Euro 2004, frasi fatte e scarpe scomode

Un grande evento come Euro 2004 suscita enormi attenzioni: l’interesse è creato dalle partite e dallo svolgimento di una competizione che beneficia di ampi spazi mediatici. È inevitabile, tutto, o quasi tutto, ciò che giunge dai campionati europei viene ripreso, commentato, analizzato e dibattuto. Beppe Severgnini, a proposito della rassegna portoghese, scriveva sul Corriere della Sera di sabato scorso («L’abbuffata che fa bene») di sagra, gara, festa, riunione, rito, cerimonia e anniversario. E poi ha ricordato che questa imponente rassegna giunge sulla scia dell’orrenda strage di Madrid, dello storico allargamento dell’Unione Europea e delle elezioni in 25 Paesi: «E ora l’Europa ha voglia di prendersi una pausa. Sembra un desiderio ragionevole. Speriamo che nessuno la pensi diversamente». Finora è andato tutto bene, insomma, tutto come previsto. A parte qualche eccezione, gli incontri sono equilibrati, quasi tutte le nazionali meno accreditate dai pronostici si sono comportate dignitosamente, la Svizzera, pur non incantando nel gioco ed in fase offensiva, ha dimostrato contro la Croazia di saper lottare e soffrire e l’Italia, come vuole la prassi, ha subito offerto molti spunti di dibattito. Dopo la deludente prestazione degli azzurri contro la Danimarca, si sono immediatamente scatenate le polemiche. L’arguto Gianni Mura, affermato ed intelligente editorialista della Repubblica, il giorno dopo il debutto della squadra del Trap, ha usato una metafora assai eloquente e azzeccata: «Si sa che l’Italia non ha un impatto facile con i grandi tornei. È come quei turisti che si avvicinano passin passetto al mare, si fermano, si bagnano le tempie e il collo, fanno un passo indietro, poi si bagnano le braccia e lo stomaco e prima che si decidano a tuffarsi passa un po’ di tempo». Chiaro, quindi, il concetto di Mura che aggiunge poi giustamente che «non perdere quando si gioca così male è un bel risultato». Il valore dei due pareggi – senza reti – dell’Italia e della Svizzera è proprio da ricercare nella capacità di aver evitato la sconfitta, nonostante la scarsa e confusa propensione a proporre azioni degne di nota. Sempre Mura, discepolo di quel grande maestro che fu Gianni Brera, intervistato sulle pagine sportive de laRegione di martedì scorso da Marzio Mellini, annotava, a proposito della valanga di interviste che vengono fatte prima e dopo le partite (spesso anche durante), come «non sono abituato a raccogliere interviste. Nessuno ha mai nulla di interessante da raccontare». In effetti, oggi, a questi livelli è sempre più difficile captare dai giocatori delle impressioni originali o delle analisi di un certo spessore. È il festival dell’ovvio e dello scontato, con – talvolta – delle divertenti incursioni nel paradosso o nel ridicolo, come la questione delle scarpe e dei calzettoni scomodi indossati da Francesco Totti. Se poi la testa e i piedi non sono in forma è secondario, in campo basta la bella presenza…!

Pubblicato il

18.06.2004 12:30
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