il suo nome in codice. Corrisponde al brevetto rilasciato a metà dicembre dalla Confederazione a Riccardo Spedini, fisico industriale, militante sindacale e autore di una scoperta per la quale forse il mondo intero un giorno lo ringrazierà.

La scoperta è la risposta a un quesito che lo stesso Spedini si pose quasi cinquant'anni or sono. L'allora quattordicenne Spedini accompagnò il padre a ritirare la nuova auto di famiglia, la mitica Fiat 500 Giardinetta. Uscito dal rivenditore, fecero il pieno di carburante. Nel viaggio verso casa, il giovane domandò al padre, di professione elettrotecnico, perché non fosse possibile sostituire la benzina con l'elettricità. «Il problema è la batteria. Non riesce a garantire sufficiente autonomia di viaggio all'auto». Dalla risposta paterna nacque la sfida di una vita: risolvere il problema della ricarica della batteria.
Spinto da questo enigma, studiò da fisico industriale e lavorò per anni alla Fiat in qualità di capo collaudatore. Confrontato con lunghe assenze da casa a causa delle trasferte professionali nei vari stabilimenti Fiat sparsi dalla Sicilia al Piemonte, decise di cercare una nuova avventura professionale in Svizzera. Un'esperienza migratoria già intrapresa dai suoi genitori residenti a Soletta, dove Spedini li raggiunse. Dopo qualche anno come meccanico di autopostali, si trasferì in Ticino con la famiglia. Andò ad abitare a Giubiasco e fu assunto dalla Holcim, una grande impresa di cemento e affini. Fin da subito in Ticino collaborò con l'ente di formazione Ecap, l'Ente per la formazione degli adulti, la riqualificazione professionale e la ricerca costituito dal sindacato italiano Cgil e attivo in Svizzera dal 1970 in collaborazione con l'allora sindacato Sei, oggi Unia. Dopo vent'anni Spedini è andato in pensione, ma insegna ancora matematica ai corsisti Ecap. Persona sensibile e insofferente delle ingiustizie, si avvicina a Unia diventandone delegato sindacale nel ramo edilizia. Chi lo ha conosciuto in questa sua veste, ricorda la passione dei suoi interventi a favore dei diritti dei lavoratori. Ricopriva anche il ruolo rappresentante del personale della Holcim nelle trattative contrattuali, nel corso delle quali spesso è riuscito a ottenere buoni risultati per i suoi colleghi. Nonostante i suoi numerosi impegni, dai corsi serali Ecap alle tante riunioni sindacali e alla famiglia, non ha mai abbandonato la ricerca della soluzione di un'auto ecologica. Nei pochi ritagli di tempo libero proseguiva le sue ricerche seguendo il principio fisico «a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria». Un impegno coronato a cinquant'anni di distanza da una possibile soluzione.
Sei miniturbine eoliche del diametro di 30 centimetri inserite nel vano motore producono energia sfruttando il vento prodotto dall'auto in movimento. L'energia prodotta viene immagazzinata in due batterie. Due batterie perché mentre una produce l'energia per muovere il veicolo, l'altra accumula quella prodotta dalle turbine eoliche. E quando una batteria si scarica, la seconda si attiva prontamente. Stando ai calcoli di Spedini, sfruttando il vento passivo le turbine eoliche sarebbero in grado di produrre l'85 per cento dell'energia necessaria per muovere l'automobile. Non la totalità, perché, spiega Spedini, «per avere una forza di vento passivo sufficiente a produrre l'energia bisogna raggiungere la velocità di 15 chilometri orari». Per supplire alla porzione di energia mancante «è sufficiente collegarsi a una normale presa elettrica per una ventina di minuti con un costo di un franco e qualche centesimo». E se una sera ci si dimentica di attaccare la spina, «non crolla il mondo» rassicura il fisico, «l'auto parte ugualmente».
Spedini ha calcolato che il suo prototipo di auto elettrica potrebbe percorre fino a 450 chilometri senza ricarica. Il doppio delle auto elettriche in circolazione. Il suo brevetto è visionabile sul sito dell'Istituto federale della proprietà intellettuale che lo ha recentemente omologato. «L'idea è molto semplice e di facile applicazione – spiega Spedini –. Chiunque con un minimo di conoscenze tecniche può realizzarla. Einstein disse una volta: nella semplicità c'è la genialità». Dopo 50 anni, Spedini è riuscito a elaborare la formula per arrivare a capo del problema. «Chiedo scusa per il ritardo» risponde ironico. Ora il passo successivo è trovare un'azienda interessata a sviluppare il brevetto. Non vede nessun aspetto negativo nella sua invenzione? «Uno solo: che non venga prodotta».

Pubblicato il

10.02.2012 04:00
Francesco Bonsaver
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