La politica militare e di difesa non è mai davvero trasparente, neppure nei regimi più democratici. E la Svizzera non fa eccezione. Basti ricordare come sono state trattate, di volta in volta, le vendite di armi a Paesi in guerra. O la vicenda, mai del tutto chiarita, dei voli segreti della Cia sulla Svizzera. Negli ultimi giorni, poi, si sono accavallati altri episodi – un aereo straniero da combattimento che si schianta contro le montagne bernesi; una missione poco chiara di soldati svizzeri in Iran – che lasciano aperto più di un interrogativo e fanno quanto meno riflettere sulla politica d'informazione del Consiglio federale quando ci sono di mezzo questioni relative alla politica militare e di difesa.

Il cacciabombardiere tedesco

Il fatto più spettacolare, ma sul quale in sostanza si sa pochissimo, è quello del cacciabombardiere tedesco schiantatosi giovedì 12 aprile contro una parete rocciosa del massiccio della Jungfrau, nell'Oberland bernese. Secondo quanto ha indicato il portavoce dell'aviazione militare elvetica, Jürg Nussbaum, l'aereo da combattimento, un Tornado della Luftwaffe (l'aeronautica militare tedesca) che può svolgere anche missioni di ricognizione, stava sorvolando la Svizzera di ritorno dalla Corsica. Poco prima dell'incidente si era fermato all'aerodromo militare di Emmen, nel cantone di Lucerna, per fare rifornimento di carburante. L'apparecchio stava effettuando un "esercizio di navigazione", nel quale il pilota deve sorvolare diversi obiettivi.
Simili voli di aerei militari stranieri sopra la Svizzera sono autorizzati e non hanno nulla di straordinario, ha precisato Nussbaum. D'accordo; ma perché tali "esercizi di navigazione" di velivoli militari stranieri tra le montagne svizzere vengano autorizzati, nessuno l'ha spiegato. La domanda centrale, la più imbarazzante, l'ha posta in termini molto chiari non un giornalista o un politico svizzero, ma addirittura il presidente della società degli ufficiali della Luftwaffe, John R. Hüssy: «Per me rimane aperta  la questione del perché un pilota tedesco, che sta facendo un volo di ritorno dalla Corsica già di per sé impegnativo, debba  condurre un simile esigente esercizio di navigazione tra le montagne in un paesaggio difficile e con condizioni di tempo non perfette».
La risposta è stata più burocratica che politica. Il sorvolo d'esercizio del Tornado era stato autorizzato sulla base di un accordo bilaterale tra Svizzera e Germania, firmato il 29 settembre 2003 e finora mai pubblicato, nel quale viene regolata la collaborazione nel settore della formazione militare. Ma perché la Svizzera stringe tali accordi? «Solitamente è la Svizzera che trae maggior beneficio rispetto ai partner stranieri dalla collaborazione stabilita in tali accordi, poiché grazie ad essi le Forze aeree svizzere possono partecipare a campagne d'allenamento all'estero alle quali altrimenti non avrebbero accesso», è stata la risposta data dal Dipartimento della difesa (il Ddps).
Ma la Germania fa parte della Nato. Non è forse questa una forma di collaborazione con l'Alleanza atlantica? E la neutralità? La risposta della Segreteria generale del Ddps: «I voli di navigazione svolti da jet stranieri nello spazio aereo svizzero non ledono il principio di neutralità della Svizzera.  È consuetudine che, in tempo di pace, gli Stati neutrali collaborino con altri Stati per quanto riguarda l'istruzione delle proprie forze armate. Per garantire la propria neutralità armata, la Svizzera deve poter istruire le proprie forze armate anche all'estero. Quale controprestazione, la Svizzera offre a sua volta possibilità d'istruzione a forze armate straniere, a prescindere dall'appartenenza a un'alleanza».
È una spiegazione che denota una certa reticenza, nel senso che dice e non dice. L'asserzione «a prescindere dall'appartenenza a un'alleanza» vuol dire in sostanza, senza menzionare la Nato, che gli accordi di collaborazione con singoli Paesi vengono presi nel quadro di un'intesa forse ufficiosa e vaga, ma reale, di fondo, con un'alleanza come la Nato. D'altra parte,  questo dire e non dire, questa informazione mai completa e chiara si riscontra anche nell'altra vicenda che ha fatto discutere nei giorni scorsi.

