«Ci sono due modi per uscirne. E uno dei due è quello di ammazzarsi per farla finita con la propria meschina dipendenza dal gioco». Con questo pensiero ricorrente Antony – “giocatore anonimo” – ha condotto la propria lotta personale per sfuggire al vortice del gioco d’azzardo. “Colpo grosso” ha più o meno titolato negli scorsi giorni la stampa Svizzera commentando i nuovi risultati record raggiunti dalle case da gioco svizzere. Record che si misurano a suon di soldoni, ma anche nei 4 milioni di giocatori (più 30 per cento rispetto al 2003) che l’anno scorso hanno visitato i 18 casinò elvetici. Quattro milioni che corrispondono ad un esercito di 11 mila persone al giorno che hanno lasciato – o più semplicemente perso al gioco – ben 769 milioni di franchi (più 37 per cento in un solo anno). Una vera Las Vegas nel cuore dell’Europa: «in poco tempo la Svizzera è diventata un paese di casinò», ha dichiarato Adriano Censi nella conferenza stampa organizzata martedì dalla Federazione svizzera dei casinò (Fsc). Ma a fronte della febbre da gioco, quella che non si può ancora considerare malattia, ma solo lieve stato di eccitazione, ce n’è un’altra – molto più virulenta – che ha colpito finora 10 mila persone. Gli esperti li chiamano “giocatori eccessivi”, compulsivi, problematici. O semplicemente, detto con le parole di chi ha perso ogni brandello di razionalità al casinò: «che vivono per il gioco d’azzardo». Sono le parole che area ha raccolto in questo reportage che racconta la storia di chi, come Pino e Antony (i nomi sono di fantasia), si è dovuto – volente o nolente – mettere sulla lista nera dei casinò per farsi radiare dalla sala da gioco e «ricominciare a vivere». «Un momento triste, un giorno memorabile, per un giocatore “sistemista” come me», ci ha detto Pino che nell’articolo sotto spiega il suo sistema “quasi” infallibile per vincere alla roulette francese. Una malattia che è quasi al decorso finale per Pino ma che miete sempre più vittime. A fare la diagnosi, obbligati per legge, sono gli stessi casinò. «Ma non è come – chiede Pino – mettere la volpe a controllare le galline del pollaio?» E poi: è davvero possibile vigilare sulla salute del giocatore malato e fare prevenzione come sancisce la legge federale sulle case da gioco e l’azzardo del 1998? Abbiamo girato le domande ad Annamaria Sani, psicologa e responsabile della “concezione sociale” del casinò di Lugano. Ad Adriano Censi abbiamo invece chiesto quali potranno essere le implicazioni per le sale da gioco elvetiche di una recente sentenza di un tribunale austriaco che ha condannato il casinò di Innsbruck a risarcire con mezzo milione di franchi un giocatore malato d’azzardo. Pino vi spiega il suo metodo per vincere Pino (il nome è di fantasia) si definisce un “sistemista”, un uomo metodico che non ama lasciare le cose al caso e che sa tenere i nervi saldi. Prima aveva un sistema per vincere alla roulette francese, ora invece ha costruito il suo sistema per smettere di giocare: tiene traccia di ogni movimento di denaro che entra ed esce dalla sua economia domestica e cerca così di far fronte ai debiti accesi in varie banche. Pino, «il giocatore anonimo» come ama definire se stesso, è voluto venire da Milano per raccontare la sua storia, quella di una delle ormai 10 mila persone che in un modo o nell’altro hanno deciso – volenti o nolenti – di farla finita con l’azzardo. Dove ci incontriamo? Pino fissa l’appuntamento al bar del casinò di Lugano, «è il posto che conosco meglio, puntuali alle 16:00?». All’appuntamento si fa trovare seduto su uno dei divani multicolori della hall, vestito in maniera impeccabile porta con sé una ventiquattrore. Alla caffetteria del casinò non possiamo però andare, per accedervi si deve passare dalla sala al pianterreno con le