Con il dottor Elio Canevascini, morto all'età di 96 anni, scompare una delle più rilevanti figure dell'antifascismo ticinese. Figlio di Guglielmo Canevascini, il "padreterno" del socialismo ticinese, Elio è stato primario di chirurgia presso l'Ospedale Beata Vergine di Mendrisio, medico al servizio della comunità ma si è anche distinto per l'importante opera umanitaria profusa. La vita di Canevascini è stata infatti caratterizzata negli anni giovanili dall'intensa attività sul fronte di guerra, in quel lungo periodo di conflitti europei che va dal 1936 al 1945 durante il quale ha unito la difesa della libertà e della giustizia, dapprima tra i volontari in difesa della Repubblica di Spagna e successivamente nella Resistenza contro lo stesso nemico – il nazifascismo – in Jugoslavia.
In un'intervista con Massimo Delorenzi, autore di un libro di prossima pubblicazione sui combattenti ticinesi in Spagna, Canevascini osservò che «se c'è una cosa che mi dispiace è che il ticinese non ha saputo distinguere tra gli antifascisti democratici e i fascisti seguaci di Mussolini. Una parte dei ticinesi è diventata anti-italiana, confondendo fascismo e italianità». E alla domanda "Ha odiato i nazisti?" rispose: «Io non odio nessuno. Non parliamo di odio. Io odio l'uomo che commette soprusi, che vuol comandare e condannare, che vuol disporre degli altri quando e come vuole. Ecco quello che odio». Di seguito l'intervista integrale di Massimo Delorenzi a Elio Canevascini. Per il nostro giornale Maria Pirisi realizzò un ritratto di Elio Canevascini, pubblicato in area n. 8-9 del 20 febbraio 2004. Anche questo articolo si trova nel nostro sito internet.


«Odio l'uomo che commette soprusi»

Elio Canevascini, cosa le ha insegnato la guerra di Spagna?
Che la guerra è scoppiata per volontà politica. Prima delle elezioni del febbraio 1936 ci sono stati dei movimenti di contestazione e degli scioperi nelle Asturie. Il governo mandò Franco a reprimere i movimenti di protesta. Era stato violento e tremendo e la popolazione si è indignata ed è iniziata l'insurrezione spontanea animata dalle organizzazioni politiche delle varie città. Erano gruppi repubblicani, liberali e democratici. I comunisti erano una minoranza insignificante. I repubblicani vincono le elezioni e la destra si ribella.
La svolta decisiva avviene quando Franco entra in Spagna con le truppe del Tercio aviotrasportate dal Marocco. Quello fu il primo attacco militare contro i repubblicani fatto non da spagnoli, ma dai legionari comandati da Franco. La Francia e l'Inghilterra che dovevano garantire la neutralità del non interventismo straniero in Spagna, hanno lasciato fare. In sostanza hanno aiutato politicamente Franco. Questa è stata la grande svolta politica che ha scatenato la guerra di Spagna. Franco ha poi fatto entrare le truppe di Mussolini e quelle di Hitler per conquistare il paese e instaurare una dittatura militare. Se la Francia e l'Inghilterra fossero intervenute immediatamente come voleva la popolazione, rispettando gli accordi, le sorti della Spagna sarebbero state diverse. In seguito sono intervenuti i russi per difendere la repubblica e la guerra di Spagna si è trasformata in una battaglia tra comunisti e fascisti. Io ero in Spagna ancora prima della creazione delle Brigate Internazionali. La Guerra di Spagna è stato il movimento ideologico più importante del '900.

Come mai lei era già in Spagna?
Mi ero arruolato nella colonna Ascaso, nome di uno dei primi anarchici caduti durante l'insurrezione dopo la proclamazione delle repubblica. La colonna era stata formata da Carlo Rosselli e dagli anarchici di Barcellona. Il movimento di Giustizia e Libertà ha organizzato un trasporto di volontari italiani repubblicani, socialisti e antifascisti senza partito, che si sono aggregati a noi. E' stato l'inizio della collaborazione tra gruppi di ideologia politica diversa,  in particolare gli anarchici e gli azionisti di Carlo Rosselli.
E' stata la prima spedizione antifascista e il primo battaglione internazionale su terra spagnola. I primi internazionali erano italiani. Dopo sono sorte autonomamente altre colonne in Catalogna. I primi combattimenti sono avvenuti in Aragona. Il nostro primo obiettivo è stato rompere l'avanzata dei fascisti sulla strada tra Saragozza e Huesca per impedirgli di congiungersi con i falangisti. Siamo riusciti a bloccarli nonostante avessimo davanti i soldati del Tercio che erano preparati, anzi erano programmati per la guerra. Abbiamo così impedito la formazione di un esercito più potente. Abbiamo avuto diverse perdite importanti sul Monte Pelato, non per il numero, ma per i personaggi come l'avvocato Angeloni e tanti altri che morirono durante queste battaglie.

