Festival di Locarno, un programma senza programma

La prossima settimana il Festival del film di Locarno presenterà il programma della sua cinquantasettesima edizione. Sarà, al solito, un programma debordante, e può anche andar bene così: dolce ci può essere il naufragar in questo mare dell’abbondanza, dove ognuno si sceglie la sua rotta. Ma un altro programma sarebbe bello vedere e un’altra rotta sarebbe utile conoscere. Perché da un po’ di anni il Festival di Locarno sembra navigare senza seguire una stella precisa, se non il bisogno di piacere (agli sponsor, allo Stato, al pubblico, ai registi, agli invitati, ai politici, ai turisti: e accontentare tutti già non è facile). Si sceglie e non si seleziona, perché manca un vero criterio di selezione. Locarno s’è messo in competizione con gli altri festival generalisti, e con essi si contende i “film da festival” in una lotta a 360 gradi. Si dice che la colpa sia di Cannes, Venezia e Berlino, che hanno “invaso” i territori di Locarno, quelli delle giovani rivelazioni e delle cinematografie emergenti: ma siamo sicuri che non sia Locarno invece ad aver abbandonato questi territori senza essersi assicurato per tempo delle nuove riserve di caccia? Un esempio: nel suo primo anno locarnese la direttrice Irene Bignardi aveva parlato dell’idea di una sezione innovativa fra cinema, internet e nuove tecnologie, di cui poi non s’è più saputo nulla; quest’anno, sfruttando il territorio rimasto libero, Venezia lancia una sezione competitiva denominata “Venezia Digitale” dedicata a lungometraggi girati e proiettati in digitale o da consumare subito su dvd. Non solo. Locarno diluisce la sua idea di cinema, rinunciando in questo modo ancor più ad un profilo forte: il Festival dell’era Bignardi si qualifica molto più per i dibattiti sui contenuti che non per quelli sull’estetica e sul linguaggio cinematografici. Prova ne siano, oltre al proliferare di (comunque interessantissime) iniziative e tavole rotonde su temi non strettamente cinematografici, anche la retrospettiva 2004 dedicata al giornalismo nel cinema e la riproposta della megasezione sui diritti umani. Ma ciò che preoccupa di più è che questa mancanza di un orizzonte nitido nel futuro del Festival in quanto manifestazione culturale e cinematografica non solleva la men che minima discussione: Locarno è soffocato dalla cappa di consenso sui numeri, sulla sua importanza, sull’unicità (reale o ormai mitica?) della sua proposta. Se dibattito in Ticino c’è, è su temi da strapaese, come i rumori generati dalle attività collaterali della megarotonda di piazza Castello. Eppure un vero dibattito culturale su senso e scopo di un festival del cinema in Ticino oggi sarebbe necessario e, ora che si sono superati gli assilli finanziari più impellenti, anche possibile. Già soltanto per darsi un programma di sviluppo a media scadenza e tracciare una rotta nel grande mare del cinema che sappiano in una certa misura prescindere dalla personalità chiamata a dirigere il Festival: a maggior ragione se si considera che anche in quest’ambito ormai si naviga a vista, con una direttrice che rinnova il suo contratto di anno in anno e lavora quindi su orizzonti temporali limitati.

Pubblicato il

09.07.2004 05:30
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