Emry, Sans-papiers kosovaro, Friburgo

«Il 25 dicembre? È un giorno di lavoro come gli altri». Emry Bega quasi non capisce la domanda. Emry ha 39 anni, è arrivato in Svizzera dal Kosovo nel 1987, quando non c'era bisogno di visto. Da allora, i sabati, le domeniche e tutti i giorni festivi li passa sgobbando in un maneggio, anche se non ha il permesso. Sveglia verso le sei, alle sette la colazione per i cavalli. Poi lavarli, strigliarli, cambiarli. Pulire e risistemare le stalle, fare le riparazioni, rimettere gli ostacoli sul percorso, mantenere il maneggio in ordine e funzionante, servire la clientela che esercita la nobile arte dell'equitazione. Fino alla sera, quando per un sans-papiers è più salutare rintanarsi nell'alloggio che andarsene in giro rischiando un controllo e l'espulsione. E il 25 dicembre non ha niente di diverso, nessuno fa auguri e regali? «Sì, i proprietari di cavalli fanno regali!» scoppia a ridere Emry, pensando ai cioccolatini e alle mance. Sono generosi? «Quando hanno interesse. Sono ricchi, conoscendoli puoi avere tutto. Per la mia esperienza, non è affatto vero che in Svizzera conta solo la legge, uguale per tutti». Ora però, dopo 14 natali così, qualcosa è cambiato: Emry ha tra le mani il permesso, o meglio la decisione che gli permetterà di riceverlo dopo aver riempito qualche formulario. Definirlo un regalo sarebbe ridicolo, se non offensivo. Non gli viene dalla carità pelosa di qualche riccone influente, né dalla magnanimità improvvisa di una qualche autorità in preda al pentimento. È il frutto di un lungo ed onesto lavoro, di una lotta collettiva e della tenacia di qualche militante. Emry si era unito alla lotta dei “sans papiers” l'anno scorso, quando il primo gruppo di lavoratori classificati come “illegali”, stanchi di nascondersi, aveva occupato per protesta una chiesa a Friburgo. «Non ne potevo più, ero pronto a partire, anche se non sapevo per dove. Ma non volevo neppure andarmene così, senza dire o fare nulla. Partecipare al movimento dei sans-papiers dava almeno un senso alla mia vita. Ho pensato: se mi butteranno fuori di forza, almeno potrò dire di averci provato». Com'è noto, il Governo ha respinto tutte le rivendicazioni dei sans-papiers, rifiutando anche di discuterne, ed ha emanato una circolare per regolarizzare quelli che chiama «casi di rigore». Tra le condizioni imposte, figuravano una permanenza nel paese di almeno 4 anni e un lavoro stabile. La stabilità del posto di lavoro per chi non ha i documenti in regola è cosa rarissima, una vera condizione capestro. Emry, con ben 14 anni sotto lo stesso padrone, è uno dei pochi che si sono azzardati a presentare il proprio dossier. Pochi, perché indicando luogo di lavoro ed abitazione, se la domanda viene respinta l'espulsione è sicura. Eppure Berna respinge anche la domanda di Emry, e gli notifica la decisione di rimpatrio. I motivi sono più che risibili: il padrone, non si sa perché, non ha pagato l'Avs per Emry nel 1992, dunque… Dunque cosa? i militanti del Centro di Contatto Svizzeri-Immigrati di Friburgo non si danno per vinti, inoltrano un ricorso e protestano con una conferenza stampa. Ed è solo dopo tutte queste battaglie che arriva il permesso. Emry è ancora troppo confuso per rallegrarsi: «Non so più cosa fare» ripete, pensando alla moglie e ai quattro figli rifugiati in Francia. «Tutto questo attendere mi ha quasi portato al divorzio; non mi credevano più quando dicevo che aspettavo il permesso. Chissà se ora è troppo tardi». Ai dubbi si aggiunge il sentimento d'amarezza per la sorte dei compagni di lotta: «Penso agli altri che non l'hanno avuto. Se restano, è la catastrofe, se partono, è la catastrofe…» Non sembra davvero che un permesso ottenuto a Natale renda le feste diverse per chi, come Emry, da 20 anni non festeggia niente. «Mi ricordo quando ero piccolo, al paese, si festeggiava capodanno. Non c'era l'elettricità, si mettevano tante candele, e c'erano tutti, decine di persone tra zii, cugini e nipoti. Ma non può più succedere». Guerra, miseria ed emigrazione hanno disperso le famiglie, e spesso anche i loro sogni.

Pubblicato il

20.12.2002 07:00
Alvaro Baragiola
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