Fc Lugano, c’era una volta il vivaio

Rischia di più la panchina di Marcello Lippi o di Zinetoula Bilyaletdinov? La risposta è tutt’altro che scontata, sta di fatto che sia dall’Hc Lugano sia dalla Juventus era lecito aspettarsi di più, molto di più. Le vicende di questi due club, da sempre all’avanguardia nella programmazione e nell’impostazione societaria, ci ricordano come anche i ricchi, a volte, piangono; è il bello dello sport, uno sport che, pur regolato e condizionato dai soldi, riesce ancora a regalarci degli scampoli di sana imprevedibilità. Come il Chievo capolista o come lo scoppiettante Malesani, ebbro di gioia alla fine del derby di Verona; basta poco per divertire e per divertirsi, eppure, nel variegato e rutilante mondo sportivo, tanti – troppi – si prendono maledettamente sul serio. Sarebbe invece da prendere in considerazione seriamente il fatto che domenica scorsa, negli ultimi venti minuti di Lugano-Basilea, i bianconeri hanno giocato con una formazione completamente «straniera», ossia con nessuno degli undici presenti in campo cresciuti calcisticamente in Ticino. Usciti Rota e Morf, Morinini ha presentato una squadra che di nostrano aveva solo il cognome del suo centravanti, peraltro argentino: Rossi. La constatazione, come ha ammesso lo stesso allenatore del Lugano, non è da trascurare; si tratta ora di approfondire un problema che ha le sue radici nei settori giovanili dei nostri club. Lavorano male oppure i migliori talenti, pur tecnicamente validi, non sono in grado di compiere il grande e difficile passo verso la serie A? O ancora: i ragazzi capaci di reggere il livello del football d’élite ci sono e ci sarebbero anche nel nostro cantone, ma forse si preferisce puntare su risorse «esterne» perché è più di moda o perché si può beneficiare di tornaconti e di introiti finanziari? Gli interrogativi mi sembrano più che legittimi, anche perché, dando un’occhiata alle classifiche e agli investimenti del settore giovanile del FC Lugano, si ha l’impressione che il lavoro svolto offra dei risultati – sul piano sportivo e su quello dell’immagine – senza dubbio più che lusinghieri. È vero che se si vuole restare aggrappati al plotone delle compagini più forti e più attrezzate, non si può rischiare di gettare allo sbaraglio dei ragazzi calcisticamente ancora immaturi, ma è pur altrettanto realistico che un giovane può dimostrare il suo valore e acquisire esperienza ai massimi livelli, soltanto se gli viene data fiducia e se è impiegato in campo con una certa regolarità. Ricordiamoci il cammino fatto dai vari Colombo, Esposito, Penzavalli, Carrasco, Pelosi e Manfreda, o prima ancora da Marzio Beltrami o da Massimo Alliata; dei talenti buttati nella «mischia», che con gli anni si sono affermati. Con pieno merito e, specialmente, con la soddisfazione di tutti.

Pubblicato il

30.11.2001 12:30
Antonio Bolzani