Con quali armi combattevate?
Con le armi saccheggiate nelle caserme della Guardia Civil. Era stato fatto un assalto a mani nude, con bastoni e pugnali alla caserma di Tibidabo sopra Barcellona, dove sono stati saccheggiati degli arsenali interi. Ci siamo ritrovati tra le mani fucili e mitraglie in grande quantità.

Chi fece l'assalto alle caserme?
Gli anarchici che poi ci consegnarono parte delle armi per costituire la colonna. Più tardi le navi russe sono sbarcate a Barcellona con armi pesanti, aeroplani da montare e mitraglie e il partito comunista è entrato in guerra in modo massiccio. Il governo Negrìn poi Castelli (un socialista) furono influenzati da questa ingerenza russa. Il partito comunista di Stalin era diventato il padrone della situazione. Fornivano tutto il necessario compresi i mezzi di propaganda e l'equipaggiamento. Da quel momento le sorti della Repubblica erano nelle mani della Russia.

Quanto è rimasto in Spagna?
Sono partito dopo tre mesi. Me ne andai per due ragioni. La prima è che stavo per finire gli studi e non potevo rinunciare alla mia laurea in medicina. La seconda perché non ho accettato la lotta che c'era tra di noi, tra repubblicani, democratici, comunisti e anarchici. Avevano imposto nell'armata la polizia con lo scopo principale di eliminare gli anarchici, cominciarono a Barcellona a uccidere degli anarchici importanti, come l'italiano Camillo Berneri, che ha fatto tutte le prigioni d'Europa. Questi avvenimenti mi hanno spinto a tornare a Parigi e laurearmi.
Nel 1944 sono poi partito in Jugoslavia. Sono stato due anni al fronte, facendo la chirurgia riparatrice.

Cos'è esattamente?
Consiste in questo: durante la guerra si operava nei boschi dietro le linee e si tagliava e si cuciva  in modo rapido perché le condizioni delle operazioni erano precarie. Si operava per salvare la vita al partigiano, ma le ferite non erano definitivamente curate, rimanevano dei nervi all'aperto e dei monconi asimmetrici nelle amputazioni. Erano delle operazioni per "sistemare" in modo accettabile le ferite.
Io ero con gli inglesi che fornivano il materiale e con un grande chirurgo chiamato Gills che ci insegnava le tecniche di chirurgia riparatrice. La guerra partigiana in Jugoslavia era una guerra di spostamento. Il tedesco tornando dalla Grecia si spostava, per congiungersi con l'armata italiana, le nostre riposte avevano come scopo di fermare i tedeschi per impedire questo congiungimento con l'armata italiana.

Ha combattuto?
Ero chirurgo al fronte, mi portavano i feriti da operare. Ma combattere o non combattere è un valore relativo. Al fronte ci si può lasciare la pelle anche senza combattere. Bisogna vedere come ci si è stati al fronte: "A fare cosa? In cucina? Oppure a combattere per 15 giorni dietro un albero senza sparare un colpo?" Tutti comunque rischiavano la pelle.
La paura è dappertutto, vedi cadere uomini di qua e di là, se non riesci a trovare un riparo più che sicuro vivi nella paura, nell'incertezza. Quando sei nel cuore della battaglia spari, esci fuori e spari ancora, ripari non ne hai.

Che tattica avevano i partigiani jugoslavi?
Ci spostavamo in continuazione perché i tedeschi facevano lo stesso e dovevamo seguirli. Non potevamo lasciarli davanti a 10 o 15 chilometri. Dovevamo sempre essere a pochi chilometri per sorprenderli. Come medico ero sempre a 30 metri dal fronte per operare al più presto i feriti.

