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Ecco la legge che taglia i salari dei più poveri

Il Consiglio nazionale dice sì al primato assoluto dei contratti collettivi sui minimi legali decisi a livello cantonale. I sindacati: attacco frontale alla giustizia sociale e ai diritti popolari

Una maggioranza (di centro-destra) del Consiglio nazionale, la “Camera del popolo” del nostro Parlamento federale, ha deciso questa mattina che la propria opinione (espressa da 109 deputati) conta di più della volontà delle maggioranze di cittadine e cittadini che nei Cantoni hanno votato o voteranno per l’introduzione di un salario minimo legale. Questo significa concretamente la modifica di legge, adottata con 109 voti contro 76 e 7 astenuti, con cui si vuole attribuire primato assoluto ai salari minimi iscritti nei Contratti collettivi di lavoro (CCL) dichiarati di obbligatorietà generale, anche quando sono inferiori ai salari minimi legali. Si tratta di un attacco frontale alla dignità umana, alla giustizia sociale e ai diritti popolari” che “per migliaia di lavoratori si tradurrà in massicce perdite salariali”, commenta il sindacato Unia, sottolineando l’intenzione di battersi “con ogni mezzo” affinché questa “legge per la riduzione dei salari” non entri mai in vigore.

 

“Figlia” di una mozione del Consigliere agli Stati del Centro Erich Ettlin (che era stata approvata di misura dal Parlamento), essa mira infatti a sdoganare il mancato rispetto di leggi cantonali (e comunali) in materia di retribuzioni minime. E questo, allo stato attuale delle cose, avrebbe un impatto soprattutto nei Cantoni di Neuchâtel e Ginevra, non nel Giura, a Basilea Città e in Ticino (anche se qui la situazione potrebbe cambiare), dove le leggi già prevedono possibilità di deroga con modalità simili a quella votata oggi dal Nazionale. “A Ginevra una parrucchiera diplomata con 3 o 4 anni di esperienza professionale potrebbe perdere fino a 250 franchi al mese. E una collaboratrice formata di lavanderia addirittura più di 350 franchi”, ricorda Unia a titolo di esempio in un comunicato stampa. Ma le conseguenze sarebbero di più ampia portata ancora, perché le persone che non riescono più a vivere con il loro salario dovrebbero ricorrere alle prestazioni sociali e dunque toccherebbe alla collettività pagare: “La popolazione dovrebbe così indirettamente sovvenzionare le imprese che si sottraggono alla loro responsabilità” di versare retribuzioni eque, commenta ancora Unia, ricordando come i salari minimi cantonali in vigore siano stati fissati al livello del minimo esistenziale. “E ora la maggioranza del Parlamento vuole scardinare questa misura necessaria in favore degli interessi dei datori di lavoro. Questo non è solo devastante sul piano della politica sociale, ma è anche un attacco diretto alla volontà popolare”, scrive ancora Unia che prima dell'inizio del dibattito ha organizzato un'azione di sensibilizzazione davanti a Palazzo federale.

 

Tutte argomentazioni che durante il dibattito di questa mattina sono state avanzate dai parlamentari della sinistra, dei Verdi e (in parte) dei Verdi liberali. Con questa modifica della Legge federale concernente il conferimento del carattere obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro (LOCCL), «la maggioranza vuole forse lanciare il messaggio che la democrazia vale solo se in questo parlamento c’è una maggioranza che lo decide?», ha chiesto il co-presidente del Partito socialista Cédric Wermuth rivolgendosi ai fautori, che da parte loro hanno difeso il progetto cercando di farlo passare come un modo per “rafforzare il partenariato sociale” (e dunque la contrattazione collettiva). «Questo è un attacco ai deboli, un attacco contro uno strumento di lotta alla povertà», ha ribattuto la socialista zurighese Céline Widmer ricordando come nella sua città, capitale economica della Svizzera, vivano almeno 17.000 persone che approfitterebbero del salario minimo deciso dal popolo nel 2023 (ma non ancora in vigore a causa di ricorsi delle organizzazioni economiche).

 

In favore della supremazia dei contratti collettivi è intervenuto anche il ticinese Paolo Pamini, che pur considerandoli «problematici» sarebbero «il male minore» rispetto ai salari minimi, «che attirano ancora più frontalieri a lavorare nel nostro paese», ha sostenuto l’esponente dell’UDC.

 

Ad essere «problematica da più punti di vista» è invece la revisione della LOCCL, gli ha replicato il consigliere federale e suo compagno di partito Guy Parmelin: essa va contro la gerarchia delle norme («un CCL è un accordo tra attori privati e non è possibile che si discosti dalle disposizioni imperative cantonali»), contro la ripartizione delle competenze tra Confederazione e Cantoni e contro il parere di questi ultimi (tutti contrari, salvo Obvaldo, di cui è originario l’autore della mozione Ettlin).

 

I deputati hanno però seguito gli “ordini di scuderia” dei loro gruppi di appartenenza e alla fine si è imposta una maggioranza che “per la prima volta nella storia parlamentare ha deciso di ridurre i salari attraverso una legge federale”, commenta l’Unione sindacale svizzera, parlando di un “pericoloso precedente” e confidando che il Consiglio degli Stati (che se ne occuperà nella sessione autunnale delle Camere) corregga il tiro.

FOTO: AdobeStock

Pubblicato il

17.06.2025 18:08
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