Eternit, le indagini continuano

La speranza degli imprenditori, non più solo italiani, è di non finire nelle mani del sostituto procuratore torinese Raffaele Guariniello, da decenni in prima linea contro le malattie professionali e i danni psico-fisici provocati dall'organizzazione del lavoro. Eppure, l'obiettivo del dottor Guariniello non è infliggere condanne esemplari e il suo sogno non è veder marcire in galera i colpevoli di reati ai danni dei lavoratori. Il fine di tanti procedimenti aperti e processi intentati è duplice: «Ottenere il risarcimento del danno subito dai lavoratori e, soprattutto, il cambiamento della situazione lavorativa che quel danno ha prodotto». Se ne stanno accorgendo pure i fratelli Thomas e Stephan Schmidheiny oltre alla Suva: Guariniello ha infatti deciso di vederci chiaro anche sui casi degli ex lavoratori italiani degli stabilimenti svizzeri della Eternit rientrati in patria e malati o morti per aver inalato le fibre di amianto.

Chi ha capito al volo tale filosofia è l'amministratore delegato della Fiat, quel Sergio Marchionne che ha salvato e riportato al successo l'automobile italiana: prima ancora che si aprisse il processo che vede alla sbarra il gruppo dirigente passato e presente del Lingotto – accusato di aver provocato stress, tendiniti, guai alle articolazioni e alle ossa in seguito all'introduzione di un sistema lavorativo che aumenta sfruttamento e alienazione (Tmc2) – Marchionne ha introdotto prima a Mirafiori e progressivamente in tutti gli stabilimenti della multinazionale torinese un sistema di analisi dei danni provocati agli operai ed ha modificato in modo anche radicale l'organizzazione del lavoro (cfr. area n. 51-52 del 22 dicembre 2006, pag. 15). Abbiamo cercato il dottor Guariniello, titolare del processo ai proprietari della Eternit che vede imputati tra gli altri i fratelli Schmidheiny, perché ci aiutasse a capire se, e quanto, la decisione del Tribunale federale, presa dai giudici di Losanna all'inizio di novembre e che impone all'Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro gli infortuni (Suva) di fornire altri dati sulle vittime dell'amianto, potrà incidere sul procedimento giudiziario in corso.
Nel 2001 la procura di Torino aveva ottenuto l'assistenza giudiziaria in relazione a una dozzina di operai italiani impiegati fino agli anni Novanta nelle aziende svizzere della Eternit, a Niederurnen (canton Glarona) e Payerne (canton Vaud). Un lavoro maledetto quello con l'amianto, che ha provocato in tutto il mondo migliaia di morti per mesotelioma e cancro ai polmoni. Più di due anni fa, Guariniello aveva chiesto alla Suva un supplemento di documentazione relativa a 196 dipendenti Eternit di Niederurnen e Payerne e il doppio di dossier relativi sempre agli stabilimenti svizzeri degli Schmidheiny, ma la Suva aveva rifiutato qualsivoglia collaborazione. Va precisato che la Suva (a differenza dell'italiana Inail) è anche soggetto di controllo e certificazione della non nocività degli ambienti lavorativi. L'impressione in Italia, confermata anche dal magistrato torinese nonché dall'avvocato che difende le parti lese, Sergio Bonetto, è che la Suva tema di finire lei stessa sotto processo, con l'intero sistema svizzero di adozione di sistemi di sicurezza sui processi produttivi. Perciò il rifiuto alla richiesta di rogatoria di Guariniello, a cui è però seguita la decisione del Tribunale federale di respingere il ricorso della Suva, che è ora obbligata a trasmettere gli incartamenti richiesti da Torino. Tale decisione non ha però sortito alcun effetto pratico ai fini dell'inchiesta: tutto è congelato in attesa che il Dipartimento federale di giustizia e polizia (diretto da Christoph Blocher) si pronunci su un ulteriore ricorso della Suva, che teme di finire a sua volta indagata (cfr. riquadrato a lato).
Da anni – ci dice Guariniello – Torino avanza inutilmente richieste di collaborazione alla Svizzera: «Siamo al 5° o forse 6° ricorso, speriamo che questa sia la volta buona. Devo dire che ci crederò solo quando vedrò muoversi qualcosa nella direzione auspicata». La documentazione richiesta consentirebbe a Gauriniello – che della decisione del Tribunale federale ha avuto notizia esclusivamente dagli organi di stampa – di acquisire informazioni fondamentali e analisi sull'ambiente di lavoro. Dei 196 dipendenti degli stabilimenti svizzeri di Eternit di cui Guariniello ha chiesto la documentazione, 62 si sono ammalati e 16 sono nel frattempo già morti. «Noi abbiamo richiesto documentazione ambientale anche all'azienda, che ha risposto negativamente così come la Suva. Di conseguenza, siamo a buon punto nell'inchiesta relativa ai danni prodotti dall'amianto negli stabilimenti italiani dell'Eternit, mentre lo stesso non si può dire per quelli svizzeri…». Il rinvio a giudizio degli imputati e l'avvio del processo sarà possibile soltanto dopo una risposta definitiva della Svizzera. Nel frattempo, il confronto tra i patrocinatori della parte lesa e i rappresentanti legali degli Schmidheiny per il risarcimento delle vittime (interrotto in seguito alla promulgazione dell'indulto da parte del governo Prodi, che ha ridato la speranza di farla franca ai padroni dell'Eternit, cfr. area n. 39 del 29 settembre 2006), è ripreso in forme semi-clandestine, senza approdare per ora ad alcun risultato.

