Fisco e giustizia sociale

La strada verso più giustizia sociale passa in primo luogo dalla politica fiscale. Troppo a lungo ignorata, questa verità da qualche tempo s’è imposta all’attenzione anche della sinistra svizzera, confrontata sia alla crisi dell’economia che a quella delle finanze pubbliche, ma anche ad un’ideologia del meno stato che mai come oggi sembra avere il vento in poppa. Di quanto sia difficile la battaglia sul terreno fiscale ci si sta accorgendo infatti proprio in questo periodo. Lasciamo stare l’aberrante proposta dell’aliquota unica avanzata in Germania da Paul Kirchhof, il consulente economico di Angela Merkel. Basta guardare cosa succede in Svizzera con i guadagni in borsa che sono sempre esenti da imposizione, mentre il lavoro è tassato fino all’ultimo centesimo: e quando si chiede alla maggioranza di centrodestra se questo sia socialmente giusto le risposte sono evasive (cfr. il servizio a pag. 6). Ma ancor più significativo la scorsa settimana è stato il dibattito al Consiglio nazionale sull’imposizione globale di circa 3 mila ricchissimi stranieri (da Michael Schumacher al patron di Ikea Ingvar Kamprad). Essi possono concludere accordi fiscali con i cantoni: in media il loro reddito è calcolato in appena 245 mila franchi all’anno. Il Nazionale ha spazzato via un’iniziativa parlamentare socialista che chiedeva l’abolizione di questo privilegio. L’insospettabile Nzz am Sonntag ha commentato: «il livello del dibattito è stato deprimente, per non parlare degli argomenti della commissione. Nemmeno la traccia di una visione per un modello fiscale che tenga meglio conto dell’effettiva capacità economica di questi stranieri». Non stupisce: il solito Christoph Blocher vorrebbe estendere il privilegio fiscale anche ai superricchi svizzeri, troppo tentati, dice lui, da modelli fiscali analoghi presenti all’estero. Ma nei prossimi mesi sarà la riforma dell’Iva a tenere banco. Il ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz preferirebbe un tasso unico compreso fra il 5 e il 6 per cento, invece del tasso usuale al 7,6 per cento e dei tassi differenziati per i beni di prima necessità (2,4 per cento) e per il settore alberghiero (3,6 per cento). Di un tasso più alto per i beni di lusso nemmeno si parla. Per Merz comprare una pagnotta o una bottiglia di champagne sono la stessa cosa, poco importa se sia il ricco che il povero hanno fame e sete allo stesso modo. L’importante è ridurre il lavoro amministrativo (una necessità per altro riconosciuta anche dalla sinistra). Con buona pace della giustizia sociale: con un tasso unico al 5,5 per cento una famiglia normale spenderebbe all’anno circa 700 franchi in più per vivere. Calcolate voi invece quanto un Marcel Ospel o un Michael Schumacher risparmierebbero sul loro Rolex o sulla loro nuova villa. E chiedetevi se ne hanno bisogno per vivere.

Pubblicato il

14.09.2005 00:30
Gianfranco Helbling