slot machines e dall’agosto del 2003 Pino non può più mettere piede in alcuna casa da gioco, né italiana né svizzera. Si è “autoescluso” come dicono in gergo gli specialisti: «ricordo bene quel giorno, ero molto depresso, frustrato. Mia moglie era in vacanza al mare ed io ero completamente solo. Quel pomeriggio, al posto di imboccare l’entrata principale, ho avuto il coraggio di prendere quella secondaria e sono andato a chiedere di non farmi più entrare in quel posto. Non ci ho perso solo denaro – dice dopo una breve pausa –, io ero completamente logorato dal gioco d’azzardo. Mi rendevo conto che così non potevo assolutamente andare avanti. È stata una svolta necessaria, anche se per un giocatore decidere di smettere di puntare è un momento triste, un giorno memorabile». Pino non giocava secondo il puro caso, aveva diversi metodi per averla vinta con la roulette: si era documentato su parecchi libri. «Non è un metodo segreto, lo può usare chiunque lo desideri. Non richiede una grossa esposizione di capitali e ha delle oscillazioni minime se seguito alla lettera. Non sto a spiegarglielo perché è troppo complicato... Ci tiene? Le faccio l’esempio di un metodo facile facile da capire, detto di Martin-Gala, ma glielo sconsiglio vivamente. Comunque funziona così: lei inizia a puntare una certa somma, mettiamo 10 franchi sul rosso. La ruota gira e lei ha 50 per cento di probabilità di vincere altri 10 franchi visto che il banco paga alla pari. Se perde, questo metodo impone di puntare altri 20 franchi così se vince recupera la perdita di prima. Se le va nuovamente male si continua così con 40 franchi, 80, eccetera. Capisce? Ma non mi faccia raccontare queste cose che torna tutto a galla: mi ricordo tutte le strategie per filo e per segno. Invece dovrei dimenticarle. Però se lei proprio ci tiene a provare vada a comprarsi una roulette giocattolo, ce ne sono anche per bambini, è importante esercitarsi prima a casa». Pino dice che lui non è un ingenuo, che non ha mai veramente pensato di poter avere la certezza di vincere seguendo una delle sue strategie, ma aggiunge anche che il motivo delle sue perdite è da ricercare principalmente nel fatto che a un certo punto della serata non riusciva più a mantenere il sangue freddo e cominciava a fare delle «puntate emotive e sragionate», cioè senza seguire il sistema che si era prefissato di usare quella serata. Per lui all’inizio, quasi trent’anni fa, il gioco d’azzardo rappresentava semplicemente un diversivo ma poi col tempo è diventato una via di fuga «mi piaceva andare al casinò per non pensare ai miei problemi famigliari e personali». Dalla valigetta estrae un incarto voluminoso, «è il mio indice della borsa, il mio Nasdaq. Sa non ho mica sempre solo perso» dice sorridendo. Nelle cifre fitte delle tabelle da lui costruite risulta infatti che nel 1997 ha chiuso l’anno con una vincita netta al casinò di 27 mila franchi. Ma poi le cose precipitano e l’anno successivo la casella segna meno 38 mila franchi. In seguito riesce a controllarsi e per un certo periodo le sue perdite si fanno più esigue, ma sempre costanti. Due anni fa, quando riesce a mettere la parola fine a «questa avventura costosa», i suoi debiti ammontano a 60 mila franchi «non è una cifra così spropositata, c’è gente che ha perso molto di più. Mi è andata relativamente bene, forse perché sono stato metodico e ho sempre saputo cosa lasciavo nelle case da gioco. Ma io ero affetto anche dalla compulsione dello shopping sfrenato… quindi la cifra “in dare” è più alta di ciò che ho perso all’azzardo». Dalla finestra del bar si vede la casa da gioco, Pino beve assorto il caffè che ormai si è raffreddato. Dice di aver sempre saputo che la casa da gioco non è una chiesa, ma che non avrebbe mai pensato che avrebbe potuto “prenderlo” in quel modo. Racconta che quando decideva di andare a puntare era talmente eccitato che per arrivare prima faceva 180 chilometri all’ora in autostrada e che una volta entrato nella sala si estraniava da tutto, esisteva solo lui e la ruota che girava. «I casinò fanno bene il loro mestiere, quasi li stimo. E Lugano è uno dei migliori, dei più accoglienti. Ci pensi un po’: ha mai visto un orologio all’interno delle sale da gioco? O ancora, ha mai notato che lì dentro la notte non si differenzia dal giorno? Sono accortezze di una furbizia notevole. Tutto è costruito in modo che puoi godere al massimo del gioco senza avere alcun disturbo, niente finestre, niente lago, personale cortese, qualsiasi tipo di servizio bancario all’interno della struttura... I giocatori come me sono generalmente dei solitari e credo proprio che i gestori lo sanno bene, è il loro lavoro. Se non ci fossero persone che perdono al casinò questi non esisterebbero, è semplice, ma spesso lo si dimentica. Ma quando esce questa intervista?». Pino non vuole che il giornale gli sia spedito a casa, ha paura che la moglie possa leggere l’articolo e riaprire così le ferite del rapporto che sta faticosamente cercando di rimarginare. «Lei non capirebbe, la farebbe soffrire. Dopo un anno che facevo parte dei giocatori anonimi di Milano e che mi ero astenuto dal gioco mi hanno fatto una grande festa, mi hanno applaudito e preparato torte. Che emozione. Ma mia moglie non c’era in mezzo al pubblico, dalla famiglia non ho ricevuto alcun plauso, piuttosto si tende a rivangare il passato. Ma posso capirli». All’uscita del bar Pino si ferma ad ammirare per un attimo “la perla di Lugano”, «come dice la pubblicità». Poi, cercando di distaccarsi il più possibile dalla discussione appena terminata, dice “da professionista del marketing” che lui avrebbe delle buone idee per accrescere il numero di visitatori del casinò «perché è specialmente sulla quantità che si guadagna, basta un non nulla per spostare la clientela da una sala da gioco all’altra. Sa in Italia non esistono casinò legali al di sotto della linea di Milano, prima addirittura c’era solo Campione. Ci vorrebbe poco ad allargare il bacino di utenza e io delle buone idee le avrei… Ma forse è meglio che mi liberi di questi pensieri: perché il denaro sta al giocatore come l’alcool al bevitore». "Mi volevo uccidere" «Esistono solo due possibilità per uscirne: o ti ammazzi e la fai finita con la tua meschinità, o ricevi la forza da qualcun altro per uscire dal vortice e cominciare una nuova vita», Antony (il nome è di fantasia) racconta così la sua dipendenza dal gioco d’azzardo. Lui, a differenza di Pino (vedi articolo a lato), ha dovuto toccare davvero il fondo per poter risalire. Ha perso tutto: il lavoro, la persona amata e gli amici ormai diventati semplici creditori. Ha anche quasi perso la vita in quel fatidico giorno di dicembre in un tentativo di suicidio dopo che, per l’ennesima volta, si era trovato all’uscita del casinò senza più un franco per tirare avanti il resto del mese. Ma non corriamo troppo, perché la sua storia di giocatore “forte” è lunga di due decenni. Lui non è stato metodico come Pino, ha sempre fatto la sua puntata pensando che la prossima volta sarà quella buona, che vincerà e recupererà ciò che ha perso, magari alla fine guadagnando anche qualcosa. Uno stile di vita reso possibile dal suo alto stipendio di quadro dirigente. «Quante volte ero seduto per 7-8 ore di fila davanti ad una macchinetta, senza alzare la testa e buttandoci dentro fino all’ultima moneta in tasca. Non era un gioco frenetico per me. Era l’apatia completa. Non si guardava né a destra né a sinistra, non si parlava con nessuno. Si guardava solo la slot che non pagava e io continuavo lo stesso a buttarci dentro