Festival e politica culturale

L’accettazione quasi plebiscitaria la scorsa settimana del nuovo credito quinquennale a favore del Festival internazionale del film di Locarno da parte del Gran Consiglio è certamente un fatto positivo. Il Festival è molto importante per la crescita e l’apertura culturali del Ticino, ma anche per chi nel nostro cantone dell’audiovisivo ha fatto o vuole fare la sua professione. E non disturba che nella mente dei politici ad aver prevalso siano state considerazioni di carattere turistico ed economico più che culturali: far sganciare soldi in nome della cultura è un’impresa che oggi appare improba, e d’altra parte tutti i grandi festival del cinema con una certa tradizione (da Locarno a Cannes a Venezia) sono nati a cavallo della seconda guerra mondiale proprio come strumenti di promozione turistica. Qualche considerazione a bocce ferme però può ancora essere opportuna. Ad esempio per dire che non è affatto vero che il credito messo a disposizione per il periodo 2006-2010 (12,5 milioni complessivi) è stato ridotto rispetto a quello del periodo 2001-2005 (13 milioni). Anzi, è semmai vero il contrario: dall’anno prossimo il Festival riceverà dal Cantone ancora più soldi. Perché, come già si disse al momento del suo stanziamento, una parte importante del credito per il quinquennio che sta per concludersi è servita ad estinguere ciò che restava dei debiti che il Festival aveva contratto negli ultimi anni della direzione di Marco Müller (terminata nel 2000), quando vi fu una forte divaricazione fra le legittime ambizioni della rassegna e i mezzi di cui disponeva. Oggi il Festival non ha più debiti, per cui i 12,5 milioni che esso riceverà nei prossimi 5 anni potranno essere interamente utilizzati per la gestione corrente e per gli investimenti. La cosa risulta ancor più evidente considerando che se nel 2001 il Cantone, nell’ambito del precedente credito quinquennale, aveva versato al Festival 3 milioni di franchi, questa cifra è stata progressivamente ridotta fino ai 2 milioni del 2005; dall’anno prossimo invece e fino al 2010 le tranches annuali saranno sempre di 2,5 milioni. Tutti però hanno parlato di un taglio ai sussidi del Festival di 100 mila franchi all’anno: già questo rende l’idea della qualità del dibattito. Che poi sia stata l’Udc a stracciarsi le vesti per opporsi al presunto taglio, dopo che quel partito per anni ha sparato contro il Festival considerandolo un covo di omosessuali, sinistroidi, elitari, antisvizzeri e perversi vari, ci fa soltanto sorridere. Un altro punto invece, assai più critico, è passato quasi del tutto inosservato (se si eccettua l’intervento di Sergio Savoia in Gran Consiglio), ed è l’aridità di argomenti culturali con cui il credito è stato sostenuto nel messaggio del governo e nel rapporto commissionale, al di là di molte enunciazioni generiche. Una pochezza che esprime l’incapacità del Cantone ad elaborare gli obiettivi di una politica culturale attiva ai quali orientare anche il credito al Festival. Ne è prova la convenzione fra il Cantone e la rassegna locarnese, in cui (giustamente) si parla di automazione delle casse e di dimensioni del logo del Cantone sugli stampati del Festival, dei termini per la presentazione dei conti e di quelli per il versamento dei crediti, ma non si definisce in nessuna maniera il mandato culturale affidato alla rassegna. Ci si limita all’evidenza, cioè che il Festival «s’impegna ad allestire la manifestazione». Punto. Eppure qualche problema da mettere a fuoco c’è. Ad esempio: come evitare in futuro che un’esperienza feconda nata dal Festival come la Fondazione Montecinemaverità, che sosteneva il cinema del Sud e dell’Est del mondo con importanti ricadute anche per la nostra regione, si esaurisca nell’indifferenza generale? Come dare concretezza al sempiterno dibattito sulla presenza del Festival sul territorio, obiettivo questo che il Festival stesso sempre disattende malgrado se lo sia scritto nei suoi statuti? O ancora: come mettere a profitto le competenze, i contatti e la professionalità acquisiti dallo staff del Festival mettendoli a disposizione di altre iniziative culturali nel cantone, dalla tecnica alla comunicazione? Di nuovo: il problema della mancanza di obiettivi di politica culturale e di strategie per raggiungerli non è del Festival, che fa bene il lavoro che gli si chiede di fare, ma del Cantone, che non sa cosa chiedere al Festival in cambio degli ormai non pochi soldi che gli dà. Per i prossimi cinque anni, visti i tempi che corrono, forse è saggio accontentarsi della sostanziale conferma del credito. Ma a partire dal 2010 non sarebbe male cominciare a dare qualche risposta ad alcuni di questi interrogativi.

Pubblicato il

20.05.2005 03:30
Gianfranco Helbling