Fiscalità e competitività

Un economista della prestigiosa Università di Oxford definisce – con humour tipicamente inglese – gli economisti come persone che, quando vedono qualcosa fuzionare in pratica, si chiedono se funziona anche in teoria… Per molti economisti, i dati che vedremo tra poco sono un bel grattacapo. La loro teoria sostiene che un elevato livello di fiscalità compromette la competitività economica di un Paese. I prelievi fiscali scoraggerebbero tutto: il lavoro e la produttività, il consumo e il risarmio, gli investimenti e l’intraprendenza. Farebbero fuggire i capitali e i cervelli e porterebbero al declino economico. Per rilanciare lo sviluppo competitivo di un Paese, la sua “concorrenzialità sistemica”, la crescita e il benessere, la ricetta più efficace in materia di fiscalità e di spesa pubblica sarebbe una sola: ridurre, ridurre, ridurre. Sappiamo che questa teoria trova accoliti anche in Svizzera e in Ticino ed esercita un certo fascino a livello popolare: i risultati elettorali dell’Udc ne sono una prova recente. Passiamo ora dalla teoria alla realtà. Due diversi centri di ricerca a livello internazionale – il World Economic Forum (Wef) e l’Imd (istituto della Nestlé) – hanno stabilito la graduatoria dei Paesi più competitivi del mondo: la prima pubblicata nel Global Competitiveness Report 2003, la seconda nel World Competitiveness Yearbook 2003. La prima situa ogni Paese rispetto ai 102 analizzati, la seconda definisce due graduatorie: fra Paesi con più di 20 milioni di abitanti, e fra Paesi o grandi regioni con meno di 20 milioni di abitanti. Vediamo i risultati. Secondo il Wef, i sette paesi più competitivi sono i seguenti, nell’ordine: Finlandia, Usa, Svezia, Danimarca, Taiwan, Singapore, Svizzera. Secondo l’Imd, le sette economie più competitive con meno di 20 milioni di abitanti sono: Finlandia, Singapore, Danimarca, Hong Kong, Svizzera, Lussenburgo, Svezia. Da parte sua, l’Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico pubblica il confronto internazionale delle “quote fiscali”, cioè del rapporto fra il prelievo fiscale complessivo e il prodotto interno lordo (pil) di un Paese (purtroppo, fra i Paesi citati nella graduatoria della competitività, mancano Taiwan, Singapore e Hong Kong). E qui viene il bello: i tre Paesi con la fiscalità più pesante sono la Svezia (gettito fiscale pari al 51,4 per cento del pil), la Danimarca (49,8 per cento) e la Finlandia (46,1 per cento). Quest’ultimo Paese è al primo posto in entrambe le graduatorie della competitività, la Danimarca è al quarto posto per il Wef e al terzo per l’Imd, la Svezia al terzo, rispettivamente al settimo. Insomma, i tre Paesi con il fisco più rapace (attorno al 50 per cento del pil) sono ai vertici della competitività! Gli Stati Uniti e la Svizzera – che hanno la fiscalità più leggera (28,9 per cento del pil il primo, 30,6 per cento la seconda) – sono l’eccezione più che la regola, perlomeno fra i Paesi occidentali: non sarebbe forse ora, per gli economisti, di adattare la teoria alla realtà, anziché predicare come pappagalli che la fiscalità uccide la competitività?

Pubblicato il

21.11.2003 13:30
Martino Rossi
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