la moneta. E i soldi diminuivano e mi aggrappavo alla speranza: “adesso deve uscire”. Invece no, non esiste alcuna legge che dice che ora pagherà». Quando giocava Antony beveva e fumava molto di più del solito, ma dice che la concentrazione era talmente alta che l’alcool non faceva in tempo a prenderlo, a «entrare in circolo nel sangue», e che non si è mai trovato ubriaco davanti alla sua “passione smodata”. Quando il denaro ha cominciato a non essere più sufficiente ha iniziato ad ingannare gli amici: «ho bisogno di mille franchi per un’urgenza, scusa te li ridarò domani». E invece era impossibile rimborsarli perché tutte le speranze di gloria si esaurivano nel lasso di una giornata al casinò. «Mi sentivo un grande, giocavo forte. Talmente grande che telefonavo dal Ticino in Svizzera interna per prenotare un intero tavolo di black jack tutto per me. Ero sicuro che se ci fosse stato qualcun altro mi avrebbe portato scalogna. I soldi erano diventati senza valore, solo un mezzo per giocare. Non pensavo più alla fatica che si fa per guadagnarli. Se poi facevo una vincita prendevo un biglietto d’aereo per i Caraibi con la mia amica. Riuscivo a spendere 30-40 mila franchi in 15 giorni di vacanze, mi dicevo che tanto era una vincita da gioco». Poi un giorno Antony si gioca anche i soldi messi da parte per poter traslocare in una nuova casa, un appartamento più modesto visto che l’abitazione di prima non poteva più permettersela. Questa volta fuori dalla sala da gioco la depressione e la rabbia contro se stesso si fa ancora più grande. Non gli è rimasto nulla, si è giocato tutto. Giocato dal gioco. «Ho pensato subito di suicidarmi, era il gesto estremo per fermare qualcosa che non riuscivo più a controllare. Poi mi sono ricordato che in auto avevo chiuso il mio cane, di sicuro mi stava aspettando. Non potevo lasciarlo lì solo. La sorte, questa volta sì che mi ha riso, ha voluto che fosse un cane a salvarmi la vita». I casinò chiamati alla cassa Adriano Censi, di anno in anno cresce il numero di persone escluse dai casinò perché malate del gioco d’azzardo. Quest’anno siamo arrivati a quota 10 mila con un trend crescente. È un dato che preoccupa la Federazione svizzera dei casinò? No, non ci preoccupa particolarmente. È vero che c’è un trend positivo ma questo è dovuto principalmente a due fattori. Da una parte è da collegare al fatto che il numero di giocatori all’interno dei casinò svizzeri è aumentato in questi anni, ci sono più visitatori e quindi aumenta anche il numero dei giocatori problematici. L’altro fatto da rilevare è che i giocatori problematici non sono solo da mettere in relazione con i Casinò, ma anche con gli altri giochi presenti sul mercato. Basti pensare alle macchinette mangiasoldi nei bar o agli apparecchi “tactilo” presenti in Romandia. La Commissione federale delle case da gioco (Cfcg) ha infatti avviato una procedura per decidere se anche questi apparecchi non sono una forma d’azzardo (la Cfcg ha messo al bando il 1° aprile scorso 6 mila “apparecchi automatici per l’azzardo” presenti negli esercizi pubblici, ndr). Restiamo ai casinò. Una recente sentenza di un tribunale austriaco ha condannato ad un risarcimento di mezzo milione di franchi il casinò di Innsbruck reo, secondo la giustizia, di non aver riconosciuto la malattia in un suo giocatore. Anche in Svizzera siete obbligati per legge ad allontanare i giocatori eccessivi, ma anche a fare prevenzione. I casinò svizzeri possono dormire sonni tranquilli alla luce di questa sentenza? Non conosco ancora nei particolari la sentenza. È vero però che la legge ci obbliga ad escludere alcune tipologie di giocatori. Finora da noi non ci sono stati ricorsi come quello in Austria ma non posso certamente escludere la possibilità che anche in Svizzera un casinò