Faccio utili quindi licenzio

Il gruppo industriale Siemens, che in Svizzera occupa circa 6'300 persone, ha annunciato di voler sopprimere nei suoi stabilimenti di Zugo e Volketswil (Zurigo) 220 posti di lavoro sui 2'200 della sua divisione "Building Technologies" (tecnologie per l'edilizia). È vero che l'impresa aveva preannunciato già in aprile 2011 la chiusura del sito di Volketswil. E, certo, 220 posti in meno fanno male. Ma ciò che di più colpisce è che la Siemens ha deciso di farlo nonostante il gruppo abbia realizzato l'anno scorso un aumento del risultato d'esercizio del 36 per cento portandolo a 9,1 miliardi di euro, e gli utili siano aumentati di quasi due terzi fino a 7 miliardi di euro. Non basta: Siemens ha anche realizzato un incremento del fatturato del 7 per cento e registrato una crescita del portafoglio ordini di un buon 16 per cento.
Ma allora, perché licenziare? Le spiegazioni date dal direttore della divisione Building Technologies di Siemens, Johannes Milde, ha qualcosa di stupefacente, perché dimostra quanto i manager siano spesso o troppo furbi o troppo ingenui, raramente assennati. «Siamo partiti troppo presto con la convinzione che, grazie alla crescita congiunturale, avremmo potuto mantenere tutti i collaboratori», ha dichiarato Milde in un'intervista alla Neue Luzerner Zeitung. Fino ad un anno fa, in effetti, questa sezione della Siemens aveva registrato un incremento di circa il 10 per cento annuo. «Ora la crescita è finita», ha continuato Milde, aggiungendo che questa novità avrebbe «colto di sorpresa» l'azienda. A colpire sarebbe stata soprattutto l'evoluzione della congiuntura nel sud dell'Europa (che per Milde significa la crisi dell'edilizia in Spagna e in Italia), dove peraltro non ci sarebbe da attendersi una ripresa dell'edilizia nei prossimi anni.
A queste spiegazioni il capo della Siemens Building Technologies ha aggiunto le considerazioni relative alla concorrenzialità. L'indebolimento dell'euro ha reso il franco più caro, per cui un'ora di lavoro in Svizzera costerebbe circa il 25 per cento in più che nei paesi dell'eurozona. Perciò la produzione di questa sezione della Siemens viene trasferita in Cina e in Romania. Certo, ha aggiunto Milde, nel confronto dei costi la Svizzera non potrà mai essere concorrenziale per esempio verso la Romania. «Ma noi dobbiamo domandarci come possa la Svizzera star dietro a paesi come la Germania e l'Italia», poiché con il rafforzamento del franco questo rapporto è già «sbilanciato», ha detto il dirigente di Siemens. Tuttavia, adesso avremmo l'occasione, secondo Milde, di correggere queste differenze mantenendo bassi l'inflazione ed i salari.
Sono spiegazioni stupefacenti, perché è incredibile come un alto manager possa, da un lato, confessare che l'evoluzione della congiuntura lo ha colto di sorpresa, e nello stesso tempo distribuire con totale sicurezza interpretazioni e consigli su come riequilibrare le differenze macroeconomiche tra paesi diversi. Detto altrimenti: certi manager non sanno guidare le loro imprese e pretendono di governare l'economia globale. Ma sanno essere cinicamente spietati quando si tratta di perseguire il massimo profitto. È vero che quest'anno la crisi si è fatta sentire nell'intero gruppo Siemens, che a luglio i suoi utili si erano ridotti (ridotti, non spariti) di due terzi tornando al livello del 2010, e che il valore delle sue azioni è sceso da 94 a 70 euro in luglio (nel frattempo però si è ripreso), ma è anche vero che dal 2006 gli azionisti di Siemens hanno visto aumentare i propri dividendi regolarmente, fino a raddoppiarsi in 5 anni.
I lavoratori, invece, in questo periodo hanno sopportato condizioni sempre più difficili, crescente stress, flessibilità e lavoro straordinario, per contribuire al successo dell'intero gruppo. La divisione Building Technologies ha persino conseguito l'anno scorso un aumento di fatturato del 4 per cento. Ciò nonostante, per un po' di vento contrario che soffia da qualche mese Siemens Svizzera ha deciso di tagliare il 10 per cento dei posti di lavoro e gettare i lavoratori sul lastrico solo per far tornare i conti, cioè per mantenere alto il profitto e invariato il dividendo azionario. È una strategia cinica, che il sindacato Unia denuncia e condanna, dichiaratamente orientata a massimizzare il profitto e far crescere  la redditività ("return on sales") del 2 o 3 per cento.
A pagarne il prezzo dovrebbero essere i lavoratori della Siemens di Zugo e Volketswil. Ma non si capisce ancora bene come. Secondo quanto dichiarato dalla direzione, 100 posti dovrebbero essere soppressi nella produzione (50 dei quali dovrebbero essere trasferiti in Romania), 42 verrebbero eliminati nel settore ricerca e sviluppo, ed altri 78 posti sparirebbero nell'amministrazione. Il responsabile del settore Industria Mem del sindacato Unia, Christian Gusset, da noi interpellato ha dichiarato che «ciò che non ci è affatto chiaro è quanti sono i licenziamenti che diventeranno effettivi». Nel corso della citata intervista alla Neue Luzerner Zeitung, Milde ha spiegato che calcola 80 pensionamenti anticipati, altri 60 posti dovrebbero venir soppressi grazie a licenziamenti spontanei («volontari») da parte dei lavoratori ed a trasferimenti interni. I rimanenti 80 dovrebbero essere eliminati con i licenziamenti, ma Milde è rimasto volutamente sul vago: «Sono convinto che dovremo decidere licenziamenti per un numero medio a due cifre».
I prossimi mesi saranno decisivi. Nel frattempo, come ci conferma Gusset, consultazioni e contatti sono in corso. In un comunicato Unia scrive che «nell'ambito delle attuali consultazioni il sindacato spingerà per soluzioni che pongano gli interessi dei lavoratori prima degli interessi degli azionisti». Abbiamo chiesto a Gusset che cosa significa, a quali soluzioni si stia pensando. «Non ho ancora ricevuto nulla dalla commissione del personale», ha risposto il sindacalista, «ma in ogni caso vogliamo che le persone abbiano abbastanza tempo per cercarsi un nuovo lavoro, anche in considerazione del fatto che la decisione dei licenziamenti è arrivata troppo rapidamente. Al momento non siamo in grado di dire nulla di più preciso».
Ma lei – insistiamo – è ottimista? Che cosa pensa si possa veramente ottenere? La risposta di Gusset è prudente e realistica: «Spero che si riesca comunque ad ottenere delle somme sufficienti di denaro, anche in considerazione dei pensionamenti anticipati, delle indennità di trasloco, ecc. Quello che si può fare all'interno della Siemens medesima affinché non vengano soppressi posti di lavoro, non siamo ancora in grado di dirlo. È ancora troppo presto». Tutto dipenderà, quindi, dall'esito delle trattative e delle pressioni sindacali nelle prossime settimane.

