Attacca la Procura: “Se è reato sbloccare le opere io lo sto commettendo”. E chi sarà mai, Berlusconi? Craxi? Poi l’anatema contro chiunque, compagno di partito o avversario, non si genufletta: il Parlamento varerà la riforma elettorale e costituzionale, poi in autunno un plebiscito sancirà il cambiamento e con le nuove regole “sarete spazzati via”. Eccolo Matteo Renzi, che si mette sotto i piedi ogni istituzione e condanna a morte chiunque esprima dubbi, a partire dai sindacati (“Ha fatto più Marchionne” per il Paese e il lavoro “che certi sindacalisti”. Sicuro di sé e come quel tipo che urlava “tireremo dritto”, assicura: “Non ci manderanno a casa”. Usa il suo bollettino (l’Unità: il povero Gramsci che l’aveva fondato si rivolta nella tomba) per minacciare il presidente dell’Anpi, l’associazione partigiani, colpevole come intellettuali del peso di Zagrebelsky e Rodotà di battersi per il no allo scempio costituzionale. Ma c’è un altro referendum, quello del 17 aprile contro le trivelle selvagge, che Renzi sabota consigliando agli italiani di andare al mare. Quello minacciato dai petrolieri. Così siamo messi in Italia: un uomo solo al comando, migliore di Berlusconi nella campagna acquisti (a destra) per sostituire i voti di chi lo abbandona (a sinistra). Renzi aveva scelto come ministro per lo sviluppo economico la confindustriale Guidi, cara a Berlusconi con cui avrebbe voluto fare il mega inciucio del Nazareno, salvo poi accontentarsi delle frattaglie di Arcore, prima Alfano poi Verdini. Ora la Guidi si è dovuta dimettere, pizzicata dai magistrati lucani mentre dava notizie riservate al suo moroso che a sua volta le rivendeva ai petrolieri della Total, che come i colleghi di Eni e Shell sono impegnati a succhiare oro nero dal nostro mare, costi quel che costi. Un emendamento ritenuto inammissibile nella legge di stabilità è stato reintrodotto, in forma un po’ più soft per annullare i referendum indetti da 9 regioni, nel cuore della notte e varato con un voto di fiducia per estendere ad libitum le trivellazioni a meno di 12 miglia dalla costa. Ma un referendum è sopravvissuto allo scempio renziano ed è quello che i cittadini andranno a votare, si spera in massa per superare la soglia del 50% più 1. In ballo 26 concessioni per altrettante piattaforme, di queste solo 5 pagano royalties alla collettività. 20 sono pronte per lo smantellamento ma i petrolieri vogliono tenerle vive con una lobbying finora vincente allo scopo di non bonificare le aree interessate come previsto dal contratto. Alla testa del movimento “Ferma le trivelle” il presidente della Puglia Emiliano – detestato dal suo segretario Renzi – Wwf, Legambiente e il segretario Fiom che rivendica una radicale svolta nelle scelte energetiche e industriali in favore del lavoro e dell’ambiente. Al contrario, negli ultimi anni l’occupazione nelle rinnovabili è crollata da 20 a 10 mila unità. È in gioco, con la vita del mare, la democrazia. In attesa di altri referendum su lavoro e Costituzione. Mentre cresce il distacco dalla politica corrotta e umiliata, la forma referendum è l’ultima carta per riattivare la partecipazione democratica.
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