che non adempie ai suoi obblighi potrà essere chiamato a risarcire persone che hanno giocato forti somme. Anche per questo motivo le case da gioco elvetiche applicano in maniera molto stretta le esclusioni, difatti il numero di diffidati è crescente. Non è certamente negli interessi dei casinò avere gente che va in miseria con tutte le ripercussioni sociali del caso. In questi anni avete mai “ripreso” delle case da gioco che vi sono sembrate troppo lassiste nell’applicare la legge sul gioco d’azzardo? Non fa parte delle competenze della Federazione, ogni casa da gioco è responsabile per se stessa e per la creazione di una sua “concezione sociale” (vedi articolo a fianco, ndr). Da parte nostra nell’autunno scorso abbiamo emanato delle direttive per quanto riguarda la prevenzione. Se un casinò non le rispetta è a suo rischio e pericolo come lei ricordava prima con la sentenza austriaca. “Maschio, visite frequenti e succube delle slot” Annamaria Sani la legge federale sul gioco d’azzardo e sulle case da gioco del 1998 impone ai casinò di escludere dal gioco le persone che ne sono diventate dipendenti. Inoltre un’ordinanza di questa stessa legge vuole che voi facciate prevenzione. Se ora entro al casinò e mi gioco più di quello che posso permettermi voi come fate a capire che sono un giocatore eccessivo? Non possiamo capirlo, almeno non subito. In una sua unica visita al casinò non è possibile capire se lei è un giocatore problematico. A meno che lei non mostri dei comportamenti evidenti di malessere. La legge del 1998 ha un carattere fortemente finanziario: dice che dal gioco devono essere esclusi coloro che sono oberati di debiti o le persone che rischiano poste sproporzionate rispetto alle loro disponibilità. L’ordinanza creata in seguito presuppone invece la creazione di una “concezione sociale” all’interno delle case da gioco che garantisca la prevenzione dalla dipendenza dall’azzardo e il riconoscimento precoce dei giocatori eccessivi. Per fare ciò i collaboratori seguono una formazione continua, ma è ingenuo pensare che si possano individuare tutti coloro che soffrono di gioco eccessivo. Ci sono persone che vengono una sera e si giocano una fortuna e poi magari per un po’ riescono a controllarsi, poi ripiombano nel vortice. La patologia del giocatore eccessivo non è lineare. L’importante è informare le persone sui pericoli di un gioco eccessivo, offrire loro degli strumenti concreti per potersi controllare e, nel caso ne avessero bisogno, offrire loro le possibilità di cura. Di solito quando riuscite a capire che una persona ha problemi di dipendenza dal gioco? Quando evidenzia sintomi quali un marcato aumento di tempo al gioco, oppure grandi somme di denaro dedicate al gioco o ancora quando le sue visite si fanno più frequenti. Oppure se si lamenta, chiede prestiti in sala da gioco, si trascura, fa fatica ad interrompere il gioco, e altri ancora. Cerchiamo di intervenire prima che la malattia causi danni gravi, è qui che si fa prevenzione, attraverso i prospetti informativi e attraverso dei colloqui fatti da un personale specificatamente formato. Ci spieghi cosa fate quando riconoscete un giocatore eccessivo. Il personale, come le accennavo prima, è formato per riconoscere alcuni segnali che possono farci capire che un giocatore è in una fase problematica. Il collaboratore può segnalare al superiore il caso, se preferisce lo può fare tramite un formulario in forma anonima. A questo punto la persona indicata è monitorata, apriamo un dossier. Se è il caso lo convochiamo e cerchiamo di instaurare un discorso costruttivo con lui, cercando di essere il meno invasivi possibile. Non serve a molto il muso duro. Di solito quando una persona si rende conto di avere dei problemi si autoesclude da sola. A Lugano l’esclusione