Soldati svizzeri in Iran

Il 20 aprile scorso un comunicato della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati faceva scoppiare il caso, chiedendo pubblicamente ai capi dei dipartimenti degli esteri e della difesa «informazioni sull'impegno di personale di sicurezza all'ambasciata di Svizzera in Iran».
In discussione non veniva messo l'impiego di militari svizzeri a Teheran, ma la completezza e la correttezza dell'informazione che il governo ne aveva data  al Parlamento. I verdi ed i socialisti hanno subito reagito negativamente. «Il Consiglio federale inganna il popolo», ha detto il consigliere nazionale socialista solettese, Boris Banga. Gli ecologisti, da parte loro, hanno emesso un duro comunicato, prendendosela anche con i presidenti delle commissioni della politica estera e della politica di sicurezza, che sapevano e non hanno detto nulla.
Le cose, in breve, stanno così. In autunno il governo aveva autorizzato, su richiesta del Dipartimento degli esteri, l'invio di 30 militari professionisti nella capitale iraniana, per proteggervi la locale ambasciata svizzera da un  "elevato pericolo". Questo alto rischio sarebbe dovuto al fatto che dal 1980 la Svizzera rappresenta  in Iran gli interessi americani. I rapporti diplomatici tra Iran e Usa erano infatti stati interrotti l'anno precedente, quando gli iraniani presero in ostaggio personale dell'ambasciata americana di Teheran.
Con il recente aumento della tensione (peraltro mai completamente  calata) tra Iran e Stati Uniti, sono evidentemente aumentate le esigenze di sicurezza anche per la nostra ambasciata, visto il suo compito diplomatico supplementare. La contestazione non riguarda la missione dei trenta soldati svizzeri, pienamente autorizzata dalla legge, ma l'informazione lacunosa, viziata da un'ingiustificata mania di segretezza, datane dal Consiglio federale. Nel loro comunicato gli ecologisti si sono detti «sbigottiti che la presidente della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale, Barbara Haering, abbia condiviso le illegali manie di segretezza del Consiglio federale».
Questo ha fatto arrabbiare i socialisti. Dopo che i consiglieri federali Micheline Calmy-Rey e Samuel Schmid sono andati alla Commissione della politica estera a dare spiegazioni (e, probabilmente, a chiedere scusa), l'incidente è praticamente rientrato. Ma proprio per questo, l'attacco dei verdi alla presidente socialista della Commissione della sicurezza è parso una scorrettezza . «I verdi dovrebbero tenere il becco chiuso», ha replicato Banga,  che della Commissione della sicurezza è il vicepresidente. Secondo lui, il partito degli ecologisti sta cercando di fare campagna elettorale, e «quando si tratta di missioni all'estero, il loro posto è nell'angolo come l'Udc». Per i verdi, però, le cose non sono così semplici: non discutono le missioni all'estero, ma solo se autorizzate dall'Onu.

"Meglio tacere per proteggere"

Come replica Barbara Haering alla critica dei verdi? La presidente della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale spiega anzitutto che quella a Teheran non è «un'operazione di sostegno della pace» (eventualmente autorizzata dall'Onu), ma  «un servizio di assistenza all'estero in base all'articolo 69 della legge militare». Quindi, un'operazione perfettamente legittima. Quanto all'informazione, dopo aver messo in evidenza i vari passaggi informativi ai presidenti delle due Camere e delle commissioni parlamentari interessate (politica estera e sicurezza) nonché della Delegazione delle Commissioni della gestione, la signora Haering ha aggiunto: «Il Consiglio federale ci aveva assicurato che le due Camere parlamentari sarebbero state informate nella sessione di primavera. In questa circostanza, al rappresentante del Dipartimento degli esteri ho comunicato che non avrei rifiutato di dare le informazioni in mio possesso se fossi stata interpellata in merito».
Ha infine aggiunto che, non potendo «io stessa valutare la situazione di pericolo», si è «decisa a mantenere il silenzio a protezione del personale dell'ambasciata e dei rispettivi parenti».

Pubblicato il 

27.04.07

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