Se l’iniziativa popolare “I soldi ci sono” verrà accolta, l’aumento delle aliquote che essa prospetta si abbatterà come uno tsunami sulle piccolissime, piccole e medie imprese ticinesi. È questa una delle tesi che i suoi detrattori – in particolare la ministra delle finanze Marina Masoni, i presidenti dei partiti borghesi, i loro deputati in parlamento e i rappresentanti delle associazioni economiche e finanziarie – hanno cercato sin qui di accreditare con maggior vigore. Messa alla prova dei numeri, confrontata con le testimonianze di alcuni imprenditori e valutata alla luce dell’effettiva incidenza dell’iniziativa, la tesi non regge. In realtà, l’impatto dell’aumento delle aliquote su piccole e medie imprese (Pmi), artigiani e piccoli imprenditori è tutt’altro che devastante. area questa settimana ne spiega il perché, smentendo pure – alla luce dell’esempio zurighese (cfr. pagina 3) – la fallacia di un’altra delle tesi sostenute dai contrari all’iniziativa: che la pressione fiscale sia un criterio preponderante nella scelta delle imprese di insediarsi o di rimanere in un determinato territorio. La società anonima X*, ditta farmaceutica con sede nel Sottoceneri che impiega una quarantina di persone, è una piccola e media impresa (Pmi, vedi articolo sotto). Attiva da decenni nel commercio all’ingrosso, nella produzione e nel confezionamento di medicamenti, nel 2004 ha fatturato circa 8 milioni di franchi (essenzialmente in Svizzera), ha realizzato ammortamenti per 500 mila franchi ed ha avuto oneri finanziari per 100 mila franchi. L’anno si è chiuso con un utile d’esercizio attorno ai 40 mila franchi. Il capitale sociale è di 1 milione di franchi. In base alle aliquote attuali, la ditta farà affluire nelle casse cantonali 3’600 franchi annui quale imposta sugli utili 2004, 1’500 franchi quale imposta sul capitale. Al Comune dove si trova la sede – che applica un moltiplicatore dell’85 per cento – andranno invece 4’335 franchi. In caso di accettazione dell’iniziativa popolare del Movimento per il socialismo (Mps), con un identico risultato di esercizio (e senza tener conto dell’imposta federale diretta) la società pagherebbe 5’200 franchi di imposta sull’utile e 3mila franchi di imposta sul capitale. L’imposta comunale sarebbe di 6’970 franchi. Con l’iniziativa popolare “I soldi ci sono”, la ditta X sborserebbe così complessivamente 5’735 franchi in più all’anno, o 478 franchi in più al mese. La rovina? «No, assolutamente. Un tale aumento delle aliquote, contrariamente a quanto affermano i contrari, non provocherebbe alcun sconquasso nelle nostre imprese. La pressione fiscale è solo uno dei criteri su cui si gioca, ma esso non è né determinante né il più importante», dice ad area il presidente del consiglio di amministrazione della ditta, pur spiaciuto del fatto che la concertazione interpartitica abbia ceduto di fronte a un’iniziativa ritenuta «unilaterale e politicamente inopportuna». A pensare come lui che l’impatto reale sulle Pmi dell’iniziativa sia trascurabile è anche il titolare* di una piccola società a garanzia limitata (due operai e un apprendista) attiva nel Bellinzonese nella lavorazione del metallo. «Se l’iniziativa dell’Mps venisse accolta – osserva – per una Pmi come la mia che pur dichiara un utile cambierebbe poco o nulla. D’altronde non mi risulta che quando l’aliquota era al 13 per cento le Pmi si lamentassero più di quel tanto a causa di un’imposizione fiscale troppo elevata». Un altro caso reale, sempre nell’artigianato edile ma riguardante una ditta di media grandezza: un’impresa di pittura del Bellinzonese* con una ventina di impiegati che ha avuto un giro d’affari di 2,8 milioni di franchi nel 2003, chiuso con un utile netto di 45 mila franchi. Il capitale sociale è di 100 mila franchi. Trovandosi in un Comune con un moltiplicatore di poco inferiore al 100 per cento, la ditta nel 2003 ha pagato complessivamente quasi 8’400 franchi annui di imposte cantonale e comunale. Se l’iniziativa Mps venisse accolta, a parità di utile si ritroverebbe a dover pagare all’incirca 12’300 franchi all’anno: un aumento di 3’900 franchi all’anno, 325 franchi in più al mese. «Si lavora con margini esigui e i costi continuano ad aumentare», afferma il co-titolare. Benché indirizzata soprattutto alle grosse imprese, l’iniziativa dell’Mps «coinvolge anche noi artigiani e certamente non ci aiuta: ci toglie un certo margine di manovra nel caso in cui dovessimo fare investimenti importanti». Tuttavia, osserva l’imprenditore, quei 325 franchi in più al mese non sono «una cifra insostenibile e affermare che ci porteranno alla rovina è esagerato: ci sono altri fattori da tenere in considerazione». * Le persone interpellate hanno richiesto l’anonimato. Le loro identità e il nome delle ditte sono conosciuti dalla redazione. Pmi, la propaganda e la realtà Benché la discussione si stia spostando essenzialmente sul piano delle banche e delle altre grosse società anonime, la “rovina delle piccole e medie imprese (Pmi)” continua ad occupare uno spazio privilegiato nel frasario dei contrari