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Finanza, case e castelli di carta |
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"Prestare, prestare e poi prestare", con queste parole un banchiere "al fronte" della piazza luganese ci ha spiegato la pressione esercitata questi ultimi anni dagli istituti finanziari sugli impiegati responsabili di elargire crediti. L'esubero di liquidità, i bassi tassi di interesse e la necessità di fare risultati il più velocemente possibile hanno spinto gli intermediari finanziari ad acquistare ogni prodotto che permetteva di intravedere un profitto, anche se rischioso e poco trasparente sul contenuto. E di soldi ne hanno fatti parecchi. L'attuale crisi del mercato immobiliare americano ha mietuto vittime illustri. Citigroup e Ubs hanno annunciato perdite per quasi 11 miliardi di franchi lasciando capire che la previsione potrà essere rivista al rialzo. Il top manager del gigante elvetico ha reagito spodestando l'attuale direttore finanziario e ricollocando il capo del settore investimenti. È stato pure annunciato il licenziamento di 1'500 dipendenti. A pochi giorni da questi preoccupanti annunci la borsa mostra tuttavia la massima spensieratezza e come se nulla fosse successo gli investitori sono tornati euforici. C'è ripresa anche per i discussi prodotti strutturati costruiti sulle ipoteche "subprime" (mutui elargiti a chi aveva scarse garanzie di solvibilità) che hanno tanto preoccupato questa estate. La banca d'affari JPMorgan afferma che nell'ultima settimana di settembre sono stati creati prodotti strutturati basati sui famigerati debiti americani per 6,2 miliardi di dollari. Il mercato dei capitali si comporta come se il peggio fosse passato oppure – come è più probabile – resta convinto che la banca centrale americana potrà spegnere ogni focolaio che potrebbe innescare incendi a catena. Intanto negli Stati Uniti il numero di proprietari che hanno acceso un'ipoteca che non potranno onorare è salito a cifre record. L'ascesa delle procedure che portano alla perdita della casa è più che raddoppiata nel giro di un anno (si veda il grafico in pagina). 250 milioni di famiglie rischiano di vedersi riscattare dal creditore ipotecario la casa. Così mentre in borsa ritorna il sereno la vendita e il prezzo delle abitazioni negli Usa sono precipitati, la bolla si sgonfia. La speculazione non ha creato alcuna ricchezza, l'ha semplicemente ridistribuita. Se prevedere la crisi del mercato immobiliare statunitense non era difficile – area ne aveva già scritto nel numero 43 del 22 ottobre 2004 – meno facile risulta capire per quale motivo la finanza mondiale è sempre più madre di investimenti che non producono nulla. Enormi somme sono state fatte confluire verso un mercato a rischio come quello delle ipoteche "subprime" americane. C'è qualcosa di miracoloso nella capacità della finanza creativa odierna di "cavare sangue anche da una rapa" – perché c'è chi ha guadagnato da questa bolla –, ma anche e soprattutto qualcosa di malsano. Come è possibile che banche del calibro di Ubs caschino nelle trappole come quelle dei "subprime" americani? E cosa spinge la finanza internazionale a scommettere su attività che non si fondano sulla creazione di un prodotto o un servizio? Dove si è inceppata la finanza di oggi? Nell'articolo sotto ne abbiamo parlato con Sergio Rossi, dottore in economia e titolare della cattedra di macroeconomia ed economia monetaria presso l'Università di Friburgo.
"Il sistema è malato"
Sergio Rossi, da che cosa è causata l'attuale crisi del sistema finanziario? La crisi si è manifestata nel settore legato ai prestiti ipotecari con forte rischio di insolvenza negli Stati Uniti, ma le sue origini sono imputabili tanto all'autorità pubblica quanto agli agenti finanziari. Alla base vi è soprattutto la volontà degli operatori finanziari di guadagnare denaro in maniera sproporzionata e senza alcun legame con le attività produttive, dimenticando che è la produzione, non la speculazione, a generare reddito per l'insieme della società. Una parte degli odierni operatori sui mercati finanziari, quella speculativa nella sua accezione negativa, vuole guadagnare speculando su delle attività che non hanno alcun legame con la produzione. Questi operatori scommettono sulla possibilità di una produzione futura e sulla conseguente formazione di un reddito, che potrebbero tuttavia anche non esserci. Questi intermediari finanziari non si fanno scrupoli nel prestare soldi per attività economiche che non produrranno nulla, ma che sono da loro finanziate al fine di indurre la domanda aggiuntiva, di cui scriveva Keynes, necessaria al sistema economico capitalista per crescere e continuare così a generare dei profitti. Nella crisi dei mutui ipotecari statunitensi sono stati prestati dei soldi a delle persone che non avevano un reddito sufficiente per onorare questi prestiti, speculando sul fatto che la crescita economica avrebbe permesso in un modo o nell'altro a queste persone di pagare almeno gli interessi sul debito. Questo rischio è stato poi abilmente impacchettato come in una matrioska il cui contenuto era, come si è rivelato, esplosivo. Per quale motivo la macchina finanziaria internazionale ha deciso di investire su un mercato ipotecario rischioso come quello dei subprime statunitensi? Visti i bassi tassi di interesse nell'economia statunitense, favoriti dalla politica monetaria messa in atto dalla banca centrale degli Stati Uniti nei primi anni di questo millennio, e le enormi somme di denaro disponibili, gli