Vende poche automobili, e quelle poche che riesce a piazzare sul mercato le costruisce soprattutto all’estero. Nei paesi dell’est europeo, Polonia e Serbia, oppure in Turchia, tutti luoghi in cui il lavoro costa meno, la legislazione e il fisco sono a disposizione e i diritti di chi lavora più che aleatori. Morale: a Mirafiori come a Cassino gli operai lavorano più o meno tre giorni al mese, gli altri a casa, in cassa integrazione e stipendio ridotto; a Pomigliano meno della metà dei vecchi dipendenti sono stati riassunti nella nuova società imposta da Marchionne, e piuttosto che farne tornare in fabbrica degli altri, la Fiat impone gli straordinari al sabato ai “fortunati” a cui è stato restituito il tesserino (ma non i diritti). La Fiom che in nome della solidarietà indice picchetti davanti alla fabbrica contro gli straordinari è indicata al pubblico ludibrio. È la stessa Fiat quella che, contemporaneamente allo smantellamento dell’apparato produttivo e progettativo in Italia (tre fabbriche chiuse: Fiat auto a Termini Imerese, Cnh a Imola, Irisbus ad Avellino: centinaia di ingegneri e tecnici trasferiti a Detroit) compra molto. La famiglia Agnelli si compra l’informazione, non soddisfatta di possedere il 100% della Stampa rastrella azioni del Corriere della Sera fino a diventarne l’azionista più potente, controllando ormai più del 20% del giornale della borghesia italiana. Più informazione, meno critiche, più libertà di manovra. Per esempio meno titoli nei giornali italiani sull’incetta di crescenti pezzi di proprietà della Chrysler, ormai quasi completamente in mano Fiat. La conseguenza dell’investimento americano è lo spostamento del centro di gravità (comando, progettazione, modelli, ricerca, sperimentazione sui nuovi propulsori) da Torino a Detroit. Dunque, gli Agnelli i soldi per fare gli acquisti, e che acquisti, li hanno. Soldi che, crisi o non crisi, hanno accumulato grazie al lavoro operaio e ai sostegni pubblici di vari stati, da Roma a Varsavia, da Belgrado fino a Washington e adesso la Fiat ritiene di poter spendere come le pare quel plusvalore. Il problema, naturalmente, è la Fiat. Ma un problema non minore è rappresentato dalla politica e dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni. In un paese in cui la disoccupazione supera il 12%, quella giovanile il 40% e gli ammortizzatori sociali si stanno esaurendo, nessuno inchioda la principale multinazionale a un tavolo di confronto, se non altro per ricordare a Marchionne e ai suoi padroni torinesi che un’azienda che per 114 anni è stata assistita dallo Stato non può chiudere, licenziare, disinvestire (nel lavoro, non nei giornali) a suo piacimento. La Fiom si è trovata sola nella battaglia in difesa della dignità dei lavoratori e dell’industria italiana, senza sponde politiche e con l’ostilità degli altri sindacati. Ma il sindacato guidato da Maurizio Landini non demorde, e ancora venerdì scorso ha riempito il centro di Roma con la tute blu della Fiat. |