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Emigrato o expat

di

Dino Nardi

Da sempre, storicamente, coloro che lasciavano il proprio paese per cercare un lavoro all’estero, venivano definiti e si autodefinivano “emigrati”. Adesso non più. Da qualche lustro vengono definiti (o amano così autodefinirsi?) “expat”. Giustamente molti vecchi emigrati italofoni, pur comprendendo (a naso, come si suol dire) che il termine “expat” significa “espatriato”, si interrogano sui motivi dell’uso di questo neologismo.


Innanzitutto debbo confessare che anche il sottoscritto è rimasto alquanto perplesso, non trovandovi una spiegazione logica, quando si è iniziato a definire degli “expat” questi giovani che si trasferiscono all’estero per motivi di lavoro e non più con il classico “emigrati” secondo una consuetudine secolare. Ho cercato di documentarmi anche attraverso il web per capire il significato che si dà a questo termine e quindi i motivi della sua diffusione tra i nuovi flussi migratori. Ebbene, innanzitutto “expat” è un termine inglese che, secondo Wikipedia, si riferisce a lavoratori qualificati, per lo più altamente qualificati, che vengono inviati all’estero dal loro datore di lavoro per un periodo limitato di tempo per lavorare in succursali o progetti in outsourcing (lavori affidati a ditte esterne).


Le caratteristiche principali sono il limite di tempo (di solito da uno a cinque anni), il distacco da parte di un’azienda e il mantenimento dei legami con il paese d’origine o con l’azienda stessa. Sempre secondo Wikipedia il termine “espatriato” è comunque preferito dai lavoratori migranti provenienti da paesi avanzati con alto status sociale probabilmente per differenziarsi dal concetto di lavoratore migrante, che a volte viene connotato negativamente.


Pertanto vi è un uso scorretto di questo termine laddove ci si riferisce a persone (più o meno giovani) che se ne vanno a lavorare all’estero di propria iniziativa in quanto per questi si tratta semplicemente di emigrare e cioè una casistica che annovera la quasi totalità dei cosiddetti cervelli in fuga.


Ergo, da parte di questa nuova emigrazione – spesso ma non sempre super qualificata – si preferisce probabilmente definirsi “expat” (magari anche quando, poi, in giro per il mondo si ritrovano a fare lavori umili, seppur decorosi, come lavapiatti/camerieri/pizzaioli) per evitare di essere confusa con la vecchia emigrazione dimenticando che anche ai suoi tempi vi erano pure i cervelli in fuga (per quell’epoca, ovviamente) cioè cuochi, meccanici, tornitori, attrezzisti, elettricisti, muratori, carpentieri ecc. ecc. e non solo manovalanza di basso livello e gli uni e gli altri non vi trovavano, e non vi trovano tuttora, nessuna accezione negativa nel definirsi emigrati. Ma si sa che i tempi evolvono così che come, oggigiorno, gli spazzini – pur continuando a svolgere le stesse mansioni –sono diventati prima netturbini ed infine degli operatori ecologici, anche tutti gli emigrati possono ridefinirsi expat, a lor piacendo!

Pubblicato

Giovedì 9 Aprile 2020

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