La scuola ticinese è tutta un'emergenza. Prima la lettura (i ragazzi non sanno leggere!), poi il bullismo, adesso il telefonino. Speriamo che si passi al più presto alla buona creanza, come si diceva una volta: quella degli adulti, intesi come colleghi. Così mi viene di pensare al rientro da una giornata dedicata al libro, opportunamente organizzata da una scuola media sopracenerina sotto Natale.
Ha scritto Corrado Augias nel suo saggio sulla lettura che chi non legge ha l'anima anoressica. Ma di quali patologie soffrirà il docente che accompagna la IV media che mi trovo davanti, seduto in fondo all'aula tutto intento a correggere l'ultimo test di matematica? Quello non ha solo l'anima anoressica. Quello è un prontuario medico.
Niente lo tocca. Non c'è parola che lo distragga dall'attivismo correttorio. Cerco di ignorarlo, fin dall'inizio dell'incontro, come lui ha fatto con me, anche se la cosa mi mette a disagio. Potrei essere scortese e invece il correttore sotto sotto mi stimola discorsi di tolleranza. Sento una partecipazione emotiva profonda per la sua anima fottuta. E allora, mentre parlo ai ragazzi di Bilal, l'ultimo libro-verità di Fabrizio Gatti, lo metto mentalmente tra i diseredati africani protagonisti del libro. Trovo che sia altrettanto bisognoso di attenzioni e di protezione. I cosiddetti viaggi della speranza e la scia di morti di cui parla Gatti non lo sfiorano. Eppure la materia del libro è incandescente. È un nuovo paradigma del male. Nell'aula c'è una grande tensione. Lui, il docente, più sordo di una talpa, non solleva gli occhi dai suoi fogli.
Lascio Fabrizio Gatti e passo a Gian Antonio Stella, autore della bambina, il pugile e la giraffa, un racconto commovente intriso di amore, di affetto, di umanità. I ragazzi sono molto interessati: i loro occhi si fanno prensili. Lui, il correttore, niente. È sempre più piegato su se stesso: sempre più efficiente e lontano.
Una ragazza dal fare materno pone un domanda intelligente. Il correttore alza gli occhi dal suo lavoro, la scruta. Sembra interessato e invece credo che sia solo invidioso. Persino il bulletto che mi ha sfidato all'inizio dell'incontro dichiarandosi platealmente non-lettore chiede qualcosa. In modo goffo, con espressione precaria come fa spesso chi non legge. Ma la sua partecipazione mi riempie di gioia. In fondo all'aula l'impiegato del Decs scrolla la testa in un gesto censorio, autoreferenziale. Nessuno lo nota, il gesto, solo io. Mi chiedo se avrebbe saputo fare meglio del bulletto. L'incontro continua: oggi, 20 dicembre, è la festa del libro. Parlo di altre pubblicazioni e chiudo con Cetriolini al cioccolato, il diario di un'adolescente francese che ha l'aria di interessare molto le ragazze. A questo punto lascio l'aula. Ringrazio la classe e auguro ai ragazzi il Buon Natale. Contraccambiano. Anche il docente si alza. Si avvicina timoroso. Non dice una parola: sono molto imbarazzato per lui. Né posso confessargli il pensiero poco cristiano che mi preme dentro e che nasce da una famosa battuta: "Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore."

Pubblicato il 

25.01.08

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