E' capitato di annientare per intero un gruppo di tedeschi?
Ho visto di peggio. Ho conosciuto la vendetta dei partigiani quando prendevano i tedeschi. Li trattavano bene, li facevano lavorare. I tedeschi chiedevano di essere trattati secondo la convenzione di guerra di Ginevra. I partigiani domandavano: "Che mestiere fai?" "Sono muratore". E lo facevano lavorare. Finito il lavoro lo fucilavano. In Jugoslavia non c'è stato nessun prigioniero. Nessun campo per prigionieri. Se io fossi stato sorpreso a operare un tedesco mi avrebbero fucilato immediatamente. Non c'era scampo. I partigiani di Tito erano considerati come dei banditi dall'armata ufficiale.

Ha operato dei tedeschi?
Ho avuto un contrasto verbale con dei commissari politici perché il trattamento dei prigionieri e degli stessi partigiani era diventato disumano. Laggiù per fucilare ed eliminare una persona non era necessario il processo, si sparava e poi si scavava un buco. Mi rifiutai di operare dei partigiani jugoslavi che avevano delle ferite leggere, per operare dei kosovari con ferite gravi che erano stati arruolati di forza. Quando i feriti passavano in seconda linea volevano operassi prima il partigiano jugoslavo con una semplice pallottola nel braccio, mentre il kosovaro che doveva essere operato immediatamente per aver salva la vita, doveva aspettare. Io invece applicavo le regole dettate della mia professione e dovevo seguirle. Per fortuna mia, la brigata dov'ero chirurgo è stata mandata a riposo perché da molto tempo al fronte, altrimenti mi avrebbero eliminato. Sono passato a un'altra brigata e mi hanno consegnato una carta scritta in cirillico che mi sono portato appresso. Un giorno ho incontrato un commissario politico della Dalmazia che parlava italiano, leggendola mi disse: "Se giri la Jugoslavia con questo pezzo di carta un giorno ti faranno fuori". Era un ammonimento severo che diceva che se non rispettavo il diritto di precedenza dell'operare il partigiano jugoslavo sarei stato fucilato. Pensavo fosse un benemerito.

C'è qualche altro episodio che ha segnato i suoi ricordi?
Ho cercato, dopo qualche anno, di dimenticare perché disturba la mia vita pensare a questi avvenimenti. Ho nella mia memoria anche episodi di cui non dovrei parlare perché sono gravi e ho rischiato di lasciarci la pelle. Non posso lasciarle registrare queste cose, se spegne il dittafono le racconto. Ma non se ne serva. Perché possono prestarsi ad interpretazioni ancora di valore attuale.
I tedeschi erano stati molto tempo in Macedonia, venendo dalla Grecia. Avevano commesso dei disastri e delle violenze. Erano ben organizzati ma erano dei criminali. Facevano la guerra in modo spietato soprattutto contro queste etnie zingare. Per loro gli slavi erano degli schiavi. Li consideravano delle semi-bestie. Come le ho già detto non c'erano prigionieri né da una parte né dall'altra.

Anche i partigiani erano determinati e crudeli?
Quando volevano sapere qualcosa erano crudeli anche con i ragazzi. Ho assistito alla fucilazione di un ragazzo di 15 anni. Era stato catturato dai tedeschi. Lo avevano torturato per sapere dove si nascondevano i partigiani. Aveva confessato e quindi tradito. I tedeschi hanno cercato di sorprendere i partigiani che a loro volta si erano accorti che i tedeschi si stavano avvicinando al loro nascondiglio nelle montagne e hanno capito che qualcuno aveva fatto la spia.  I superstiti rientrati nel paese hanno fatto domande e la popolazione ha detto che era stato questo ragazzo a tradirli. Gli hanno fanno un processo sommario. Lui ha ammesso le colpe e l'hanno condannato a morte.
Ho avuto una discussione con il commissario politico della brigata. Gli ho detto: "E' un ragazzo e questa non è una condanna giusta". Mi hanno risposto che era giusto così, se no gli rimaneva il marchio di spia per tutta la vita. Un traditore era finito come essere umano. Gli hanno fatto scavare la fossa. Sua mamma era disperata, poi il capo dei partigiani ha preso la pistola e l'ha ammazzato.

Dopo aver assistito a questi episodi, cosa l'ha spinta ad andare avanti? Come faceva un medico a stare in mezzo a degli assassini?
Io andavo avanti a fare il mio mestiere, che era un bel mestiere: "Salvare la vita degli altri". Durante la guerra non pensi che sei in mezzo a degli assassini, dopo, riflettendo cambia la tua visione di quegli episodi. Io ero con dei "soldati della campagna" erano molto più decisi. Avevano subito dei danni palpabili: case distrutte e incendiate, violenze atroci sui membri della famiglia. Non possedevano più nulla e nessuno. Erano disperati. Con noi combattevano anche le donne, delle contadine che avevano sofferto parecchio al passaggio delle truppe tedesche.