speculatori hanno intravisto possibilità di guadagno erogando prestiti a chi in realtà non offriva sufficienti garanzie per il rimborso. Questi prestiti ad alto rischio di insolvenza sono stati elargiti grazie a una duplice rete di protezione, fornita, da una parte, dalla garanzia che la banca centrale assicura contro i rischi sistemici, dall'altra, dal trasferimento del rischio legato a tali prestiti, che è stato sparpagliato nei mercati internazionali attraverso la loro "cartolarizzazione". I tassi di interesse molto bassi e la mancanza di attività produttive ritenute sufficientemente redditizie hanno portato gli operatori finanziari a investire grosse somme in attività che poco o nulla hanno a che fare con la produzione. Nonostante le perdite di due giganti della finanza come Ubs e Citigroup (9,3 miliardi di dollari in totale) la Borsa ha reagito con euforia agli annunci. Come se lo spiega? La reazione di questi due istituti è stata quella di annunciare con solerzia le perdite subite, giocando in questo modo la carta della trasparenza, comunicando pure i nomi dei responsabili che si sono poi immediatamente licenziati. Entrambi hanno anche anticipato quali saranno le misure che intendono mettere in atto per evitare altre perdite. Ubs ha già indicato la riduzione del personale (1'500 unità, ndr). La Borsa ha premiato questi annunci, perché si aspetta che le perdite attuali non influiranno sui guadagni futuri di queste società, viste le misure annunciate. Insomma, la Borsa premia le aziende che annunciano tagli al personale? Sì, agli operatori finanziari interessa che le aziende quotate in Borsa registrino degli utili in continua ascesa. Per tale motivo, quando le aziende hanno delle perdite, poco importa la loro origine, l'onere di rientrare in zona utili è ribaltato sui lavoratori, che spesso non beneficiano tuttavia dei maggiori profitti quando la situazione economica è buona. La Borsa premia questo comportamento, perché l'onere non graverà sui profitti delle aziende, ma sui loro lavoratori. Alcuni osservatori affermano che le banche sono rimaste loro malgrado coinvolte in una sorta di catena di Sant'Antonio. Lei è d'accordo nel ritenere che le banche non avevano idea di che cosa stavano comprando? Chi ha acquistato i titoli basati sui prestiti ipotecari ad alto rischio ha intravisto delle possibilità di guadagno. Va però aggiunto che per questi agenti non era sempre chiaro che cosa stavano mettendo nel portafoglio, data la complessità e l'opacità dei prodotti finanziari aventi per oggetto i mutui subprime. Ubs non ha finanziato direttamente i titolari delle ipoteche subprime, ma ha finanziato degli intermediari che a loro volta avevano "cartolarizzato" (cioè emesso titoli, ndr) questi debiti immettendoli sul mercato. Non era facile capire che cosa si stava acquistando in questo caso. È giusto che le banche centrali soccorrano la finanza speculativa? È giusto in quanto la crisi nel mercato finanziario travolge l'intera società, generando la perdita di numerosi posti di lavoro. È chiaro però che così facendo la banca centrale fornisce un'ancora di salvezza a chi agisce in maniera molto speculativa sui mercati e sa di poter contare sull'aiuto della banca centrale in caso di grossi problemi. Le banche centrali intervengono oggi dopo che una crisi si è manifestata, anziché prevenire queste situazioni, controllando non solo gli istituti bancari, ma anche i prodotti che le società finanziarie immettono sul mercato. Nel caso del mercato ipotecario statunitense dove sono stati commessi degli errori? Quali sono stati gli anelli deboli della catena? Le agenzie di rating (che dovrebbero valutare un prodotto finanziario, ndr) hanno promosso delle aziende che offrivano dei prodotti finanziari scadenti. D'altra parte, le informazioni date al pubblico su questi prodotti sono problematiche. Attualmente per capire la natura dei prodotti finanziari offerti sui mercati bisogna essere titolari di un dottorato in finanza ottenuto recentemente. Non so quanti bancari hanno capito che cosa stavano comprando e come abbiano spiegato ai propri clienti quello che gli stavano vendendo. Alcuni economisti ritengono le crisi finanziarie salutari per il sistema. Dal mercato vengono spazzati i deboli e restano solo i più forti. La crisi del sistema finanziario è endemica, fa cioè parte del sistema, e salutare oppure è il segno di una malattia più profonda? Se c'è una crisi, vuol dire che il sistema è malato. Fino a oggi, si sono curati alcuni sintomi, come la forte volatilità dei prezzi degli attivi finanziari, ma la malattia resta. Alla luce emerge il sintomo, la causa resta sommersa. Qual è la causa? La causa è lo scollamento sempre più marcato fra le attività finanziarie e quelle di produzione. Una volta la finanza era l'alter ego delle attività produttive: a fronte di ciascun investimento esisteva una produzione di beni o servizi e la conseguente formazione di reddito nell'insieme della società. Ora, invece, troppo spesso le attività finanziarie non hanno più alcun fondamento nella produzione. Per esempio, i prodotti finanziari strutturati consistono in titoli a dei redditi futuri, che potrebbero essere prodotti ma che potrebbero anche non esserlo. Si monetizzano dunque dei redditi che non esistono. La conseguenza è lo svilimento della moneta, a cui si cerca poi di rimediare con operazioni sempre più a rischio, fino al punto in cui la crisi si manifesta in maniera virulenta, imponendo l'intervento delle banche centrali. |
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