dura minimo un anno e vale per tutti i casinò svizzeri. Esistono anche le segnalazioni esterne e anche in questo caso osserviamo la persona. Sono mogli preoccupate, fidanzate, figli disperati, ecc… Lei si occupa in parte anche dei colloqui con queste persone. Quale è l’approccio? Come reagiscono? Cerchiamo di far sentire la persona a suo agio, con empatia, evitando il giudizio e il conflitto. In un primo momento gli diciamo che siamo preoccupati per lui, che lo vediamo spesso al casinò e che gioca forti somme. Cerchiamo di capire assieme se esiste un problema o meno. Se abbiamo seri dubbi sulla sua situazione finanziaria gli chiediamo di portarci un estratto dell’ufficio esecuzione e fallimenti o di provarci che può permettersi quelle giocate. Abbiamo una legge che lo impone, ma non possiamo procedere a verifiche di nostro pugno, c’è la protezione dei dati. Se il colloquio è condotto con rispetto ed empatia, i clienti addirittura ci ringraziano per l’intervento. Pochi, dalla mia esperienza e dalla esperienza dei miei più stretti collaboratori, reagiscono male. Quindi l’esclusione dipende in gran parte dal giocatore stesso? Sì è vero, ma noi possiamo comunque decidere di diffidarlo. I collaboratori delle case da gioco sono davvero in grado di individuare i giocatori problematici? Certo, e sono davvero bravi, alcuni di loro sono molto interessati, e si impegnano molto. Ci sono sanzioni per i dipendenti che non si impegnano a sufficienza in questo esercizio? No, ci mancherebbe. Non si può caricarli di questo fardello. Nel 2003 a Lugano è stata esclusa una persona ogni 2 giorni dal casinò, 175 giocatori eccessivi. Non la preoccupa questa cifra? Negli ultimi anni il numero delle esclusioni è cresciuto... No, anzi mi conforta. La maggior parte di loro ha richiesto un’esclusione volontaria. Ciò significa che il messaggio della prevenzione è passato: mi prendo una pausa dal gioco, prima che questo mi causi dei seri problemi. Quindi il mio invito per i giocatori che iniziano ad avere i primi problemi legati al gioco eccessivo, è di richiedere un’esclusione volontaria oppure una limitazione delle visite. Uno studio del Centre du jeu excessif (Cje) di Losanna dice che la metà dei dipendenti dal gioco d’azzardo al momento in cui chiede aiuto ha già contratto debiti sopra ai 50 mila franchi. Come si fa a parlare di prevenzione in questi casi? In questo studio la maggior parte dei giocatori giocava alle slot situate nei locali pubblici e non nei casinò. Qui non si parla di prevenzione ma di cura, ossia cercare di ridurre il danno causato dal comportamento eccessivo. Ci tracci il profilo del giocatore patologico del casinò di Lugano. La maggior parte è di sesso maschile, fa visite molto frequenti e la sua dipendenza è provocata dalle slot machines. Alcuni giocatori sconfitti dal gioco d’azzardo si suicidano proprio all’uscita dei casinò. A Lugano ci sono stati casi del genere? Finora no per fortuna, anche se mi ricordo un caso, quello di Antony (il nome è di fantasia, vedi articolo sopra, ndr) che mi ha profondamente colpito. Come giudica il lavoro sin qui svolto a partire dall’applicazione della legge nel 1998? Siete efficaci? Bisogna essere onesti, i casinò hanno fatto molto e assieme stanno cercando di migliorare i loro interventi. Bisogna ora puntare sulla ricerca per monitorare i nostri interventi. Questo non toglie però il fatto che non tutti i giocatori eccessivi possono essere individuati. Ci vorrebbe un’educazione al gioco, a priori. Ma non solo all’interno dei casinò, le dipendenze le si ritrovano anche nelle lotterie, nelle tombole, nel bingo… È lì non c’è nessuna legge specifica che obblighi i gestori a prendersi delle responsabilità.

Pubblicato il 

15.04.05

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