Che effetto fa la guerra ad una persona che salva la vita agli altri?
Fa un effetto liberatorio, una situazione per me ancora oscura moralmente. Quando i partigiani tornano dalla battaglia con un ferito, tu lo curi, se va bene guarisce e sopravvive. Nel limite del possibile cercavo di non più farlo tornare al fronte, era un'altra vittoria.

Cosa pensa della recente guerra in Jugoslavia?
Se ci fosse stato Tito non sarebbe successo niente. Tito è stato un grande unificatore. È stato un grande uomo. Aveva un'idea dell'universalità, del socialismo molto marcata. Nel suo partito e nel suo esercito c'erano componenti di tutte le razze e regioni anche se la predominanza era serba. Tito voleva una federazione jugoslava. Con l'ideologia comunista Tito aveva trovato il cemento per tenere assieme le diverse etnie della Jugoslavia. Aveva applicato un comunismo tollerante e largo di vedute, io stesso ho assistito a funerali religiosi ortodossi dove erano presenti i rappresentanti del governo comunista. Le varie etnie convivevano e si esprimevano senza difficoltà. Gli jugoslavi si erano fatti da soli senza l'aiuto di Mosca.

E' stato chirurgo in Jugoslavia e ha salvato delle vite. Ma in Spagna ha combattuto, era un soldato.
Ero un poveretto. Se mi avessero dato una bomba a mano, avrei dovuto farmi spiegare come usarla. Infatti sono andato subito in trincea con il nostro mitragliere per imparare almeno a caricare e mi ha insegnato a usare la mitraglia. Ho sparato di notte dopo un allarme. Ci mettevamo sul punto dove vedevamo i nostri che stavano davanti alla trincea a 400 metri dal nemico, poi guardavamo la replica, ci avvicinavamo e sparavamo dove vedevamo le fiammate dei proiettili.

Suo padre era Consigliere di Stato, noto antifascista, ha influenzato le sue idee e le sue scelte?
Mio padre era un social-democratico pragmatico che ha avuto dei meriti straordinari per la sua capacità organizzativa. Quando si prefiggeva un obiettivo andava fino in fondo, ma non era un idealista nel senso storico del termine. Era un ex-contadino che si è fatto da solo. Quando si parla di mio padre mi fa sorridere il fatto che è andato a scuola fino all'età di 9 anni. È una persona impressionante. In America ci sono persone di questo genere perché la lotta avviene tra chi ha i mezzi economici più consistenti. Lì può emergere l'individuo senza formazione accademica, se riesce a tenere in pugno la situazione. Da noi ci sono pochi casi. Mio padre è un caso singolare, un uomo che va a scuola fino alla quarta elementare e che diventa importante. Mio padre parlava poco, ci vedevamo poco. Era un autodidatta. Gli autodidatti sono testardi, vogliono arrivare al loro scopo. Hanno una caratteristica tutta particolare: sanno ascoltare.

Del rapporto tra il Cantone Ticino di quegli anni e la situazione italiana cosa è successo?
Qui si viveva di politica che è stata un riflesso degli avvenimenti in Italia. Si pensava come la politica pensava. C'era l'antifascismo che voleva anche dire, per i ticinesi, essere anti-italiano. Se c'è una cosa che mi dispiace è che il ticinese non ha saputo distinguere tra gli antifascisti democratici e i fascisti seguaci di Mussolini. Una parte dei ticinesi è diventata anti-italiana, confondendo fascismo e italianità. Quello che avveniva nel paese, nella vita sociale e anche sportiva, era marcato da questa differenza. Per molti ticinesi fascismo e italianità erano la stessa cosa e i rapporti tra i due popoli ne hanno risentito. Non dobbiamo dimenticare il "Soccorso rosso" che è poi diventato il Soccorso operaio. La sede era a casa mia dove lavoravano Santi e Morandi. Si raccoglievano medicinali per i poveri e per i clandestini. Giungevano dalla Spagna le lettere dei brigatisti e anche dei prigionieri fascisti, perché la corrispondenza dalla Spagna era bloccata alle frontiere italiane, aperta ed esaminata, diventava pericolosa per le famiglie degli antifascisti che subivano delle rappresaglie. A Lugano si inserivano in nuove buste e un nostro corriere passava la frontiera a Chiasso e le spediva, come corriere nazionale, da Como.