La Siemens Building Technologies, figlia di Elektrowatt


Siemens è un gruppo tedesco multinazionale, creato a Berlino a metà dell'Ottocento, inizialmente attivo soprattutto nell'industria elettromeccanica. Il salto di qualità e l'espansione mondiale sono venuti dopo la seconda guerra mondiale, quando la Siemens si è gradualmente trasformata in un'impresa globale, che è presente su tutti i mercati, dà occupazione a 360'000 persone di 140 nazionalità diverse e sviluppa le sue attività nei settori energia, tecnologie sanitarie, industria, infrastrutture. I suoi prodotti vanno dagli impianti di automazione a quelli di illuminazione (Osram), dalle tecniche per l'edilizia agli apparati ausiliari per le cure sanitarie, dalle reti di comunicazione alla mobilità, ed altro ancora in un vasto spettro di tecnologie.
La Siemens Building Technologies è stata creata nel 1998 in seguito all'acquisizione della Elektrowatt AG di Zurigo, di cui ha assimilato la pluridecennale esperienza nei campi dell'automazione nell'edilizia e della protezione antincendio. La storia dell'Elektrowatt inizia nel 1895, quale produttore e distributore di elettricità. Con l'acquisizione della Cerberus nel 1940 si è specializzata nella protezione antincendio, ed assimilando la Stäfa control System nel 1962 è entrata nel campo dell'automazione edile. Finché nel 1996 la Elektrowatt  acquistò la Landis & Gyr di Zugo (anch'essa fondata verso la fine dell'Ottocento) assumendo il nuovo nome di Landis & Stäfa con il quale, due anni dopo, venne assorbita dalla Siemens.
Oggi la sua sede è a Zugo. Sede che la Siemens dichiara di voler ampliare: nel 2015 dovrebbe trasferirsi in un nuovo edificio, dove troverebbe posto la direzione internazionale della divisione Building Technologies. Complessivamente, l'impresa conta di investire a Zugo 170 milioni di franchi. Ma i dubbi nel sindacato Unia non sono affatto fugati: a fronte di questo scenario «il gruppo non mostra una spiccata sensibilità nell'applicazione delle nuove strategie», ha commentato Christian Gusset, responsabile sindacale del settore. Anzi, si è fatto sorprendere dalla frenata della crescita, ma «nel giro di un paio d'anni la situazione congiunturale potrebbe di nuovo cambiare».
In Siemens parlano di «trasferimento della produzione in Romania», di «vicinanza al mercato», e così via; ma questo denota, in presenza di licenziamenti annunciati, la volontà di mantenere alta la redditività dell'azienda, cosa che gli azionisti si aspettano. Per riuscirci, ha sostenuto il direttore Johannes Milde, la Siemens a Zugo ora deve risparmiare, collaborando allo sforzo che starebbe compiendo in tal senso l'intero gruppo, che a livello mondiale pare voglia sopprimere 10'000 posti di lavoro. Milde non ha confermato, ma quasi beffardamente ha voluto aggiungere: «Se anche il gruppo decidesse ora questo programma di tagli, sono convinto che noi non dovremo più temere nulla». Come dire che la sua divisione in Svizzera ha già dato.

Pubblicato il

28.09.2012 01:30
Silvano De Pietro