Essere se stessi

Se si dovesse descrivere con una frase che cosa direbbe? Semplicemente uno studioso di storia. Che cosa è veramente la produzione intellettuale: lavoro solitario, di genio, di scuola di bottega? In gran parte è lavoro solitario. Fatalmente. Il lavoro in comune si può fare, ma dopo averne fatto molto di carattere individuale; dopodiché le scuole si formano, si disfano, ma, quello che conta, è quello che ciascuno ha saputo, originalmente, costruire. Qual è il ruolo dell’intellettuale? Imparare dagli altri, invece di far la lezione agli altri. Esiste un legame tra intellettuali e potere? Sì, fortissimo, ma questo dipende da ragioni innanzitutto economiche. Il «potere» vuol dire il detentore della ricchezza, degli strumenti, degli archivi, delle università, dei bilanci dello stato, ecc. È quindi evidente che tutta l’attività (da quella degli studiosi di economia a quelli che si occupano di farmacologia, a quelli che si occupano di storia, ...) è tributaria di questo rapporto di forze diseguale; per cui la committenza decisiva è sempre quella del potere economico, statale. Il che pone problemi di libertà piuttosto forti. Ma poi la volontà di ciascuno ad essere se stesso, probabilmente è l’elemento discriminante. La cultura conta nelle decisioni politiche? Nulla può accadere senza che ci sia un filtro di questo genere, diciamo così, intellettuale. Poi, «cultura» viene usata di solito solo con un valore riduttivo. Si pensa alla cultura umanistica, di solito, no? Questo s’intende perlopiù, e invece no. Invece, vi sarebbe da intendere tutta quanta, quella scientifica, quella tecnologica, quella economica e anche quella artistica, letteraria e così via... Visto in questi termini, credo la questione abbia un’altra luce. L’etica dovrebbe essere in funzione della politica o la politica in funzione dell’etica? Un problema antico e come dire... notoriamente controverso, perché le due tesi che si affrontano sono che, a fin di bene, quindi in un’ultima analisi per una finalità etica, si può violare l’etica individuale, contingente. Questo è un problema sul quale Machiavelli e i suoi critici si sono arrovellati. Si è cercato di distinguere alla base il mondo etico-morale dal mondo politico, ma nella pratica le due cose non riescono a stare insieme. Questo è noto, perché rispondono a due logiche diverse, per cui la mia risposta non può essere affatto ottimistica. Tendo però a pensare, che si possa anche porsi un problema sul terreno schiettamente politico, sapendo che è un terreno che ha una sua autonomia... però non si deve dimenticare mai, che le ragioni stesse, per cui si fa politica, sono ragioni morali. Il silenzio degli intellettuali, ammesso che esista, è anche quello degli intellettuali organici del potere economico? No, quelli non hanno bisogno di parlare, sono a loro agio, fanno il loro lavoro in maniera immediata a contatto con le fonti da cui deriva la loro stessa esistenza e il loro stesso prestigio. Quindi, il silenzio è, secondo me, attualmente, soprattutto di coloro che avevano un atteggiamento di critica, spesso ben fondata, nei confronti dell’ordinamento esistente, e che dopo una serie di delusioni si sono messi zitti. Quando di parla di globalizzazione, si parla di qualcosa di completamente nuovo rispetto alla tradizione? No, quello che è nuovo può essere la misura, l’entità del fenomeno, ma non il fenomeno come tale. Volendo, c’è sempre una pagina molto famosa del primo capitolo del Manifesto di Marx, che descrive la forza che la borghesia industriale ha dispiegato, affermandosi. Ed è un inno alla globalizzazione, cioè alla capacità della borghesia industriale, e occidentale, europea soprattutto, di unificare il mondo e di governare l’intero funzionamento economico del pianeta. Se non è globalizzazione questa... Internet come strumento o come illusione? Strumento senza dubbio, ma anche, secondo me, veicolo potenziale di un nuovo dispotismo. Nuovo, consistente in una separazione completa tra i detentori di queste tecnologie (nel senso di centri capaci di costruirne sempre nuove e sempre più sofisticate, che annullano le precedenti) e utenti, i quali, naturalmente possono fare un uso splendido di queste tecnologie, sia pure in una funzione passiva, subalterna (ma che non sapranno mai interferire nel processo produttivo che crea queste tecnologie). Quindi, la separazione di ruoli, che un tempo era quella visibile ad occhio nudo del rapporto produttivo in fabbrica, adesso è molto più sofisticata. E lo scontro, in un certo senso, è per il possesso non immediato della ricchezza, ma delle tecnologie, cioè del sapere. Questo punto mi sta molzo cuore: il fatto, che proprio l’informatica in tutte le sue diramazioni è l’esempio più visibile di come sono cambiati i termini del problema e di quanto invecchiata sia la riflessione, la progettazione della sinistra nel mondo... Dico nel mondo con qualche prudenza, ma tutto sommato è così, perché vive in una dimensione culturale vecchia, quindi tutto sommato inefficace dal punto di vista della incisività. Accorgersi che l’oggetto del contendere non è la ricchezza in senso immediato, la fabbrica, i prodotti, il dominio dei processi produttivi, ma la conoscenza, il sapere, è sconcertante, anche perché è impalpabile, e si vorrebbe capire da dove viene questo sapere. Quindi è uno scontro (si capisce, di carattere sociale), ma molto più complicato e sofisticato. La battaglia è culturale, dovunque, e bisogna riuscire a formare delle generazioni consapevoli di tutto ciò, e quindi protese a impadronirsi della conoscenza. L’insegnamento, le università sono il vero terreno di questo scontro, non più la fabbrica. Chi detiene lo strumento che forma l’opinione? Non un grande vecchio... no, ma certamente una ragnatela, molto pervasiva e lontanissima dalla nostra immediata percezione, di poteri finanziari. Cioè, si è passati da tempo, nell’epoca in cui la ricchezza produce altra ricchezza, non produce merci. Eppure non sta da nessuna parte questo tipo di capitale, non sta fisicamente qui o lì, sta un po’ ovunque. È suo interesse costruire un mondo di consumatori sudditi tendenzialmente conformisti, e siccome tutti i mezzi di comunicazione, da quelli immediati (giornali, radio, ...) a quelli sofisticatissimi (produzione artistica, urbanistica, ...) sono nelle mani di chi detiene questa ricchezza, allora è evidente che la costruzione dell’opinione non si coglie mai nell’attimo in cui si produce, e ci sarà sempre qualcuno che dirà: «ma vedete bene che gli strumenti sono liberi…» [allusione al discorso tenuto da Sergio Romano durante la presentazione del libro, Ndr]

Pubblicato il

28.06.2002 02:00
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