Durante la guerra civile spagnola, nel Battaglione Garibaldi c'erano dei ticinesi che facevano parte del  gruppo d'assalto "La Terribile",  ne ha sentito parlare?.
Sì. Pacciardi, repubblicano dotato di grande coraggio fisico era stato in Ticino come profugo. A Lugano collaborava con Libera Stampa, il giornale fondato da mio padre. Libera Stampa era diventato la voce degli antifascisti italiani in Ticino. Poi è partito a Parigi e da lì in Spagna dove è diventato comandante del battaglione Garibaldi. Aveva conosciuto questi ticinesi e li ha scelti per formare "La Terribile". Terzi, Gerla, Cetti, Marci, Bizzozzero, Albertoni, Canonica, Della Giovanna e altri. Il gruppo doveva risolvere delle azioni a breve distanza. Erano una quindicina. Li ha scelti perché aveva bisogno di un gruppo di fiducia. Sapeva che i ticinesi non avrebbero tradito perché facevano parte dei "Liberi e Svizzeri". Erano un nucleo compatto a parte e tra loro si conoscevano. Un gruppo che aveva giurato di lottare fino al sacrificio supremo contro il fascismo se i fascisti avessero invaso il Ticino.

Perché ha scelto dei ticinesi e non degli italiani?
Perché le Brigate Internazionali erano un miscuglio di gente e bisognava fare attenzione ai traditori. Dei fascisti erano stati mandati in Ticino da Mussolini e si facevano passare per profughi. Erano delle spie che raccoglievano informazioni e penetravano nei gruppi antifascisti. Un italiano si era presentato da Martinoni alla sede di Libera Stampa dicendo che voleva andare in Spagna a combattere con i repubblicani. Martinoni conosceva il percorso e aveva i contatti per farlo arrivare in Spagna alla base di Albacete. Quando è arrivato a Barcellona ha detto tutto alla polizia. La polizia ha scoperto il giro e ci sono stati degli arresti e un  processo, perché in Svizzera era vietato arruolarsi in eserciti stranieri. Quindi Pacciardi non aveva fiducia totale negli italiani. Mio padre diede la garanzia che i ticinesi erano fidati.

Come si sono comportati?
Non c'è stato nessun ticinese che ha tradito. Ci sono stati degli svizzero tedeschi e degli svizzero francesi che si sono arruolati con Franco. Ticinesi con Franco non ce ne sono stati.

Dal '43 al '45 molti ticinesi che avevano combattuto in Spagna fornivano armi ai partigiani italiani. Come le procuravano?
Mio padre ha fatto arrivare alla repubblica dell'Ossola delle armi. Io non facevo niente. Mio padre in qualità di Consigliere di Stato poteva far passare facilmente le armi che venivano dall'estero. Nesa e Martinoni portavano le armi ai partigiani. Probabilmente altri le rubavano negli arsenali. Ad Ascona c'era l'avvocato Rosenbaum di Zurigo. Fu radiato, a Zurigo, dall'elenco degli avvocati perché faceva commercio di armi con la Spagna repubblicana. Ha continuato a farlo quindi non è escluso che avesse una via attraverso la Germania o la Cecoslovacchia. Poi avrà consegnato a Nesa e a Martinoni le armi da far passare nell'Ossola. Questa via è stata probabilmente percorsa da mio padre perché conosceva Rosenbaum. Erano casse di sei o sette mitragliatori e munizioni che passavano di notte la frontiera di Camedo e altrove. In Ticino c'erano molte persone di riferimento per i partigiani italiani.

Pensa che un governo occidentale possa riproporre un sistema nazionalista aggressivo come quello?
Bisognerebbe credere che la storia non serve. Io invece credo ci siano stati dei cambiamenti nella gente e nel modo di guardare la propria nazione.

Cosa ci è rimasto del comunismo?
I comunisti non hanno chiarito la loro storia. Cos'è il comunismo attuale? Cosa c'è nel mondo attuale di comunista? Ci sono tante domande da fare a questa gente, perché hanno sbagliato tanto. Loro erano in Spagna nel momento in cui Stalin uccideva i primi fondatori del comunismo, come il maresciallo Tuchacewskij, uccidevano i veri comunisti. E noi parlavamo con questa gente dicendo: "Ma come fate a non capire che il comunismo è cambiato? Non c'è più la libertà tanto promessa". Niente da fare. Sono rimasti convinti. Mi piacerebbe incontrare i comunisti di quegli anni per capire se hanno ancora le stesse idee. La posizione di Stalin era anormale. Quello non era comunismo, era nazionalismo sovietico. Al loro posto direi: "Signori ho sbagliato". Se parlassero pensando a quella che è la situazione della globalizzazione nel mondo capitalistico capirei. Perché l'era Marx non è finita. In America nelle università si studia Marx. Quello che può sconvolgere e suscitare degli sconvolgimenti oggi sono le filosofie marxiste, non il comunismo. I comunisti in Spagna non hanno fatto niente. Si sono arruolati nelle Brigate Internazionali e basta.