L'isola degli Schmidheiny

Anche i maiali possono avere la loro stagione di notorietà. Qualcuno predisse loro: un giorno diventerete famosi. E così fu. I Cayos Cochinos – in spagnolo isole dei maiali – si sono trasformate d'incanto nell'"Isola dei famosi", il famigerato reality show di Simona Ventura che per intere stagioni ha ammorbato i telespettatori di lingua italiana, travolgendoli nelle onde caraibiche gonfie di suspence, amore e lacrime. Ma che c'azzecca l'Isola dei famosi con l'amianto e i suoi storici padroni, i fratelli Stephan e Thomas Schmidheiny? C'azzecca, e come. Le fantastiche isole honduregne Cayo Paloma e Cayo Menor, nell'arcipelago dei Cayos Cochinos, sono di proprietà di Stephan Schmidheiny dal 1992, quando grazie ai favori dell'allora presidente dell'Honduras Rafael Callejas, il presunto filantropo svizzero ci mise le mani sopra e decretò l'area riserva naturale. Due anni dopo l'acquisto venne costituita una fondazione finanziata da imprenditori locali e stranieri per la gestione dell'area. Arrivarono così i primi rigidissimi limiti di pesca che provocarono, neanche a dirlo, il progressivo spopolamento delle isole. Ad accelerare la desertificazione di questo angolo di paradiso contribuirono le minacce di sgombero e le violenze ai danni dei garifuna, la scomparsa del pescatore Domicilio Calix Arzu, il ferimento al braccio con un colpo di fucile del sommozzatore Jesus Flores Peredes. Da un anno, l'isola più popolata (Chachahuate) è sorvegliata da una pattuglia dell'esercito che spaventa la popolazione.
In questo contesto di moderno colonialismo capitalista è sbarcata a Cayo Paloma, affittata da Rai Due, l'allegra brigata di Simona Ventura, peggiorando la vita dei sopravvissuti pescatori. Alla popolazione garifuna di Cayo Cochinos è stato intimato (dal presidente della Fondazione Cayos Cochinos che gestisce l'area in collaborazione con il Wwf) di non avvicinarsi all'isola dei famosi, per non disturbare il reality show, magari rovinando una scena drammatica di sopravvivenza con un solo pesce crudo da dividere tra tutti i concorrenti, con l'apparizione sullo sfondo di un misero pescatore: "È vergognoso il comportamento della tv italiana – ha denunciato al quotidiano il manifesto Miriam Mirando, dell'Organisacion Fraternal Negra de Honduras – che sta attentando al diritto all'alimentazione della comunità. In Italia avete tante isole belle, perché allora l'Isola dei famosi non andate a farvela a casa vostra?".
A monte di quest'ultima violenza c'è il processo di privatizzazione selvaggia di quest'area, che ora rischia di subire un'invasione turistica grazie al mega-spot regalato ai garifuna dal reality show (i turisti che arrivano nelle isole pagano una tassa di 10 dollari, di cui neanche uno finisce nelle tasche della popolazione locale), che potrebbe mettere a rischio, insieme alla cultura e alla sopravvivenza della popolazione locale, uno dei siti più straordinari dal punto di vista ambientale, dove una specie di tartaruga in via di estinzione depone le uova. A iniziare l'esproprio di queste isole è stato proprio Stephan Schmidheiny, tutt'ora proprietario di Cayo Paloma e Cayo Menor. Ad accelerare il processo di privatizzazione sono stati i progetti di sviluppo turistico finanziati dalla Banca mondiale e dal Banco interamericano di sviluppo. In difesa delle popolazioni che abitano isole e atolli cresce il movimento indigeno di protesta, sbarcata a fine anno nella capitale honduregna Tegucigalpa.   

Pubblicato il

12.01.2007 02:00
Loris Campetti