Fino a 3 mila schiave in Svizzera

Schiavitù, in Svizzera, oggi? Non è possibile, siamo tentati di esclamare. Purtroppo è una realtà anche da noi. Tocca soprattutto donne costrette a prostituirsi. Per poter combattere la tratta di esseri umani le vittime devono denunciare i loro oppressori. Lo fanno solo se esiste un’efficace protezione delle vittime. Il numero delle vittime della tratta di esseri umani a livello mondiale varia, secondo le fonti, da 700 mila a 2,4 milioni. L’Unione europea stima che ogni anno 120 mila persone, vittime della tratta, sono introdotte illegalmente in Europa occidentale. L’Ufficio federale di polizia, nel 2002, riteneva che in Svizzera si contavano tra 1’500 e 3 mila vittime della tratta di esseri umani, e precisava che erano in maggioranza donne sfruttate nella prostituzione provenienti dall’Europa orientale, dalla Thailandia e dal Brasile. In Svizzera gli autori di questo reato sarebbero famigliari in senso lato, piccoli gruppi di persone della stessa provenienza delle vittime, talvolta cittadini svizzeri. La tratta di esseri umani è stata, recentemente, al centro di un convegno all’Università di Berna, diretto dal professor Walter Kälin, rinomato specialista dei diritti umani. Spesso giovani donne arrivano piene di speranze in Svizzera poiché una connazionale ha offerto loro un lavoro ben retribuito. Poi vengono informate di avere un grosso debito, ad esempio di 20 mila franchi, e per saldarlo sono costrette a prostituirsi, rinchiuse e sorvegliate. Tuttavia alcune riescono a fuggire. Nella Svizzera tedesca il centro d’informazione femminile per donne degli altri continenti e dell’Europa orientale, il cosiddetto Fiz, assiste queste vittime anche psicologicamente e procura loro un alloggio sicuro. Se le vittime non sporgono denuncia, l’autorità giudiziaria non può intervenire e gli sfruttatori la fanno franca. Ma senza una efficace protezione le vittime che si trovano in Svizzera senza permesso non possono esporsi. Finora si contano poche denunce, da 20 a 50 ogni anno, e le condanne sono pochissime, da due a cinque. La ragione? È molto difficile per i procuratori pubblici fornire le prove. A Berna la portavoce del Fiz ha criticato la protezione insufficiente delle vittime. Ma ultimamente sono stati ottenuti sensibili miglioramenti. Ad esempio a Zurigo e in altri cantoni sono stati istituiti dei gruppi di lavoro che riuniscono le diverse autorità coinvolte e il Fiz. Mancherebbero ancora le strutture diurne per le vittime, la possibilità di lavorare e di ricevere un permesso di soggiorno. Un altro progresso si dovrebbe realizzare entro quest’anno: in seguito all’approvazione del cosiddetto Protocollo di Palermo del 2000 l’attuale paragrafo del codice penale, troppo restrittivo, sarà sostituito. Con la nuova proposta fatta dal Consiglio federale al Parlamento la tratta di esseri umani verrà punita anche se collegata allo sfruttamento del lavoro della vittima e al prelievo di organi. Creare un rapporto di fiducia Prima di altri cantoni il Ticino ha preso sul serio la lotta alla tratta di esseri umani. Il commissario Bruno Ongaro, commissario della polizia cantonale a Lugano, ha spiegato come opera il gruppo di lavoro specializzato della polizia ticinese. I luoghi conosciuti, bordelli e appartamenti, sono tenuti d’occhio discretamente. Gli agenti sono particolarmente attenti quando circolano macchine grosse con targhe straniere e spuntano personaggi dell’ambiente ormai noti. Come si riconosce nel giro del sesso una donna che è costretta alla prostituzione? «Le vittime di solito hanno pochi soldi, pochi oggetti privati, sono impaurite e lavorano per pochi giorni nello stesso luogo», risponde il commissario. Se una vittima, forse in seguito a un intervento della polizia in un bordello, vuole uscire dal giro, è portata in un posto sicuro e la polizia avverte l’Ufficio del servizio sociale del cantone che si occupa dell’aiuto alle vittime di reati in base alle Legge federale del 1993. «È importante creare un rapporto di fiducia con la vittima, fare una denuncia è un po’ come un tradimento, la donna deve quindi ponderare se vuole farla», spiega Ongaro. È nell’interesse della polizia che le vittime sporgano denuncia poiché solo così possono intervenire contro chi sfrutta la tratta di esseri umani. Se le donne lo fanno devono rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria, saranno sentite quale testimoni, forse anche al processo. Tuttavia certe donne vorrebbero tornare immediatamente nel loro paese, ma capita che la polizia consiglia di aspettare poiché potrebbero essere oggetto di rappresaglia da parte degli autori della tratta. Delle poche condanne in relazione alla tratta di esseri umani, una buona parte è stata pronunciata da tribunali in Ticino: due nel 2003, cinque nel 2004, una nel 2005. I condannati provengono dai paesi dell’est; uno era svizzero. Anche donne dal Brasile sono costrette a prostituirsi in Ticino, ma secondo Ongaro arrivano tramite organizzazioni criminali del Sudamerica; finora non c’è stato nessun processo contro esponenti di quel giro. Sostegno alle vittime E le vittime? Appena chiamata dalla polizia, interviene una collaboratrice del Servizio sociale cantonale. «Le vittime hanno bisogno di sostegno psicologico, poiché spesso hanno subito violenza, talvolta hanno bisogno di un medico, ma anche di vestiti e un po’ di soldi. Di tutto ciò si occupano le nostre collaboratrici», spiega Roberto Sandrinelli, capo dell’Ufficio del servizio sociale. Le donne vengono collocate in una pensione. Se esiste il pericolo di persecuzione da parte dell’oppressore, si conduce la vittima in una struttura protetta, in una casa per donne maltrattate. Alcune di queste donne che si trovano in Svizzera senza permesso rimangono poco, alcune settimane, altre per molti mesi poiché devono comparire in veste di testimone in tribunale. Dopo il processo, al più tardi, sono obbligate a lasciare la Svizzera. Adesso esiste la possibilità di un aiuto al ritorno tramite l’Organizzazione internazionale della migrazione; questo aiuto è stato concesso in un caso. Per vittime con gravi problemi di salute, o se permane un grave pericolo di rappresaglia dopo il ritorno nel suo paese, può essere concesso a titolo eccezionale un permesso di soggiorno; in Ticino finora questo caso non si è verificato. Fiero dell’articolo 12, ma solo a metà «Sono fiero dell’articolo 12 della nostra Costituzione», ha detto il direttore dell’Ufficio della migrazione, Eduard Gnesa, in una discussione in occasione del convegno sulla tratta di esseri umani e il contrabbando di persone a Berna. L’articolo dice: «Chi è nel bisogno e non è in grado di provvedere a sé stesso ha diritto d’essere aiutato e assistito e di ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa». Sono d’accordo con il direttore Gnesa: per questo paragrafo possiamo andar fieri. Ma solo per quello che è scritto nella nostra Costituzione. Non possiamo assolutamente andar fieri per come l’art. 12 viene applicato nei cantoni rispetto ai richiedenti l’asilo. Aggiungo: l’articolo in questione non si applica unicamente ai cittadini svizzeri e ai domiciliati, ma a tutte le persone che si trovano nel nostro paese, con o senza permesso. I richiedenti l’asilo con una decisione di non entrata nel merito cresciuta in giudicato devono lasciare i centri federali o cantonali per richiedenti. Non hanno più vitto e alloggio, ma le autorità cantonali o comunali sarebbero obbligate a dare un aiuto d’emergenza a chi ne ha bisogno come prevede la Costituzione. Come lo fanno? Alcuni mettono a disposizione una struttura in montagna o comunque lontano dai centri, difficile da raggiungere. In Ticino le autorità competenti hanno scelto, all’inizio, un centro di protezione civile sul Monte Ceneri. A parte il fatto che non era raggiungibile proprio facilmente, si poteva entrare solo verso sera, vi veniva servito un pasto caldo, ma dopo aver dormito, la mattina presto, i richiedenti l’asilo respinti dovevano lasciare il centro. Ma dovevano lasciare pure il comune anche se volevano ritornare la stessa sera. Era il regolamento che lo chiedeva poiché proibiva agli ospiti del centro di sostare sul territorio comunale durante il giorno. Quindi queste persone senza soldi dovevano lasciare a piedi il comune, stare a passeggio in altri comuni, per poter ritornare la sera al centro. Il messaggio di molti cantoni – alcuni si saranno comportati diversamente – è chiarissimo: richiedenti respinti, non vi vogliamo, scomparite! Sull’applicazione del bell’articolo costituzionale il direttor Gnesa non ha speso una parola. Lo stesso, possiamo essere fieri dell’art. 12, però solo a metà.

Pubblicato il

10.02.2006 02:30
Beat Allenbach