Il comunismo è stato quindi un disastro?
Un disastro totale, salvo l'interpretazione alla Tito che era di un comunismo "illuminato". Lui sapeva esattamente com'era la Jugoslavia e come bisognava governarla. Tito avrebbe salvato questo paese dal massacro di questi ultimi anni. Lui aveva quasi eliminato le discriminazioni. In ogni posto di comando e in ogni consiglio lui metteva tutte le rappresentanze etniche.
Poi c'è stato un errore da parte degli occidentali: "Quello di non avere applicato il piano Marshall alla Jugoslavia". Li hanno lasciati alle loro buone intenzioni di creare posti di lavoro e portare l'industria nel Montenegro che è un luogo in cui non c'è niente. Tito aveva chiesto dei fondi per la Macedonia, ma non ha avuto nessun aiuto. Il piano Marshall ha sollevato la Germania, ma non la Jugoslavia. La Germania era già a terra, non c'era più niente e in 5 anni è resuscitata. Se avessero dato i soldi a Tito il benessere economico sarebbe stato diffuso e il disastro recente non sarebbe successo.

Ha odiato i nazisti?
Io non odio nessuno. Non parliamo di odio. Io odio l'uomo che commette soprusi, che vuol comandare e condannare, che vuol disporre degli altri quando e come vuole. Ecco quello che odio.

E' cambiato veramente il mondo?
E' arrivata la tecnologia. È riuscita a salvarci per ora. L'economia non ci salverà perché è anarchica. Questo è un capitalismo selvaggio che ci riempie la testa di miliardi tutti i giorni. E la disoccupazione e l'uomo? Sono in secondo piano. La grande lotta che ci sarà domani sarà di obbligare la scienza a chinarsi sulle questioni dell'uomo. Se non vinciamo questa battaglia diventeremo dei robot. Ci vuole un nuovo pensiero. Nella scienza c'è il pensiero e la mano dell'uomo. Oggi ci sono i risultati senza regole come la clonazione, l'uomo non è ancora pronto per accettarla.

Cosa pensa del terrorismo? Dell'anarchia? Della scienza?
Il terrorismo non risolve niente. Anche se ha cambiato certe cose. Come il terrorismo russo prima della rivoluzione che ha obbligato i politici di alto rango a ripensare la visione del popolo. Ma è durato poco. Gli anarchici non ci sono più, ma avevano un'idea magnifica, di una terra senza padroni, né servi. Resta importante la lotta per umanizzare le scoperte scientifiche e anche quelle che stanno facendo certi gruppi isolati che si occupano di problemi della fame, di difendere le etnie che subiscono soprusi come la sua idea degli indiani d'America. Tenere in vita questi focolai è un ideale. Non bisogna scegliere un ideale che vince, anche uno che perde se la scelta è giusta. Se non abbiamo ideali cosa ci resta ancora?



Breve profilo di persone citate

Angeloni Mario
Avvocato repubblicano, organizzatore di Italia Libera in Umbria. Ferito sul Monte Pelato nella Guerra Civile di Spagna, muore in ospedale il 28.08.1936.

Berneri Camillo
Anarchico assassinato nel maggio del 1937 a Barcellona dai comunisti che distrussero le organizzazioni anarchiche. All'inizio si pensò che venne assassinato da un sicario di Mussolini, poi si fece strada l'ipotesi di un comunista italiano.

Nesa Romeo
Di nazionalità svizzera. Combattente durante la Guerra di Spagna, tra i fondatori del Partito del Lavoro nel Cantone Ticino. Collaborò con i partigiani dal 1943 al 1945. Muore a Lugano il 29.12.1990.

Rosselli Carlo
Fondatore del movimento di Giustizia e Libertà, partecipa alla Guerra di Spagna. Assassinato col fratello Nello dai fascisti il 9.10.1937 in Francia.

Pubblicato il 

18.12.09

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato