Fermiamo i falchi

Gli impresari costruttori rimproverano in continuazione ai sindacati di rovinare con le loro azioni di protesta l’immagine del settore edile. Questo accade anche adesso che i lavoratori con i loro scioperi si oppongono alla rottura dell’accordo sul prepensionamento da parte della Società svizzera degli impresari costruttori (Ssic). Certo, questo conflitto non giova all’immagine del settore edile. Ma di chi è la responsabilità? I sindacati non hanno certamente cercato un nuovo confronto sull’abbassamento a 60 anni dell’età di pensionamento. È la Ssic che l’ha provocato. La Ssic ha rotto un contratto valido, firmato il 25 marzo di quest’anno e ratificato dai suoi delegati in una votazione democratica il 12 aprile: in questo modo i lavoratori dell’edilizia sono stati derubati del pensionamento anticipato, che era stato loro promesso a partire dal prossimo mese di gennaio. Nella storia del partenariato sociale questa rottura del contratto da parte della Ssic è un fatto del tutto unico. Ai sindacati non rimane altro che opporsi – anche nell’interesse dell’intero settore edile. Il rimprovero secondo cui in questo modo le organizzazioni dei lavoratori ne rovinerebbero l’immagine è del tutto fuori luogo. L’abbassamento dell’età di pensionamento per gli operai dell’edilizia, che svolgono un mestiere molto duro, è infatti una misura necessaria per aumentare l’attrattività dei mestieri del ramo della costruzione, per trovare più operai qualificati e per migliorare decisamente l’immagine di questo settore economico. Anche gli impresari costruttori in primavera l’avevano capito. Perché ora le cose non dovrebbero più stare così? E perché la Ssic senza batter ciglio viola il principio della buona fede? Perché per lei un contratto improvvisamente non è più un contratto? Una risposta a queste domande c’è. Ed è che nella Ssic stanno per prendere il potere i falchi, coloro che sono ideologicamente più intransigenti. I loro leader o sono stati formati secondo metodi di conduzione aziendale anglosassoni e antisindacali (come Jean-Claude Nussbaumer della Frei Ag, educato professionalmente negli Usa), oppure sono dei reazionari, che volentieri si fanno passare per dei portavoce delle piccole e medie imprese, mentre in realtà cercano la loro fortuna sul mercato praticando una politica di dumping dei prezzi e dei salari al di fuori di un contratto collettivo, rinviando così il risanamento del settore edile. Su questi falchi pesa una grossa responsabilità per gli enormi problemi d’immagine del ramo della costruzione. Non solo vogliono far saltare l’accordo sull’età di pensionamento nell’edilizia a 60 anni. Vogliono anche indebolire se non soffocare definitivamente il partenariato sociale fra datori di lavoro e sindacati. Durante la lunga crisi degli anni ‘90 il settore dell’edilizia principale ha perso oltre il 40 per cento dei posti di lavoro. Il numero delle imprese invece non è diminuito in maniera notevole. Il motivo è semplice. Nei casi di fallimento di un’impresa ne sono spesso nate due nuove, per lo più su una base finanziaria ed organizzativa ancora più debole. Questo è stato possibile soltanto perché in Svizzera – a differenza di altri Paesi come la Germania, l’Austria o la Francia – non ci sono ostacoli nell’accesso al mercato. Esagerando un po’ si può dire che da noi chiunque può diventare un impresario costruttore, anche se non ha la più pallida idea del mestiere. Benché non sia il compito principale delle organizzazioni dei lavoratori, il Sindacato edilizia e industria (Sei) ha cercato fin dalla metà degli anni ‘90 di convincere la Ssic a migliorare le condizioni quadro per quanto concerne l’accesso al mercato, così da dare un contributo decisivo al miglioramento dell’immagine e al risanamento di tutto il settore. Nel 1996 siamo riusciti a convincere gli impresari ad accordarsi su una piattaforma comune, una sorta di alleanza per il lavoro e la qualifica professionale nell’edilizia. Purtroppo quest’alleanza non ha retto a lungo: le solite cerchie di falchi all’interno della Ssic hanno sempre sabotato i buoni propositi. Il nostro ultimo tentativo in questa direzione ha avuto luogo dopo la conclusione del contratto che ora viene rotto dagli impresari costruttori. Si era nell’ambito del forum consultivo del Consiglio federale per i problemi dell’edilizia. All’inizio dell’estate Sei e Ssic riuscirono a trovare un accordo su un progetto comune per incrementare l’attrattività del settore edile e dei mestieri dell’edilizia. Purtroppo, sotto la pressione dei falchi, il Comitato centrale della Ssic ha ritirato il suo appoggio a questo progetto, al quale avrebbe dovuto partecipare anche il Segretariato dell’economia. Gli stessi ambienti già nella primavera del 2001 avevano fatto fallire il progetto d’introduzione di un registro professionale. Questo registro avrebbe indicato, all’indirizzo dei committenti, quali imprese lavorano in conformità con il contratto collettivo e avrebbe in questo modo contribuito in maniera determinante ad accrescere l’attrattività dell’edilizia. I falchi conducono una politica autodistruttiva che danneggia sempre più l’immagine del settore. Non solo fanno resistenza contro le novità, ma anche contro quanto già esiste e ha dato in passato buona prova di sé. Il loro attacco al partenariato sociale rimette in discussione tutto il sistema delle istituzioni paritetiche. Questo sistema finanzia e garantisce la qualità della formazione professionale. È centrale per lo sviluppo delle regole sulle condizioni di lavoro nei cantieri. E assicura a tutti la parità delle armi sul mercato, che è proprio quanto gli stessi impresari vogliono. In un settore professionale con un’elevata mobilità e con una grossa percentuale di migranti questo sistema di norme è tanto più importante in quanto, con l’apertura dei mercati verso l’Unione europea, nascono automaticamente nuove sfide. La politica dei falchi e il loro odio manifesto verso i sindacati potrebbero rendere il settore completamente selvaggio se non vengono fermati in tempo. I falchi non sono soltanto i becchini del partenariato contrattuale, ma si sono messi anche sulla strada giusta per trasformare l’edilizia in un settore in cui il dumping regna sovrano. Recentemente un rappresentante dei datori di lavoro di lungo corso e perfettamente cosciente dell’importanza dei ruoli rispettivi delle parti sociali ha centrato il problema: «l’immagine del settore dipende in maniera importante dalla qualità del partenariato sociale». I becchini del partenariato contrattuale e dell’immagine dell’edilizia devono essere respinti prima che sia troppo tardi. Anche a questo serve la giornata di sciopero nazionale del 4 novembre.

Pubblicato il

01.11.2002 00:30
Vasco Pedrina