Fisco, il prezzo della concorrenza

“Ma tu cosa mi dai?”, si dicono i bambini quando c’è da scambiarsi un gioco e non sono in vena di generosità. Ma la stessa frase se la sentono ripetere sempre più spesso anche le autorità fiscali dei cantoni rossocrociati. Sì, perché da quando anche il piccolo Obwaldo ha deciso di entrare di peso nel gioco della concorrenza fiscale – inimicandosi così alcuni degli altri partecipanti –, ricchi nostrani e d’importazione, top manager e le imprese che contano si sentono sempre più in diritto di negoziare la propria dichiarazione. “Ma tu quanto mi dai se resto qui?”, chiedono sempre più insistentemente loro quando invece il cittadino comune ha ben poco da pretendere. E mentre la mossa del canton Obwaldo sembra dare i primi frutti – pare che alcune imprese siano già approdate e alcuni grandi borselli abbiano passato strategicamente le vacanze di Natale nella zona – il Partito socialista svizzero sembra deciso questa volta ad andare fino in fondo alla faccenda arrivando al Tribunale federale tramite il ricorso di singoli cittadini (per ora ne ha trovato uno dei tre necessari). Lo scopo è quello di combattere quello che è a tutti gli effetti un regime di tassazione degressivo per gli alti redditi. Più guadagni, meno paghi in proporzione. Bastano due righe prese direttamente da un documento dell’Ufficio federale di statistica per capire quanto il gioco in campo elvetico stia andando alla deriva: «Nel 2003 l’indice totale del carico fiscale sulle persone fisiche più elevato era di ben 3 volte superiore all’indice più basso. In nessun Paese come in Svizzera il carico fiscale delle imposte dirette sulle persone fisiche varia così tanto nei singoli enti territoriali». Ma quale è il prezzo da pagare per questa corsa allo sconto fiscale intrapresa dai Cantoni? Quali sono le regole del gioco? E quale la possibile soluzione? In questa pagina ne parliamo con l’economista Sergio Rossi, professore di ruolo all’Università di Friburgo in economia monetaria e macroeconomia, che tiene un corso di master anche all’Università della Svizzera italiana. Sergio Rossi ha trattato a più riprese con un altro esperto, Bernard Dafflon, il tema del federalismo e la fiscalità. Nella rubrica della pagina seguente, Beat Allenbach illustra invece un’altra soluzione messa sul tavolo. Sergio Rossi, in Svizzera si assiste a una vera e propria corsa alla concorrenza fiscale tra cantoni. Quali sono le ragioni? La concorrenza fiscale tra cantoni è un fenomeno che si osserva da oltre 15 anni, non è una novità legata alla recente votazione nel canton Obwaldo. Ufficialmente, tuttavia, essa non dovrebbe esistere. Con la legge federale sull’armonizzazione dell’imposizione fiscale diretta di cantoni e comuni, entrata in vigore nel gennaio 1993, si è creduto di aver risolto ogni problema a questo riguardo. Sulla spinta di questa legge, i cantoni hanno uniformato le procedure di imposizione fiscale e i tipi di deduzioni fiscalmente ammesse, oltre ad aver annualizzato la dichiarazione dei redditi. In realtà, però, questa legge federale si limita a imporre un’armonizzazione formale, trascurando l’armonizzazione sostanziale. In sostanza, né le aliquote fiscali né i limiti massimi delle deduzioni ammesse sono stati unificati sul piano nazionale. Le autorità fiscali cantonali possono quindi sfruttare gli spazi di manovra lasciati dalla legge federale e farsi concorrenza in vario modo. Con quali manovre si gioca oggi la concorrenza fiscale in Svizzera? I beneficiari di questa concorrenza erano inizialmente solo le aziende, ma da alcuni anni questo fenomeno riguarda pure i loro alti dirigenti. Esistono infatti aziende che riescono a negoziare ribassi o esoneri fiscali sui generis, sfruttando a loro vantaggio l’asimmetria di informazione di cui beneficiano in quanto ciascuna di esse conosce il ventaglio delle offerte dei vari cantoni con cui negozia, mentre i cantoni non conoscono le offerte dei loro concorrenti. Questa concorrenza fiscale riguarda oggi pure l’imposizione dei redditi e della sostanza dei top manager di queste stesse aziende, per i quali le autorità cantonali sono a volte indotte a valutare con molta generosità le deduzioni fiscalmente ammesse, anche quando i redditi a cui queste deduzioni sono legate non sono sottoposti a tassazione. In realtà, esiste un concordato intercantonale firmato nel 1948 e tuttora in vigore, con il quale i 