Complice il lassismo degli enti coinvolti e di una politica passiva, una parte del padronato abusa della procedura di fallimento per ottenere indebiti vantaggi, lasciando montagne di debiti sulle spalle dei lavoratori e dello Stato con le imposte inevase. Il sindacato rende attenti che la soglia di guardia è stata ampiamente oltrepassata: i costi dei fallimenti regionali (198 milioni di franchi annui) superano gli investimenti annuali del Canton Ticino. Il meccanismo è questo. Mentre mi appresto a far fallire la mia ditta, ne creo un’altra da usare quando sarà il momento. Nel frattempo inizio a non pagare i dipendenti, gli oneri sociali e le tasse. I fornitori sì, altrimenti non produco, non guadagno e, soprattutto, non mi rifornirebbero più quando sarà operativa la nuova ditta. In quest’ultima, per ora inattiva, inizio a trasferire gli attivi della vecchia per essere pronto quando sarà definitivamente fallita. Così potrò riprendere l’attività il giorno seguente utilizzando gli stessi macchinari sistemati nell’identico magazzino, impiegando gli operai della ditta precedente. A saldo dell’operazione, avrò lasciato 3,8 milioni di franchi di debiti per personale, oneri sociali e imposte, mentre nei confronti dei fornitori avrò un leggero scoperto di 100.000 franchi (meno del 3% dei debiti totali). Grazie a quei quasi quattro milioni risparmiati, potrò sbaragliare la concorrenza offrendo prezzi scontati, continuando a far soldi. Non è fantascienza, ma uno dei casi concreti documentati da Unia Ticino (si veda l’infografia allegata) nella sua denuncia sulla piaga dei fallimenti pilotati. Nel concreto si tratta di un’impresa edile, i cui titolari hanno persino ripetuto il giochetto, fallendo due volte e ora sono sul mercato con una terza ditta. Stando alla denuncia sindacale, non siamo in presenza di casi isolati, ma di un sistema adottato da un numero crescente di imprese per realizzare dei profitti. «Una parte non più marginale del padronato non esita a ricorrere al fallimento quale strumento illecito per realizzare profitti a scapito dei lavoratori, delle assicurazioni sociali e delle finanze pubbliche» scrive il sindacato. Un danno che colpisce anche le imprese corrette, confrontate con la concorrenza sleale generata da questi soggetti. Una piaga in crescita che nel solo Ticino carica sulle spalle della collettività quasi 200 milioni di franchi all’anno, a tanto ammonta il peso dei fallimenti a sud delle Alpi. In cifre assolute, il Canton Ticino stacca nettamente il resto del paese per perdite generate dalla liquidazione di fallimenti. Negli ultimi anni la media delle perdite di questo tipo dei cantoni è stata di circa 132 milioni di franchi, mentre in Ticino supera quota 252 milioni. Per dare un’idea della somma, in un anno le imprese ticinesi fallite bruciano più di quanto il Cantone investa (167 milioni nel 2016). Complessivamente, in una ventina d’anni in Ticino sono stati polverizzati, scrive il sindacato, qualcosa come 5,55 miliardi di franchi. Una piaga sociale resa possibile dal complice lassismo generale delle autorità cantonali e federali, come sottolineano i sindacalisti. Possibile che si possano accumulare tanti debiti nei confronti dell’Avs, del secondo pilastro o di imposte (Iva in particolare) senza che nessuno reagisca?, si domandano al sindacato. Dalla loro analisi si deduce che il problema sta nel fatto che ognuno di questi enti lavora a compartimenti stagni, limitandosi nella migliore delle ipotesi a inviare dei precetti esecutivi all’insolvente. Precetti che hanno l’effetto di un solletico al destinatario. Unia cita il caso di un imprenditore che ha accumulato 334 precetti esecutivi nell’arco di cinque anni, ma prosegue indisturbato la sua attività. Il tema non è nuovo, ma negli ultimi anni è diventato tanto esteso da poter essere definito un sistema di far azienda. Negli anni passati singoli esponenti politici di ogni colore presentavano atti parlamentari per contrastarlo. Atti politici rimasti isolati, perché la maggioranza dei loro colleghi faceva poi quadrato attorno alla sacralità dell’impresa, del suo diritto di fallire e di riaprire in base al motto «una seconda possibilità non si nega a nessuno». Ed è partendo da questo fianco molle che i sempre più frequenti ideatori di fallimenti pilotati hanno trovato lo stratagemma per far soldi. E il fenomeno, o meglio la piaga, pare piuttosto esteso. «Sia chiaro, fallire non è un reato. Ma se pensiamo che sui mille fallimenti dello scorso anno, si sospetta che la metà potrebbe avere delle connotazioni penali, si ha un’idea di quanto sia urgente porvi rimedio» aveva detto al nostro giornale Fabio Tasso, il commissario capo della Sezione reati economici e finanziari (Ref) della polizia cantonale (area n. 6, 2017). Attenzione però, osserva il sindacato, se è vero che la legislazione svizzera in materia di fallimenti è troppo debole e lacunosa, è altrettanto vero che gli strumenti di natura penale esistono. Quel che manca è la volontà politica di combattere frontalmente il fenomeno. Non solo a livello federale, ma pure nel cantone più colpito dal paese dal peso dei fallimenti. Unia arriva a questa conclusione dopo aver analizzato il progetto “Riorganizzazione nei settori Registri ed esecuzione e fallimenti della Divisione della giustizia” presentata lo scorso 14 luglio dal consigliere di Stato Norman Gobbi. Un progetto inserito nelle misure di risparmio che nello specifico dovrebbe consentire di economizzare 2 milioni l’anno. La parte da leone del risparmio la farebbe proprio il settore esecuzione e fallimenti, con 1,46 milioni di franchi “risparmiati”. Secondo il sindacato vi sarebbero due buoni motivi per astenersi da questi risparmi. Il primo è che questi uffici guadagnano più di quanto spendono. La loro spesa annuale ammonta a 13,7 milioni di franchi, mentre le entrate corrispondono a 24 milioni di franchi, dunque con un saldo positivo di una decina di milioni. Il secondo motivo per cui si dovrebbe rinunciare alla prospettata riorganizzazione è la creazione di un unico ufficiale dei fallimenti invece dei due attualmente esistenti, suddivisi territorialmente tra Sopra e Sottoceneri. Eppure, segnala Unia, proprio l’Ufficiale del Sopraceneri (dimissionario) è colui che si occupa «anche di allestire, per tutti gli uffici cantonali, le denunce insinuate al Ministero pubblico qualora esista un il sospetto di reati fallimentari». Stando al sindacato, la riduzione da due a un solo Ufficiale indebolirà ulteriormente l’efficacia delle istituzioni nella lotta contro i fallimenti abusivi. Non propriamente un buon segnale, quando questi stanno esplodendo. Il sindacato si dice pronto a far la sua parte, denunciando sia alla giustizia sia pubblicamente i casi di cui verrà a conoscenza, ma sottolinea quanto sia necessario che i crimini fallimentari diventino una priorità politica condivisa il più ampiamente possibile. |