Emergenza climatica e democrazia partecipativa

L’incombenza climatica tanto annunciata, quanto negata, ha bussato all’uscio dell’umanità, facendole “assaggiare” alcuni “cocktail” dall’effetto  devastante. Conosciamo (da anni) le cause. L’aumento vertiginoso del CO₂ nell’atmosfera è provocato dalle attività umane, in massima parte mediante combustione di risorse energetiche fossili: carbone, petrolio e gas, prelevati dal sottosuolo. In poco più di 200 anni abbiamo rimesso nell’atmosfera il carbonio che la natura aveva impiegato milioni per fissarlo in dette risorse nel sottosuolo.  


Sappiamo anche da anni cosa dovremmo fare, e disponiamo anche di un paradigma di sviluppo sostenibile e duraturo, per garantire equilibrio tra effetti di produzione e consumi, e soddisfare i bisogni fondamentali di tutti gli esseri  umani e nel contempo non superare i limiti ecologici-ambientali.
Sappiamo anche che per affrontare l’emergenza climatica dobbiamo reagire rapidamente, con azioni concertate e coordinate a livello mondiale. Basarci unicamente su disponibilità o responsabilità di governi e/o cittadini come finora attuato anche nei paesi a democrazia rappresentativa ci porterà dritti al baratro. Per evitare di intraprendere la via autoritaria è utile prendere spunto da quanto le scienze sociali e politiche ci offrono.  


La teoria e la prassi per affrontare problemi indicano due approcci fondamentali: a) Top-Down (dall’alto verso il basso): i responsabili della conduzione affidandosi a esperti, decidono obiettivi, modalità, emanano regolamenti, ne sorvegliano l’esecuzione. b) Bottom-Up (dal basso verso l’alto) tutte le persone implicate sono coinvolte nella discussione su cosa fa problema, e con l’aiuto di esperti, implicati anche nella ricerca di possibili soluzioni e modalità d’applicazione.


Trasferito alla società, il primo approccio funziona ottimamente per azioni di intervento immediato, di salvaguardia e di corta durata: pompieri, protezione civile, polizia e militari. Il secondo per tutte le situazioni che devono portare a un cambiamento importante, duraturo nel tempo.
La teoria sulla dinamica dei gruppi di lavoro evidenzia che la singola persona agisce motivata e in modo efficace quando ha un’idea sufficientemente chiara dello scopo e del risultato finale, conosce e comprende l’obiettivo da raggiungere, possiede le conoscenze adeguate per agire, sa applicare i mezzi necessari, ed è in grado di valutare la propria azione. Parimenti un gruppo è efficace quando tutti i membri hanno un’idea chiara degli obiettivi, sono informati della situazione e conoscono i mezzi a disposizione, li sanno usare; e sono costantemente aggiornati sui cambiamenti dell’obiettivo per modificare la propria azione.

 

Un gruppo, soprattutto quando è grande, deve avere canali di comunicazione usati da tutti i loro membri, divisione del lavoro accettata da tutti, e un’autorità di coordinamento-controllo, da tutti riconosciuta. L’assenza di uno dei citati fattori inficia l’azione del singolo e del gruppo.
Un problema mette in difficoltà, obbliga a cambiare, ma al contempo è opportunità per cambiare. Problema chiama diversità di interpretazione e di soluzione. La diversità è una fonte di energia sociale poderosa. Gestita bene – ovvero confronto argomentato delle proposte a sostegno delle varie tesi – consente di trovare la soluzione adeguata. La diversità quale risorsa consente l’unità d’azione nel rispetto delle differenze.   


Applicate all’emergenza climatica e sociale suddette condizioni rinviano più che mai a sistemi politici di democrazia deliberativa – piuttosto che a quelli di democrazia rappresentativa – capaci di creare uno spazio pubblico di confronto (fra percezioni, analisi, principi, criteri, proposte e soprattutto di argomentazioni) condizione necessaria per trovare un accordo riconosciuto e applicato da tutti i cittadini considerati uguali in diritto e responsabili.

Pubblicato il

21.10.2021 09:41
Ferruccio D'Ambrogio
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