26 cantoni firmatari vietano la concorrenza fiscale tra essi, se non per quelle aziende industriali per le quali il cantone ha un interesse di carattere economico. In conformità a tale concordato, il cantone può esonerare queste imprese dall’imposta sugli utili e sul capitale durante i primi 10 anni della loro attività. Questo tipo di esonero fiscale non è in principio sbagliato se si vuole stimolare l’economia di un cantone, permettendo a imprese giovani di crescere e creare così reddito e occupazione locale. Tuttavia, esistono casi di aziende mature che cambiano domicilio fiscale per beneficiare di questa esenzione, resa meno rigida dalla legge federale sull’armonizzazione fiscale cui accennavo prima. Eppure c’è chi sostiene che la concorrenza fiscale interna offre parecchi vantaggi. Si afferma che proprio per questo motivo la Svizzera è rimasta competitiva sul piano internazionale. È vero? Ci sono vantaggi nella competizione fiscale? I vantaggi della concorrenza fiscale sono più teorici che pratici. L’idea di attirare aziende dall’estero è buona per la crescita economica, ma non è soltanto sulla base del livello di imposizione fiscale che le aziende decidono di venire in Svizzera. Tra i fattori che esse considerano nelle loro scelte di localizzazione, si trovano anzitutto il livello di formazione dei lavoratori, l’esistenza di infrastrutture efficaci, il grado di accessibilità alle moderne vie di comunicazione, la stabilità politica ed economica. Secondo studi recenti dell’Università di San Gallo, il carico fiscale in Svizzera non è tra gli elementi principali che le aziende straniere considerano nelle loro scelte di localizzazione. D’altra parte, si può osservare una tendenza a delocalizzare le attività produttive dalla Svizzera verso quei nuovi paesi membri dell’Unione europea in cui il livello di formazione dei lavoratori è simile al nostro, ma dove il costo della vita è molto inferiore al nostro. Se dunque, da un punto di vista teorico, può essere vero che riducendo il carico fiscale si possono attirare nuovi contribuenti generando così reddito e occupazione, da un punto di vista pratico la realtà è diversa e molto più complessa. Infatti, la concorrenza fiscale sia interna sia internazionale è un gioco a somma negativa per gli enti pubblici e le collettività locali. Quali sono allora gli effetti negativi della concorrenza? Consideriamo la competizione tra cantoni. Supponiamo che, per esempio, il cantone Ticino riesca ad attirare grossi contribuenti (aziende) praticando una politica fiscale aggressiva. I grossi contribuenti che il Ticino riesce a importare sono sottratti a un altro cantone, per esempio Neuchâtel. Sul piano nazionale non cambia nulla per l’occupazione in quanto si tratta di un gioco a somma zero, se si fermasse a questo punto. Con ogni probabilità, però, il canton Neuchâtel replicherà riducendo a sua volta le proprie imposte, cercando in questo modo di recuperare competitività fiscale. Nel tempo, il risultato di questo gioco al ribasso è che tutti i cantoni perdono entrate fiscali. Ci sono allora due sole soluzioni, entrambe negative per la collettività. La prima è quella di ridurre la spesa pubblica, in pratica la quantità e/o la qualità dei servizi pubblici, per compensare i mancati introiti fiscali e far quadrare i conti dello Stato. Se non si può ridurre la spesa pubblica per motivi strutturali o magari solo contingenti (per esempio in prossimità di una elezione cantonale), la seconda soluzione, non meno problematica, è di aumentare il carico fiscale per quelle categorie di contribuenti che non sono interessanti sul piano fiscale oppure i cui interessi non sono difesi politicamente da gruppi (di pressione) ben organizzati. Nell’una e nell’altra soluzione, si generano all’interno del cantone delle situazioni di iniquità fiscale, a danno spesso di categorie di contribuenti poco abbienti e, proprio per questo, maggiormente bisognose. Esistono degli studi sulla migrazione da cantone a cantone dei contribuenti? A mia conoscenza non esistono studi sul piano nazionale che vanno oltre la mera recensione statistica di questo fenomeno, di cui spesso non è possibile conoscere le motivazioni. Ricordiamo poi che i cantoni sono poco propensi a divulgare informazioni sulla concorrenza fiscale in atto e sulle sue conseguenze, anche in termini di flussi migratori, per motivi di natura tanto strategica quanto