all’iniziativa “I soldi ci sono” che propone un aumento delle aliquote sull’utile (dal 9 al 13 per cento) e sul capitale (dall’1,5 al 3 per mille) delle persone giuridiche. Per il direttore dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti) e granconsigliere liberal-radicale Sandro Lombardi «non vi è alcuna possibilità per la stragrande maggioranza delle Pmi di sopportare un aggravio fiscale delle proporzioni da lui [Saverio Lurati] auspicate» (Corriere del Ticino, 8 marzo 2005). La ministra delle finanze e presidente del governo Marina Masoni ha persino affermato che l’iniziativa “I soldi ci sono” «cancellerebbe molti posti di lavoro, metterebbe in ginocchio l’economia, soprattutto le piccole e medie imprese ticinesi che non possono trasferire utili in altri Cantoni né delocalizzare attività» (Corriere del Ticino, 6 aprile 2005). Grossolane esagerazioni, propaganda politica (vedi articolo sopra). La stragrande maggioranza delle 22 mila persone giuridiche attualmente presenti e attive in Ticino secondo il Consiglio di Stato (Rapporto sull’iniziativa popolare “I soldi ci sono”, 12 gennaio 2004, p. 22) sono piccole e medie imprese (Pmi) che impiegano da 10 a 250 persone oppure imprese a conduzione familiare con meno di 10 dipendenti. Si tratta perlopiù di società anonime (Sa) o società a garanzia limitata (Sagl) con un capitale inferiore al milione di franchi e che – quando non lavorano in perdita – dichiarano utili non certo milionari. In base ai dati aggiornati a fine 2001 (quelli portati nelle scorse settimane dal governo in Commissione tributaria, gli ultimi disponibili), oltre la metà (9’754 su 19’355) delle persone giuridiche attive nel Cantone sono esenti oppure hanno un capitale inferiore ai 100mila franchi. Altre 7’931 imprese vantano un capitale compreso tra 100mila franchi e un milione. Di gran lunga inferiore (1’273) è il numero delle ditte con un capitale imponibile tra 1 e 5 milioni di franchi. Ancor meno (397) sono quelle con un capitale superiore ai 5 milioni. I contrari all’iniziativa affermano che tutte le Pmi saranno chiamate alla cassa. Vero. L’iniziativa non si limita in effetti ad aumentare l’imposizione su quelle aziende che registrano utili, ma prospetta pure un aumento dell’aliquota sul capitale che inciderà su tutte le Pmi, indipendentemente dal fatto che esse facciano utili o meno. La propaganda avversa – che agita lo spauracchio di un «aumento del carico fiscale del 44 per cento» senza parlare delle cifre assolute – tace però l’essenziale. In realtà, come si desume dalla tabella qui sotto (che indica l’attuale e la nuova, eventuale imposta cantonale, alla quale andrebbero poi sommate sia la “nuova” imposta comunale), l’aumento dell’aliquota sul capitale avrebbe un impatto non significativo sulla stragrande maggioranza delle Pmi. Tralasciando quelle esenti, 8’114 aziende con un capitale inferiore a 100 mila franchi finirebbero per pagare fino ad un massimo di 12 franchi e 50 centesimi in più al mese di imposta cantonale sul capitale, 6’838 aziende con un capitale compreso tra 100mila e 500mila franchi dovrebbero sborsare da 12,50 a 62,50 franchi in più al mese, 1’101 aziende con un capitale compreso tra 500mila e un milione di franchi da 62,50 franchi a 125 franchi mensili in più. In poche parole, in termini assoluti il carico fiscale aumenterebbe in maniera significativa soprattutto per le 397 grosse società – banche, assicurazioni, finanziarie, multinazionali, che realizzano utili cospicui e che quindi lo sopporterebbero senza difficoltà alcuna – con un capitale superiore ai 5 milioni di franchi. Simili precisazioni vanno fatte anche riguardo all’altra modifica prevista dall’iniziativa “I soldi ci sono”, l’aumento dell’aliquota sull’utile dal 9 al 13 per cento. La modifica toccherebbe unicamente le imprese che registrano utili. Inoltre, imporrebbe maggiormente gli utili netti delle aziende. Utili presentati «al netto di quelle spese che servono ad “assicurare” la sopravvivenza delle imprese, che dovrebbero cioè garantire la possibilità di operare investimenti produttivi (...). L’imposta sugli utili colpisce il portafoglio degli azionisti o dei proprietari e non toglie i capitali necessari agli investimenti, al funzionamento delle imprese» (Solidarietà, 24 febbraio 2005). Per quel che riguarda l’incidenza effettiva, come nel caso sull’imposta sul capitale anche l’aumento dell’aliquota sull’utile avrebbe un impatto poco significativo se non trascurabile sulle Pmi. Ammettendo che la maggior parte di esse conseguano utili compresi tra 0 e 200 mila franchi, l’aumento del carico fiscale andrebbe da un minimo di 0 franchi (utile=0) a una media di 4mila (utile=100mila franchi) fino a un massimo di 8 mila franchi all’anno (utile=200mila franchi). Sarebbero 0, 333 o 667 franchi in più al mese di imposta sull’utile. Pur sommati a quelli (irrisori, come abbiamo visto) dell’imposta sul capitale e dell’imposta comunale si tratterebbe di aumenti che non possono essere definiti “disastrosi”.

Pubblicato il 

15.04.05

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