Festate algerina

Festate non ha mai smesso di intrecciare da undici anni le sue trame di culture e musiche dal mondo. Sono trame di solidarietà, voci di artisti, donne e uomini che con la loro arte e cultura lottano per la democrazia e la libertà del loro paese d’origine. Sono storie di minoranze minacciate, di emigrati sfuggiti alla guerra, alla persecuzione, alla miseria di chi ha dovuto continuare il proprio cammino umano lontano dalle proprie radici. Festate cerca con le note, la gastronomia, la cultura, di rompere le barriere mentali che da sempre creano discriminazione e offre un podio privilegiato, quello della grande festa collettiva, per rompere il silenzio nel quale si affondano drammi di interi popoli. L’edizione di quest’anno, l’undicesima, si aprirà a Como il 14 giugno e, com’è ormai tradizione, proseguirà il 15 e 16 giugno a Chiasso. Sarà l’Algeria protagonista principale di quest’appuntamento, una nazione straziata tra integralismo e potere istituzionale oppressivo e brutale che soffocano nel sangue le voci che inneggiano alla democrazia. "Volevamo far conoscere — ci dice Marco Galli del gruppo organizzatore di Festate — l’altra faccia dell’Algeria, un paese dotato di una cultura musicale straordinaria dove convivono diversi generi. Noi abbiamo la fortuna di avere i rappresentanti di tutte le generazioni, da quelli del rap fino a Idir che ha il legame più forte con la tradizione". E ad aprire una finestra sul Paese, il 14 giugno a Como (Teatro Sociale, ore 21; unico concerto a pagamento: Fr. 12.- e 20.-; prenotazioni allo 0039-031-270171) ci saranno ambasciatori come Idir, alias Hamid Cheriet, un musicista che ha potuto ridare voce alla minoranza berbera algerina riproponendo la musica e la cultura kabylie. Esiliato a Parigi dal 1975, Idir fa parte di quel fiume di esuli senza "patria ufficiale" che si battono per il riconoscimento della propria cultura d’origine. Nel suo nome porta l’impronta di un destino di lotta: Idir, in lingua kabylie, vuole dire "vivrà" così come le madri chiamavano i figli più fragili. La sua musica, fatta di secche chitarre e percussioni, si distanzia molto dalle consuete sonorità orientali e nonostante il grande successo raggiunto in vent’anni di carriera (i suoi concerti all’Olimpia di Parigi registrano puntualmente il tutto esaurito), Idir ha inciso solo tre dischi. L’ultimo, "Identité" (1999), è riuscito nell’impresa di riunire artisti apparentemente molto diversi fra loro come Mau Chao, Zebda (ospiti di Festate ’96) o Thierry "Titi" Robin e a far loro interpretare brani del suo repertorio. Convinto che la musica kabylie, come qualsiasi altra musica abbia in sé il dono del linguaggio universale. Ma il grande rito della festa collettiva esploderà nella piazza Municipio di Chiasso venerdì 15 giugno, dalle 20.30, con gli Spaccanapoli. Nato in seguito alla travagliata spaccatura dello storico Gruppo Operaio E Zezi (Gropez), la formazione partenopea ha continuato a fondere tradizione folk con attualità sociale e politica riproponendo quegli stessi cavalli di battaglia che hanno reso famosi i Gropez. Brani che parlano di lavoro nero, di storie di strada, di rituali magici avvolti in note ipnotiche. Tanto ipnotiche da ammaliare Peter Gabriel che ha voluto che il loro ultimo album "Aneme Perze" fosse inciso per la sua etichetta Real World. E da Napoli si passa all’eco della musica gitana di Thierry "Titi" Robin, musicista francese con origini nomadi. I viaggi in cui ci invita a seguirlo sono percorsi di conoscenza, sono aperture verso mondi che si intersecano e che si fondono siano essi francesi, indiani, spagnoli o arabi. Dirompenti arrivano Le Micro Brise Le Silence, considerato il gruppo faro dell’hip hop algerino. Giovani, i componenti sfornano testi in cui esprimono i sogni e le rabbie della loro generazione che vuole potersi esprimere liberamente, senza l’incubo del terrorismo. "È il nostro turno di parlare — cantano — le parole vengono alla mia bocca affinché esploda la mia rabbia...ci portiamo tutto sulle nostre spalle e io sbriciolerò il silenzio che abita i cuori...uno solo dei miei gridi basta a fonderti...". Anche nell’Africa la lotta si esprime in musica. Dal Mozambico, giunge a Chiasso, sabato 16 giugno (dalle 20.30), la band del progetto Mapulu (sostenuto dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione e da Helvetas) chenel dialetto changa mozambicano significa "dialogo"). Per loro la musica è educazione alla tolleranza, strumento contro la miseria, l’Aids e l’analfabetismo. Un linguaggio condiviso da un altro mozambicano, Chiquito, che rappresenta quella generazione cresciuta sotto la guerra civile. Sul solco della contaminazione musicale si situa la colombiana Toto La Momposina, cantante e ballerina che miscela elementi della tradizione africana, dei nativi indiani e spagnola. Infine, si ritorna in Algeria con Rachid Taha, uno dei più interessanti esponenti di quella che lui stesso definisce la "cultura dell’esilio". Emigrato in Francia con la famiglia, il cantante algerino ha lavorato duramente prima di potersi dedicare interamente alla musica. La sua storia è quella dell’emigrazione magrebina, di generazioni che non vogliono perdere le proprie radici. Considerato uno dei pionieri del "meticciato" culturale e musicale che trova espressione in un rock arabo venato di raï, Rachid si è ormai lanciato in un universo di suoni senza confini. Che è la terra di "Made in Medina", spazio dove i fili delle storie degli emigrati si ricompongono. Quei fili di cui si nutre il raï e la cui storia è stata raccontata da Marcello Lorrai, giornalista musicale di Radio Popolare nonché nostro prezioso collaboratore, nel suo libro "La battaglia del Raï" (ed. Zelig 1998), scritto a quattro mani con Chawki Senouci.Venerdì 15, (ore 19), l’autore parlerà del suo volume nell’ambito dell’aperitivo letterario. Ma Festate significherà anche Oasi, il mercatino-esposizione (circa 30 bancarelle tra comunità di stranieri e associazioni umanitarie) con prodotti etnici e specialità culinarie allestito sabato 16, dalle 15 alle 21.30. Sempre sabato si terrà uno stage di danza mediorientale condotto da Antoniette Debrit (info ed iscrizioni allo 076 34 55 874). E per essere sempre aggiornati basterà visitare il sito www.festate.ch che quotidianamente terrà una sorta di diario con interviste, appunti, ecc. Rispetto per i rifugiati Rispetto. Lo dobbiamo ai milioni e milioni di persone costrette ad abbandonare il loro paese, la loro casa, la loro famiglia per sfuggire alla guerra, alle persecuzioni politiche, alla dittatura. E "rispetto" sarà la parola-motto della Giornata del rifugiato (www.osar.ch) — promossa dall’Organizzazione svizzera aiuto ai rifugiati (Osar) — che in Ticino si celebra il 16 giugno nell’ambito del festival multietnico Festate di Chiasso. Un’edizione speciale, la corrente, in quanto viene a coincidere con i 50 anni dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e con i 50 anni della Convenzione di Ginevra sui rifugiati (costituisce la base della politica d’asilo in Svizzera). Oggi nel mondo una fiumana di persone scampate alla guerra e alle violenze del proprio paese si muove in cerca di un rifugio: solo nel 2000 l’Unhcr ha dato protezione a 22.3 milioni di profughi. Ma realtà ancora più tragiche si affincano a queste: sono i cosiddetti "profughi interni", ossia persone costrette a fuggire ma che non hanno avuto l’opportunità di lasciare il loro paese. Il loro numero si aggira tra i 20 e i 25 milioni di esseri umani che vivono l’angoscia quotidiana di non avere né protezione né aiuti umanitari (solo 7 milioni di loro hanno potuto ricevere soccorso dall’Unhcr). Dopo essere sopravvissuti ad un destino terribile — che a volte significa morte — i rifugiati spesso sperimentano l’aria di ostilità del paese "ospitante". Xenofobia, paura del diverso, politica di chiusura: sono tutti termini con i quali i profughi imparano a familiarizzare. Per questo in Svizzera l’Osar sta portando avanti una campagna di sensibilizzazione che chieda "rispetto" per chi si trova ad essere vittima di guerre, violenze, miserie. Sciagure che spesso possono continuare a proliferare grazie al sostegno offerto loro sottobanco (vendita d’armi,...) da governi che ne hanno in cambio un profitto economico. In Svizzera alla fine del 2000 si contavano 98’480 asilanti, dei quali solo a 25’534 di essi viene riconosciuto lo statuto di rifugiato con diritto di soggiorno permanente; i restanti 32’114 sono ammessi nel Paese solo provvisoriamente. Per questo è importante difendere la Convenzione di Ginevra che garantisce a singole persone o a gruppi il diritto ad essere protetti contro la repressione politica, le persecuzioni, la violenza e il razzismo. E l’Osar e il Consiglio europeo sui rifugiati ed esiliati (Ecre) lanciano un appello ai governi europei e portano avanti un’azione tramite cartoline per la raccolta di migliaia di firme a sostegno della Convenzione in tutta l’Europa. In Svizzera si vogliono consegnare 50 mila firme alla consigliera federale Ruth Metzler. Inoltre, il 16 giugno, l’Osar ha previsto una serie di attività che vanno dalla raccolta di firme a sostegno della Convenzione di Ginevra alla distribuzione di materiale informativo sulla Giornata, sull’operato dell’Osar e dell’Unhcr. E com’è ormai tradizione, nelle pause tra i concerti, sabato sera, l’Osar ha invitato la scrittrice e attrice Ketty Fusco e Michael Petersen (dell’Unhcr) per un momento di riflessione sul tema.

Pubblicato il

08.06.2001 04:30
Maria Pirisi
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