Il sindacato Unia ha un ruolo di primo piano nella campagna contro gli sgravi fiscali in votazione popolare il 29 aprile. Si è apertamente dichiarato contrario a nuove politiche di defiscalizzazione a facoltosi e grandi imprese e, a differenza di altre organizzazioni sindacali, ha denunciato il ricatto-baratto tra gli sgravi e le misure sociali già approvate e immediatamente finanziabili a costo zero su cui non si vota, ma che a detta di parlamento e governo sarebbero inscindibili. Per capirne le ragioni, l’intervista a Enrico Borelli, segretario regionale di Unia Ticino.
Enrico Borelli, perché il sindacato si schiera in prima linea contro la riforma fiscale in votazione il 29 aprile? In un periodo caratterizzato da crescenti difficoltà per fasce sempre più ampie della popolazione, privare lo Stato di risorse reiterando politiche di defiscalizzazione all’origine delle attuali diseguaglianze sociali, ci sembra oggettivamente insensato. Le conseguenze di questi nuovi sgravi le pagherebbero nuovamente i salariati e il ceto medio. Se oggi il Cantone promuove ulteriori sgravi fiscali per una cinquantina di milioni è perché in precedenza hanno tagliato cinquanta milioni di prestazioni sociali. È dunque coi tagli ai poveri che si vorrebbe finanziare gli sgravi ai super ricchi. Approvando altri sgravi, i salariati dovranno in seguito attendersi altri tagli con la giustificazione delle casse statali vuote. È imperativo dunque interrompere questo circolo vizioso, tanto più che il governo ha già previsto una serie di sgravi successivi a quelli in votazione il 29 aprile. Se vogliamo dare un indirizzo diverso alle politiche di questo governo, la posta in gioco per l’insieme dei salariati è molto alta. Di quali politiche avrebbe bisogno il Ticino? Il cantone vive un grossissimo problema nel mercato del lavoro, come purtroppo registriamo da tempo. La pressione al ribasso sui salari è uno dei temi principali. Il dumping è dilagante e non tocca solo chi percepisce bassi salari, ma l’insieme dei salariati. La situazione è grave e si accentua ogni anno la differenza degli stipendi versati in Ticino e nel resto del Paese. Uno strumento efficace, ad esempio, potrebbe essere l’introduzione di un salario minimo legale che risponda ai bisogni della popolazione. Non certamente la proposta inadeguata del consigliere di Stato Vitta. In secondo luogo, bisognerebbe contrastare il lavoro precario, sia interinale che la sottoccupazione, ossia quelle persone che vorrebbero lavorare maggiormente del tempo parziale che viene loro offerto. Un problema acuto, visto la crescita dei sottoccupati negli ultimi anni nel cantone. La pressione sugli stipendi del padronato, lo sviluppo dei tempi parziali e la precarizzazione degli impieghi, fa sì che lo Stato debba intervenire erogando delle prestazioni sociali per supplire alle mancanze dell’economia. È un modello di “economia a rimorchio” che andrebbe radicalmente modificato. Il dramma è che l’attuale governo non fa altro che reiterare il circolo vizioso, promuovendo le medesime politiche liberiste da decenni. «Prima di distribuirla, la ricchezza va creata», è lo slogan con cui i promotori degli sgravi giustificano dei trattamenti di favore a facoltosi e grandi imprese. Cosa risponde? Una società come la nostra regge il proprio funzionamento sul lavoro salariato. Ed è grazie al lavoro realizzato dai salariati che la ricchezza viene prodotta. Secondo il ministro Vitta per migliorare il substrato fiscale, bisogna sgravare i facoltosi. Noi invece diciamo che il substrato fiscale si migliora aumentando i redditi dei cittadini. Se oggi molti cittadini non pagano le tasse è perché ricevono delle paghe troppo basse. Non è facendo degli sconti fiscali ad aziende che pagano una miseria che si creano le condizioni migliori per lo sviluppo del cantone. In cambio degli sgravi ai ricchi e alle grandi imprese, il governo propone un pacchetto di misure sociali da 20 milioni. Perché Unia si oppone? Perché sono misure inconsistenti e fumose. Prendiamo l’assegno di 3mila franchi versato alla nascita del figlio proposto dal governo. È una misura inconsistente che non modifica di un millimetro la situazione economica della famiglia lungo la crescita del figlio. Se ci fosse stata la volontà del governo d’impegnarsi davvero sul tema della conciliabilità lavoro famiglia, si sarebbero attivati sul congedo parentale, non sull’assegno dato una volta che non cambia la vita delle famiglie. Le altre misure pseudosociali sono invece fumose perché, contrariamente a quelle del pacchetto fiscale minuziosamente dettagliate, enunciano dei principi vuoti senza alcuna garanzia. Nei testi non vi è nessun riferimento alla diminuzione delle rette degli asili nido, nessuna menzione all’aumento delle paghe del personale che vi lavora o della sottoscrizione di un contratto collettivo. Aggiungo che non basta avere un Ccl, se poi il suo contenuto è indecente. Basti pensare a quello della vendita promosso dal governo. Quale credibilità possono avere coloro che negli ultimi anni hanno tagliato 50 milioni di prestazioni sociali? Direi che stiamo assistendo a una campagna dei favorevoli agli sgravi costruita sulle bugie. È chiaro a tutti che le destre hanno voluto ricattare i cittadini utilizzando delle misure pseudosociali per accrescere le possibilità di far passare gli sgravi in votazione popolare. Rattrista molto vedere dei sindacalisti che si sono prestati a questo gioco che avrà conseguenze negative sull’insieme delle salariate e dei salariati. Il legame sgravi-riforma sociale «non è un inganno, ma un accordo politico» dice il governo. È un accordo di Palazzo siglato dai vertici di alcuni partiti che ben dimostra quanto siano sempre più distanti dai problemi delle persone. La sottoscrizione di 11mila firme di cittadini sul referendum contro gli sgravi durante lo sfavorevole periodo delle festività natalizie, evidenzia bene la distanza tra le istituzioni, il Palazzo e i cittadini.
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