Fine della Storia a Boncourt

Chiude i battenti la fabbrica di sigarette della British American Tobacco fondata a inizio Ottocento nel Giura

Martedì 13 dicembre, è mattina, il nostro treno è arrivato a Boncourt, ultima stazione prima del confine francese. Il termometro è ben al di sotto dello zero e il freddo entra nelle ossa. La decisione della British American Tobacco (Bat) è stata rimandata a mercoledì, ma decidiamo comunque di recarci sul posto per cercare di capire che aria tira nel piccolo villaggio del Giura.

 

La parte di paese a ridosso della stazione, fatta di eleganti villette monofamiliari e qualche stazione di servizio, è semideserta. Ci incamminiamo allora subito verso la zona industriale e incontriamo il postino di paese. A lui chiediamo cosa ne pensa dell’affaire Bat. Non è molto loquace, ma ci fa capire che la situazione è piuttosto grave: Boncourt dipende in gran parte dalle entrate fiscali della fabbrica di sigarette fondata nel 1820 dalla famiglia Burrus.

 

Un’impresa di famiglia

I Burrus arrivarono nel Giura dall’Alsazia nel 1814. È stato Martin Burrus a gettare le basi di un impero industriale che è durato per ben sei generazioni, fino al 1996, anno della vendita dell’azienda alla multinazionale Bat. I Burrus, ferventi cattolici, sono stati dei mecenati e il paese mostra ancora i segni delle donazioni della famiglia alla comunità. Un esempio su tutti: la sede del Comune è l’antica residenza di famiglia.

 

Qui incontriamo Josué Boesch, membro del Consiglio comunale, che ci spiega in che termini il piccolo villaggio sia in difficoltà per un eventuale partenza della fabbrica verso l’estero. L’epoca del mecenatismo è finita da un po’, ma le entrate fiscali garantite da un’azienda, i cui profitti oscillano tra i 100 e i 200 milioni di franchi all’anno, si faranno sentire comunque: «La chiusura della fabbrica creerà buchi nel nostro bilancio annuale nell’ordine di 2 milioni di franchi. Dobbiamo mettere in atto misure di risparmio straordinarie e aumentare le nostre entrate attraverso le tasse. Tutto ciò avrà degli effetti evidenti, ad esempio, sulle nostre attività culturali, sul finanziamento delle nostre attività sociali e anche sulla nostra squadra di basket». A Boncourt, dove vivono poco più di 1200 anime, c’è infatti una squadra che gioca nella massima serie; nell’ultimo anno ha ricevuto ben 50.000 Chf dal Comune. Questa somma, ovviamente, non potrà più essere garantita.

 

Tra tristezza e rabbia

Arriviamo a ridosso del sito di produzione, durante la pausa pranzo, e subito cerchiamo di intercettare qualche lavoratore in uscita dai cancelli. Nessuno sembra voler parlare. Si avverte rabbia, frustrazione, rassegnazione. Uno solo decide di parlare. Non può dire ancora nulla, ma ci fa capire che resta davvero poco da fare: «Abbiamo fatto di tutto, abbiamo elaborato un piano alternativo alla chiusura sin nei minimi dettagli, per ridurre i costi, ma credo che domani non ci saranno buone notizie». Christophe Mougin, questo il nome del dipendente Bat, ha lavorato alacremente insieme a una trentina di colleghi e ai sindacalisti di Syna e Unia. Tra di loro c’era anche Yves Defferard, responsabile del settore industria per Unia, che da giorni è sul posto per sostenere la causa del personale della Bat. Purtroppo, e lo apprendiamo proprio adesso durante la stesura di questo articolo, per lui non ci sarà niente da fare.


La Bat ha deciso di delocalizzare: «Credo che si sposteranno in Turchia, in Polonia o in Romania. Sono voci, non c’è nessuna certezza. A noi attende un piano sociale, ma al momento non ci voglio pensare. Questa decisione della dirigenza Bat è stata presa considerando soltanto l’interesse degli azionisti» Mougin, frontaliere di nazionalità francese, è amareggiato anche perché si trovava molto bene nel contesto aziendale.: «Lavoro qui da 15 anni e ho costruito davvero buoni rapporti con i colleghi. Siamo molto uniti, non c’è alcuna divisione tra frontalieri e residenti, durante questi giorni l’abbiamo dimostrato. La solidarietà è tanta».

 

Il piano sociale

L’azione della commissione del personale e dei sindacati non è riuscita a scongiurare la chiusura, ma è riuscita a migliorare il piano sociale.  Dopo 16 tornate di dure trattative con la direzione, le parti firmatarie del piano sociale hanno raggiunto un accordo. Il risultato di queste trattative è stato presentato oggi all’assemblea del personale ed è stato accettato a larga maggioranza. I dettagli del piano non ci sono ancora noti. Durante l’assemblea erano presenti 200 dipendenti, la quasi totalità del personale. Al termine della riunione, tra il personale regnavano tristezza e delusione. Nonostante il piano sociale, i 226 dipendenti perderanno il posto di lavoro. Anche nell’indotto potrebbero esserci delle perdite di posti di lavoro importanti.  

Pubblicato il

15.12.2022 11:14
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