Se vengono uccisi sono eroi, altrimenti si debbono accontentare della qualifica di lavoratori. In realtà, un termine adeguato ci sarebbe per definire il secondo esercito d’occupazione in Iraq dopo quello statunitense: 30 mila guardie armate assunte da società di “security” per difendere politici, diplomatici e soprattutto affaristi calati come cavallette in Mesopotamia per spolpare il paese “liberato” dal dittatore Saddam Hussein. In sostanza, questi legionari vengono assoldati per proteggere, kalashnikov in pugno, la rapina delle risorse irachene (il petrolio, certo, ma anche i beni archeologici) e per garantire la cosiddetta ricostruzione, che è poi il vero business della guerra preventiva di Bush e dei suoi sherpa. In poche parole, i 30 mila body-guard non sono una realtà molto diversa dagli antichi mercenari. Mentre la Spagna di Zapatero annuncia il ritiro anticipato delle truppe dalle sabbie mobile irachene, in Italia Berlusconi ha messo in campo tutti i suoi attributi di cinismo e dilettantismo per ribadire la subalternità assoluta del governo alla politica criminale di Bush. Demagogia patriottarda, malposto orgoglio italiano, appelli alla solidarietà nazionale “contro il terrorismo” per cancellare i 15 civili iracheni, donne e bambini compresi, ammazzati dai “nostri ragazzi” a Nassiriya su mandato americano ed esaltare l’“eroe” Quattrocchi che prima di essere ucciso dai suoi rapitori riesce a gridare: «Adesso vedrete come muore un italiano». Contemporaneamente, Berlusconi fa venire nostalgia di Giulio Andreotti e della politica estera della vecchia Balena bianca, la Democrazia cristiana che aveva interlocutori e un positivo ruolo di mediazione in Medio Oriente come nell’area del Mediterraneo. L’Italia è l’unico paese in Iraq – Usa a parte – che per giorni e giorni non è riescito a trattare la liberazione dei connazionali rapiti, si nasconde dietro un’improbabile e falsa politica della fermezza (“con i terroristi non si tratta”) ma in realtà non sa come muoversi. L’unica certezza di Berlusconi, appunto, è la subalternità agli Usa spacciata come fedeltà atlantica. L’uscita di Zapatero, però, ha preso tutti di contropiede in Italia. A partire dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che insiste nei suoi appelli tricolori all’unità nazionale contro il terrorismo, nascondendo il fatto che in Iraq c’è una realtà ben più complessa in cui si intrecciano resistenza popolare contro l’occupazione, opposizione che ormai unifica sciiti e sunniti (miracolo della guerra di Bush) e attività terroristica. Ma quel che lascia più sgomenti è il balbettio delle principali forze politiche d’opposizione, Ds e Margherita che insieme ai socialisti dello Sdi hanno dato vita al “Triciclo”, il partito riformista. Fino a poche ore prima dell’uscita di Zapatero, tanto Piero Fassino quanto Francesco Rutelli si sono profusi in affermazioni contraddittorie, dichiarandosi in sintonia con i socialisti spagnoli ma abboccando all’amo dell’unità nazionale contro il terrorismo, contro qualsivoglia trattativa per liberare i prigionieri e contro il ritiro delle truppe italiane da Baghdad. Del resto, già in parlamento la maggioranza dei Ds e della Margherita si era rifiutata di votare per il ritiro delle truppe chiesto a gran voce dalla sinistra Ds, dai Verdi, da Rifondazione comunista, dal Pdci e dalla lista Occhetto–Di Pietro. Un fatto grave che segna il distacco dal paese reale di chi si propone come alternativa a Berlusconi ma non raccoglie la domanda di pace dell’opinione pubblica italiana nella sua stragrande maggioranza contraria alla guerra: «Facciamo come Zapatero, subito a casa i militari», dice il 70 per cento degli intervistati in tutti i sondaggi, mentre il 20 per cento chiede il ritiro a fine giugno e solo il 10 per cento chiede di restare in Iraq come forza d’occupazione per partecipare alla spartizione del bottino. Posizione fatta propria, oltre che dalle minoranze radicali di sinistra, da tutte le anime pacifiste e del movimento contro la globalizzazione neoliberista nato a Genova nel 2001. In testa la Cgil che continua a ribadire la sua richiesta di ritiro immediato delle truppe. Persino il presidente europeo Romano Prodi ha riconosciuto l’importanza della presa di posizione spagnola che insieme ai tentennamenti portoghesi cambia il quadro europeo, isola Italia e Gran Bretagna nel contesto dell’Ue e potrebbe attribuire un ruolo autonomo al Vecchio continente. Ma è l’Italia il punto debole dello schieramento guerrafondaio guidato dalla Casa Bianca, perché è qui che il rifiuto della guerra è più radicato tra le persone e probabilmente, se ci fosse una opposizione politica meno subalterna culturalmente, Berlusconi avrebbe già fatto fagotto e con lui ex-fascisti, leghisti e avanzi della destra democristiana. Il prossimo 25 aprile, domenica, le bandiere arcobaleno della pace invaderanno tutte le città italiane e tutte le manifestazioni indette dalle Associazioni partigiane per ricordare la Liberazione dal fascismo. La più importante sarà, come tradizione, quella di Milano che sarà conclusa dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani.

Pubblicato il 

23.04.04

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