Finito il lockdown, tornata la violenza

Da maggio le richieste d'aiuto da parte delle donne son tornate a crescere

Oggi, 25 novembre, ricorre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un fenomeno purtroppo ancora molto presente in tutto il mondo e che si manifesta in svariate forme, in tutti i contesti culturali e socioeconomici.

 

A livello planetario, le forme di violenza e i soprusi cui vengono sottoposte le donne sono molteplici: le spose bambine in alcune culture sono ancora realtà tollerata; in certe parti del mondo alle donne viene tolto l’utero per poter fare in modo che lavorino senza l’inconvenienza del ciclo mestruale; un po’ ovunque ogni giorno sappiamo che ci sono donne che vengono violentate, trucidate e anche uccise. C’è poi la violenza domestica, che vede come vittime le donne nella stragrande maggioranza dei casi. Ma c’è anche un tipo di violenza più subdolo e difficile da dimostrare, una violenza capace di sgretolare la dignità femminile senza che alla persona venga torto un capello e, a volte, senza nemmeno che la vittima si renda subito conto di essere una vittima. Essere controllate in modo maniacale dal partner è una violenza. Non avere il diritto di disporre delle risorse economiche perché il marito o il compagno lo vieta, è violenza. Essere costrette ad avere un rapporto sessuale, anche se si tratta del proprio partner, è violenza, così come lo è sentirsi derise, insultate e umiliate in pubblico.

Episodi di violenza di genere vengono spesso attribuiti a un momento di follia, a un raptus magari dovuto a comportamenti della vittima stessa, che diventa allora colpevole: se una ragazza viene stuprata deve in qualche modo dimostrare di non essersela cercata prima di ricevere comprensione e aiuto; se una donna vuole separarsi dal partner e questi non è d’accordo e la picchia si sente ancora troppo spesso chi ne giustifica il comportamento e questo purtroppo avviene anche nei casi di femminicidio. Un meccanismo perverso che non aiuta né a sradicare il fenomeno della violenza contro le donne, né a spingere le donne a denunciare eventuali abusi, perché in qualche modo il messaggio che passa è che siano esse stesse causa del loro male.

Parlare della violenza di genere è importante, lo si dovrebbe fare anche all’infuori delle ricorrenze internazionali, perché, come ci conferma il sergente maggiore capo Giorgio Carrara, coordinatore della violenza domestica per la polizia cantonale ticinese: «Più se ne parla, meglio è. Bisognerebbe affrontare l’argomento più spesso nel corso dell’anno, perché dal mio osservatorio mi rendo conto che quando vengo invitato a parlare della violenza sulle donne alle conferenze o attraverso delle interviste, nei giorni e nelle settimane che seguono noto un aumento delle segnalazioni», spiega.

 

La situazione in Svizzera

Quanto è ampio il problema della violenza sulle donne in Svizzera ce lo dicono le statistiche (aggiornate al 2018), che però prendono in conto quasi esclusivamente la violenza domestica:

ogni due settimane nel nostro paese una persona muore a causa della violenza domestica, nella stragrande maggioranza dei casi la vittima è di sesso femminile;

• tra il 2009 e il 2018, 471 donne sono state vittima di omicidi o tentati omicidi (gli uomini erano 191);

• il 74 per cento degli omicidi commessi tra il 2009 e il 2018 hanno avuto come vittime donne o ragazze.

Per quanto riguarda il Ticino, Carrara afferma che c’è stato un aumento negli ultimi tre anni e si è passati da una media di due interventi al giorno a tre: «Fatte le dovute proporzioni, siamo agli stessi livelli della vicina Italia, dove la situazione è certamente allarmante se si parla di violenza domestica e, in particolare, sulle donne», afferma il sergente maggiore.

 

Covid-19, lockdown e violenza

Vista la tendenza all’aumento del fenomeno registrata in tutta la Svizzera, e dati i segnali allarmanti che giungevano dai paesi vicini, all’inizio della pandemia, nel mese di marzo, gli esperti temevano che le restrizioni alla libertà di movimento potessero acuire il problema. Per essere pronti all’eventualità è stata istituita un’apposita task-force che ha monitorato la situazione tramite i consultori cantonali e la polizia. Fortunatamente non c’è stata la temuta esplosione e, anzi, durante il lockdown iniziato a metà marzo c’è stato addirittura un calo delle segnalazioni a livello nazionale. A partire dai primi allentamenti nel mese di maggio alcuni cantoni hanno però registrato una crescita delle consulenze per violenza domestica e il tasso di occupazione di alcune case di accoglienza è tornato a crescere.

Il Ticino rispecchia questa tendenza, con un mese di marzo eccezionalmente tranquillo e un aumento delle segnalazioni a partire da aprile/maggio, ma senza un grosso aumento imputabile alla situazione pandemica: «In questa seconda ondata siamo più o meno nello standard normale degli ultimi anni, con un leggero aumento degli interventi in generale, ma è difficile fare un legame tra violenza e pandemia. Quello che abbiamo sicuramente notato nel mese di aprile è stato un aumento dei litigi tra figli adolescenti e genitori, nei mesi a seguire c’è invece stato un andamento molto altalenante dei casi di violenza domestica», spiega Carrara.

Anche nelle strutture di accoglienza come Casa Armònia e la Casa delle donne, il mese di marzo è stato caratterizzato da un’insolita tranquillità: «Effettivamente nelle prime settimane del lockdown non ci sono state richieste di accoglienza e di ascolto telefonico da parte di donne, le uniche due chiamate ricevute sono state da parte di un professionista e di un Servizio. Anche al Consultorio Alissa non vi sono state chiamate», ci dicono dall’associazione Armònia. Il nemico, secondo loro, era vissuto al di fuori del privato: «Le persone sono state confrontate con la paura ancestrale della morte. L’uomo problematico aveva la donna sotto controllo e la donna, generalemente più riflessiva, ha subìto nel silenzio certe discussioni». A partire dagli allentamenti di marzo si è tornati alle situazioni altalenanti di prima.

Per quanto riguarda la Casa delle donne non c’è stato un aumento a livello di necessità di protezione: «La casa era già piena prima della pandemia e fortunatamente non abbiamo dovuto rifiutare l’aiuto a nessuno perché non abbiamo ricevuto richieste. Quello che è successo in primavera è stato un protrarsi più a lungo nel tempo della permanenza delle ospiti dovuto proprio al lockdown».

Anche la Delegata per l’aiuto alle vittime di reati, Cristiana Finzi, conferma l’andamento: «Dall’estate ad oggi le segnalazioni sono nuovamente aumentate e i numeri equivalgono a quelli del 2019».

Secondo gli esperti, per sapere con certezza se la pandemia ha avuto e avrà conseguenze sulla violenza domestica è però ancora prematuro, occorrerà attendere l’evolversi della situazione nei mesi a venire.

 

Pubblicato il

25.11.2020 08:55
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