finanziaria. Come valuta la situazione attuale della concorrenza fiscale in Svizzera? Ci sono grosse disparità finanziarie tra i cantoni, dovute a fattori non soltanto economici ma anche geografici. Per esempio, il canton Giura o il Vallese non hanno in pratica la possibilità di entrare in questa competizione, a causa della loro posizione geografica sfavorevole agli insediamenti aziendali e, di riflesso, dell’assenza di margine di manovra finanziario. Queste disparità sono in parte alleviate dalla perequazione finanziaria intercantonale per, come si sostiene, “preservare l’unità nella diversità”. Questo meccanismo permette ai cantoni relativamente poveri di offrire un livello minimo di servizi pubblici, grazie ai trasferimenti finanziari in provenienza dai cantoni relativamente più ricchi, i quali evitano così che delle disparità economiche troppo marcate suscitino la rivolta dei cantoni più poveri, con tutte le conseguenze del caso. Ma le regole del gioco non sono fissate dalla legge sull’armonizzazione fiscale? Come ho detto in precedenza, gli estensori di questa legge si sono concentrati sull’armonizzazione formale, lasciando tuttavia ai cantoni la sovranità per la determinazione delle aliquote di imposta e dei limiti delle deduzioni fiscalmente consentite. Non esiste dunque attualmente una reale armonizzazione fiscale. Anche se i cantoni hanno manifestato, e sancito nel concordato del 1948, la loro volontà di mettere dei limiti molto stretti alla concorrenza fiscale, l’attualità ci mostra che le dichiarazioni di intenti sono diverse dalla realtà dei fatti. I cantoni continuano a operare oggi in una zona grigia, concedendo vantaggi fiscali soprattutto agli alti redditi e alle aziende, in un regime opaco che avvantaggia soltanto le aziende più aggressive sul piano negoziale. Possibili rimedi Sergio Rossi, quale potrebbe essere la soluzione per ridurre la concorrenza fiscale fra i Cantoni elvetici? Una prima soluzione sarebbe quella di garantire lo scambio assoluto di informazioni tra le autorità fiscali di tutti i cantoni, come del resto già impone il concordato intercantonale del 1948, tuttora in vigore. Questa trasparenza tra i cantoni permetterebbe di evitare le situazioni di asimmetria di informazione da cui oggi traggono vantaggio le aziende per negoziare ulteriori ribassi fiscali. Si dovrebbe quindi istituire un’autorità centrale di coordinamento e sorveglianza, a cui ogni cantone possa ricorrere e denunciare le pratiche che violano il concordato intercantonale. Questo porterebbe a una sorta di equilibrio cooperativo tra cantoni, rappresentato da un livello di concorrenza fiscale sostenibile per tutti. Una soluzione più drastica, ma rispettosa del federalismo, sarebbe quella di rendere in tutti i cantoni uniforme dal punto di vista sostanziale l’imposizione fiscale delle aziende, introducendo una sola aliquota d’imposta. Il federalismo sarebbe assicurato dalla ripartizione delle entrate fiscali tra i cantoni sulla base di un articolo da introdurre nella Costituzione federale e che potrebbe rifarsi alla chiave di ripartizione dell’imposta federale diretta. Quindi lei è per un’imposizione unica in tutta la Svizzera? Se lo spirito della legge federale sull’armonizzazione dell’imposizione diretta fosse tradotto in pratica, anziché permettere ai cantoni di decidere sovranamente le aliquote di imposta e le deduzioni massime consentite (armonizzando solo formalmente le procedure), si dovrebbe realizzare una armonizzazione sostanziale dell’imposizione fiscale diretta, tassando allo stesso modo in tutta la Svizzera ogni franco di reddito prodotto dall’attività economica. Ed è un passo realizzabile? Difficilmente. I cantoni sono molto gelosi della loro sovranità fiscale. La Confederazione potrebbe decidere di procedere con una legge federale per l’imposizione unica, motivata dalla situazione attuale che mostra come la concorrenza fiscale tra cantoni è dannosa per tutto il paese senza essere benefica, nel tempo, per alcuna collettività locale. Bisogna in ogni modo arrivare a una soluzione, nell’interesse dei cantoni stessi e della Svizzera nel suo insieme. È poco lungimirante da un punto di vista politico e sociale non impegnarsi per fermare questo gioco a somma negativa che è la concorrenza fiscale sia tra cantoni sia tra nazioni fiscalmente sovrane.

Pubblicato il

13.01.2006 01:00
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