Ernesto Guevara, un angelo nell’inferno

Il 9 ottobre scorso ricorreva il quarantesimo anniversario dell'assassinio di Ernesto Che Guevara. La ricorrenza venne commentata da quasi tutti i mezzi di informazione. L'intonazione era generalmente improntata a una revisione del mito che, a mio parere, andava oltre la critica degli aspetti palesemente agiografici fioriti attorno alla figura del Che con le relative strumentalizzazioni commerciali. L'impressione che ho avuto era che si volesse in un certo senso distruggere il personaggio e la speranza in un mondo migliore ad esso collegata. Un tentativo a mio parare destinato a fallire: chi potrà vedere come sarà ricordato nel 2016 in occasione del cinquantesimo della morte o il 14 giugno del 2028 in occasione del centesimo anniversario della nascita potrà trarre delle prime conclusioni al riguardo.
Al Che viene generalmente imputato di essere stata una persona irascibile, un comandante spietato della prigione di la Cabana nei sei mesi immediatamente successivi alla cacciata di Batista da Cuba, il responsabile di una politica agraria fallimentare, un presidente della Banca Nazionale poco efficace e l'ideatore dei campi di rieducazione. È probabile che questi siano aspetti negativi sui quali sia giusto meditare come è giusto meditare sull'involuzione della rivoluzione cubana. Dario Fertilio, giornalista del "Corriere della Sera" e scrittore, in una recente bella trasmissione della Rsi dedicata al Che, lo descrisse come «personaggio mitizzato e demonizzato, con molti pregi e alcune enormi tare, angelico e diabolico nel contempo». Pensando al contesto nel quale ha operato, alla ferocia dei suoi avversari, ai suoi sogni, ai problemi che ha voluto affrontare, al fatto che fosse una persona portata ad agire per puro idealismo, senza ambizioni né di ricchezza, né di potere modificherei l'ultima definizione di Fertilio nel senso che il Che, a mio parere, fu un angelo chiamato a operare all'inferno.
L'inferno dei suoi nemici: Batista, dittatore corrotto e mafioso di Cuba, Mobuto, corrotto e ladro (il suo regime venne anche definito una "cleptocrazia") e, nell'ultima disperata spedizione in Bolivia, Barrientos, un altro dittatore sanguinario che inventò gli squadroni della morte e che elesse a suo collaboratore quel Klaus Barbie, criminale nazista poi condannato all'ergastolo in Francia. Infine tra i suoi nemici non va dimenticata la Cia che aveva messo al potere almeno due dei tre personaggi nefasti ricordati sopra e che forse ordinò di sopprimere il Che dopo la sua cattura.
L'inferno di paesi (Cuba, Congo, Bolivia) in mano a dittature sanguinarie, controllati in modo spietato da polizia, esercito e servizi segreti e dove l'ingiustizia sociale aveva raggiunto limiti intollerabili.
L'inferno del neocolonialismo in Africa e dell'egemonia degli Stati Uniti in Centro e Sudamerica che, con la corruzione, la minaccia di interventi militari e grazie al collaborazionismo ben rimunerato di parte della classe dirigente indigena ostacolavano o impedivano le già di per sé problematiche prospettive di sviluppo nazionale dei paesi poveri e la conquista di spazi di autonomia nazionale.
Il Che era per sua natura un rivoluzionario e, come ebbe a dire lui stesso, il compito di un rivoluzionario è di fare la rivoluzione. Le rivoluzioni attecchiscono solo quando diventano "necessarie" e trovano dei leader capaci di interpretare il momento storico. La responsabilità morale della scia di morti e di immani sofferenze che lasciano dietro di sé è soprattutto, appunto, di chi le ha rese "necessarie". Inoltre di solito, quando riescono, le rivoluzioni non ottengono i risultati che si erano proposti i loro autori, ma rompono comunque degli schemi superati e aprono delle nuove prospettive.
La figura del Che, come personaggio che ha saputo interpretare in modo del tutto disinteressato e senza compromessi la necessità di una ribellione del Sud contro il Nord mantiene e manterrà, secondo me, tutto il suo fascino anche in futuro. È tuttavia giusto sperare che gli enormi problemi delle disparità a livello planetario possano essere risolti senza altre rivoluzioni e cercare di dare il proprio contributo, anche a livello delle piccole cose, affinché questo possa avvenire.

Pubblicato il

16.11.2007 13:00
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