No ad una regolarizzazione collettiva. No ad un contingente speciale. No ad una moratoria sulle decisioni di rinvio. No all’organizzazione di una tavola rotonda. Tre ore di dibattito in Consiglio nazionale non hanno modificato di una virgola la posizione sociale e giuridica delle decine di migliaia di sans-papiers che vivono in Svizzera. La linea dura e intransigente della Consigliera federale Ruth Metzler è stata confermata dalla stragrande maggioranza dei deputati, anch’essi convinti della bontà dell’attuale quadro legislativo, che «consente di trovare soluzioni adeguate per i casi particolari». L’indignazione della sinistra, il malessere dei parlamentari romandi e i dubbi di qualche deputato democristiano non hanno minimamente intaccato la politica della «lady di ferro» appenzellese. La legge va rispettata alla lettera, punto e basta. Una legge razzista e discriminatoria, che costringe alla clandestinità donne e uomini, inesistenti per lo stato ma preziosa manodopera a basso costo per molti padroni senza scrupoli. Gente a cui fa comodo poter far capo a lavoratori che vivono una condizione giuridica e sociale precaria e dunque non tentate di far valere i loro diritti. Il socialista e sindacalista giurassiano Jean-Claude Rennwald ha rilevato la grande contraddizione di questo paese: si consente all’economia di usare i sans-papiers ma nel contempo si reclama il rispetto della legge. In realtà la lotta andrebbe condotta contro gli sfruttatori dei sans-papiers, che macinano affari sulla pelle di clandestini che sgobbano undici ore al giorno, che percepiscono meno di duemila franchi al mese e che vivono in abitazioni indecenti. Questa è però una logica difficile da scardinare perchè rappresenta l’anima stessa della politica svizzera d’immigrazione. Una politica che si fonda su una visione profondamente utilitaristica del fenomeno immigrazione, riducendolo e modellandolo ad una riserva di forza lavoro. E dunque da qui che si deve partire per cercare di imporre un cambiamento di rotta. E al movimento dei sans-papiers, che meriterebbe, diciamolo pure, maggiore attenzione e sostegno dalle organizzazioni politiche e sindacali della sinistra, non resta che moltiplicare le azioni di lotta in tutto il paese. Non sarà infatti certo il parlamento a rimettere in discussione l’impostazione, che viene tra l’altro ribadita anche nella nuova Legge sugli stranieri (Lstr) appena licenziata dal Consiglio federale. Una normativa che prevede di erigere nuovi muri per impedire l’entrata di persone in fuga dalla miseria e della violenza e che contribuirebbe soltanto a fabbricare nuovi lavoratori clandestini. Ma questa sarà una battaglia (referendaria) per il futuro prossimo! Nel frattempo val la pena spendere qualche riga sulle cosiddette «soluzioni per i casi umanitari», l’arma preferita da Ruth Metzler per difendere la linea dura. Un’arma a doppio taglio perché suscita grandi illusioni fra i sans-papiers, ma che nasconde un sistema totalmente arbitrario. È emblematico il caso, narrato in aula dalla verde Anne Catherine Ménétrey-Savary, di una coppia dell’America latina giunta in Svizzera nel 1990: quattro anni dopo la loro domanda d’asilo viene respinta, ma la famiglia cresce in Svizzera, nascono due figli. Decidono di restare, ma un giorno vengono fermati dalla polizia che scopre la loro clandestinità. La loro storia commuove le autorità cantonali, che inoltrano a Berna una richiesta di permesso umanitario. In una lettera di raccomandazione uno dei datori di lavoro del padre scrive: «perfettamente integrata, ottime conoscenze linguistiche, ottimo comportamento sul lavoro e fuori». Queste qualità non sono però bastate all’Ufficio federale degli stranieri per preavvisare positivamente un permesso umanitario. E casi come questi se ne potrebbero citare a decine! Non si commetta dunque l’errore di accontentarsi per il rilascio di qualche migliaio di autorizzazioni di soggiorno «extra». E nemmeno del piccolo gesto di apertura del Nazionale, che ha accolto un postulato socialista che chiede una soluzione per i giovani clandestini, confrontati, al termine della scuola obbligatoria, con l’impossibilità di proseguire gli studi o di avviare un apprendistato. La soluzione è ancora lontana. La lotta continua!

Pubblicato il 

14.12.01

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato