Ecco l'inventario

Tre edifici sorgeranno al posto della palazzina di alloggi popolari di via Vignola nel quartiere di Molino nuovo a Lugano. Anzi, due edifici sono previsti sul sedime dell'attuale caseggiato destinato all'abbattimento, un altro nel cortile di prato inserito tra altre due case popolari attualmente esistenti. Di quest'ultima costruzione si sa che saranno in vendita appartamenti da 3 1/2 e 4 locali a prezzi che mediamente sorpassano i 450mila franchi. Per le altre due palazzine previste sulle ceneri della palazzina popolare, nulla è ancora certo poiché non è stata approvata la licenza di costruzione. Quel che è certo è che il Municipio di Lugano ha autorizzato la demolizione della palazzina esistente in data 16 gennaio. Sullo sfondo, un inventario dei beni da proteggere che da anni aspettava nei cassetti del Municipio. Aspettava, perché entro la fine della legislatura, stando a quanto dichiarato ad area dalla municipale Giovanna Masoni-Brenni, l'inventario sarà inviato all'autorità cantonale per un preavviso. Restano aperti i problemi di una reale pianificazione dei quartieri e una politica degli alloggi popolari.


A lanciare il dibattito sono stati gli architetti Gianfranco Rossi e Tita Carloni sul quotidiano La Regione. Spinti da "motivi di politica culturale" i due autorevoli architetti invitano le autorità luganesi "a far qualcosa per salvare ciò che resta del patrimonio architettonico luganese". Lo spunto dato è l'ennesimo abbattimento previsto di una struttura storica a Lugano, costruita nell'immediato dopo guerra "su progetto di Rino Tami, per iniziativa del Vescovo Angelo Jelmini che, da buon cristiano sociale, aveva avviato un modesto programma di alloggi popolari sui terreni della Curia nel quartiere di Molino nuovo". La palazzina destinata alla demolizione è ancora oggi occupata da persone, perlopiù famiglie, con introiti modesti. Al suo posto sorgeranno, due palazzi. Un terzo edificio è previsto nel bel cortile di prato che circonda i tre caseggiati popolari attuali. Le autorità cittadine giustificano l'autorizzazione alla demolizione dello stabile Tami in ragione di una licenza edilizia concessa nel 2004, antecedente all'allestimento dell'inventario dei beni patrimoniali. Da nostre verifiche risulta che la sola licenza edilizia concessa riguarda lo stabile "Residenza primula", quello previsto sul prato antistante lo stabile Tami. Dei due palazzi previsti sulle ceneri della palazzina Tami, esiste un progetto di massima ma nessuna licenza edilizia è stata concessa del Municipio. Interpellata da area, la responsabile del dicastero del territorio Giovanna Masoni-Brenni spiega: «Nel vagliare i comparti e edifici da proporre nell'inventario, l'architetto Buletti (che tra l'altro è autorevole membro della commissione cantonale) e il pianificatore inegner Früh, da noi incaricati di allestire la variante di Pr sulla base del lavoro fatto, hanno considerato che il valore delle case ex-Pro Familia in via Vignola e Beltramina (Camenisch-Carloni) e di quelle adiacenti (comprese le case "San Pietro") stia molto nei rapporti urbanistici, in particolare l'allineamento lungo le strade e specialmente l'impianto a corte. In base alle norme in vigore (Lugano ha un Pr vigente che non prevede vincoli) nel 2004 abbiamo dovuto rilasciare la licenza per la Residenza primula, all'interno della corte (che nel 2004 era un tutt'uno con il resto della proprietà, solo successivamente venne frazionata), costruzione che è conforme alle norme vigenti. Quella licenza, cresciuta in giudicato, e la domanda relativa alla costruzione di due edifici al posto della Palazzina Tami, pregiudicavano (specialmente la residenza Primula) e rendevano onerosa (ulteriore domanda sullo stabile Tami pendente), la tutela dei singoli oggetti. A ciò si aggiunge lo stato della palazzina, che richiederebbe interventi di ammodernamento che inevitabilmente ne stravolgerebbero l'architettura. Il Municipio ha quindi confermato il non inserimento e di conseguenza rilasciato il permesso, non senza aver rinviato la decisione fino ad esame dell'inventario. L'isolato è stato comunque inserito in un piano di valorizzazione, con l'edificio Campi della Cassa Pensione. Di più non potevamo ragionevolmente e correttamente fare, al di là di quello che il cuore poteva auspicare».
L'appello dei due architetti ha comunque avuto il merito di sollevare un dibattito sulla politica di pianificazione del territorio nel Luganese. L'architetto Paolo Fumagalli, presidente della Commissione cantonale del paesaggio, è intervenuto sull'argomento su La Regione. Fumagalli dice: "se il quartiere dovesse essere preservato, sarebbe sufficiente che gli indici edificatori previsti dal Piano regolatore fossero identici a quelli esistenti. I proprietari non avrebbero più dunque interesse economico nel demolire un edificio per costruirne uno nuovo identico". Naturalmente, aggiungiamo noi, occorre la volontà politica per attuare una pianificazione del territorio. Una volontà che a Lugano pare fare difetto, o almeno pareva far difetto. L'inventario dei beni da proteggere giaceva da tempo nel cassetto a causa di opinioni e interessi divergenti all'interno del Municipio luganese. Ora invece la situazione sembra essersi sbloccata, da quanto confida la municipale Masoni-Brenni: "Entro fine legislatura invieremo l'inventario all'autorità cantonale per un preavviso". Una buona notizia per chi ha a cura la salvaguardia del patrimonio architettonico luganese che potrà finalmente essere tutelato dall'inventario.
Un altro cantiere rimane però aperto: la pianificazione dei quartieri. In questo senso non aiuta la suddivisione dei compiti all'interno del Municipio. Masoni-Brenni è la titolare del dicastero del Territorio, il municipale Paolo Beltraminelli è responsabile della pianificazione del Territorio. Una scorporazione che complica una visione d'insieme efficace.

"Siamo in attesa di notizie"
La famiglia Tagliabue, da 60 anni abita nello stabile Tami, aspetta fiduciosa

Entrato all'età di 9 anni, il signor Umberto Tagliabue non ha mai lasciato lo stabile di via Vignola nel quartiere di Molino nuovo di Lugano. Oggi, mentre si avvicina ai 70 anni, ricorda così quel primo giorno: «Quando siamo entrati, mancava ancora la porta. I muratori ce ne costruirono una provvisoria con delle assi. Noi non potevamo aspettare, avevamo l'urgenza di entrare perché in quel periodo non avevamo una casa». La famiglia Tagliabue, composta da cinque membri, è dunque stata la prima ad essere alloggiata nelle case popolari fortemente volute dall'allora Vescovo Jelmini nel 1947. La preoccupazione del vescovo era di dare una risposta all'emergenza sociale di alloggio nella Lugano del primo dopoguerra per le classi meno abbienti. Per questo motivo, tramite la fondazione Pro Familia, Jelmini incaricò degli architetti di progettare tre palazzine da adibire ad alloggi popolari. Il risultato furono degli alloggi dignitosi per le famiglie di operai, inseriti in palazzine che circondavano un prato rettangolare. La famiglia Tagliabue entrò nella palazzina di quattro piani progettata dall'architetto Rino Tami. Quelle mura hanno visto passare ben quattro generazioni della famiglia Tagliabue: «All'inizio c'erano i miei genitori e noi figli. Poi ci siamo sposati noi due e abbiamo avuto a nostra volta dei figli e ora, ogni tanto, vengono a dormire i nostri nipoti». Dopo averci gentilmente fatto entrare nella loro casa, ci tengono a mostrarci l'appartamento composto da una sala da pranzo, una stanza da letto per loro e una per i nipoti, più un'altra stanza per la guardare la tv o leggere un libro. «Vede, è proprio ben fatta. Queste case sono state costruite con cura, sono funzionali e destinate a durare nel tempo» dice Umberto mentre mostra la porta originale di sessant'anni fa che non cigola neppure. «Neanche una crepa in nessun muro, mai un problema di allagamento in soffitta. E sì, perché sa, qua abbiamo sia la cantina che la soffitta" afferma il signor Tagliabue, che prosegue: «Il prato qui sotto è il vero cuore delle case. Prima di tutto, i bambini vi possono giocare senza che i genitori debbano preoccuparsi, ma al tempo stesso è luogo d'incontro per gli adulti. Quando eravamo più giovani, noi inquilini eravamo come una grande famiglia. Ci si aiutava l'un l'altro quando c'era bisogno». «Una volta – aggiunge la moglie – abbiamo portato la stoffa e tutti insieme abbiamo cucito le tende di casa». Ma non è la sola nostalgia che li spinge ad amare questo posto. «Anche oggi siamo molto felici di vivere qui», rispondono in una voce sola. Certo, molto è cambiato nel corso degli anni. Oggi ad abitare questi alloggi popolari sono in prevalenza i nuovi poveri, ossia gli ultimi arrivati; gli stranieri. «Per via della lingua tendono a far gruppo tra loro. Ma non abbiamo mai avuto problemi, ci si saluta ma si chiacchiera meno», aggiunge la signora. Ma non solo tra inquilini c'è meno comunicazione. Quando il proprietario era la Curia, c'era un rapporto diretto tra inquilini e amministrazione condominiale. «Tre-quattro volte l'anno passava il signor Bertini, ex capomastro, al quale sottoponevano gli eventuali problemi. Si discuteva e a volte il signor Bertini diceva sì, mentre altre volte diceva di no. Ma perlomeno ci si poteva parlare, spiegare…». Ora invece come sono i rapporti con i proprietari? «A dir la verità, non sappiamo neanche chi sono» dice il marito. Avete saputo però che lo stabile sarà abbattuto? «Lo abbiamo letto sui giornali. Non ci è arrivata nessuna comunicazione», risponde la signora Tagliabue. Siete preoccupati? «Abbiamo visto persone che posavano delle modine. Passato qualche mese però le toglievano. All'inizio girava la voce che volevano alzare di un piano la palazzina di fronte, poi però non se ne fatto più nulla. Due anni fa è comparso quel cartello che illustra una palazzina su cui c'è scritto "inizio lavori 2007 terminati a fine 2008". Ma fino ad oggi…" Sperate che tutto si risolva in un nulla, allora? «Cosa possiamo fare? Sono andato a vedere delle case, ma dei sei palazzi che hanno costruito appena oltre il ponte, solo in uno affittavano appartamenti. Gli altri cinque erano solo "vendesi". Noi siamo pensionati. Non possiamo permetterci di comperare un appartamento…». Se dovessero darvi la disdetta, cosa farete? «Devono darci il tempo per cercare qualcosa. Con l'Avs non è facile trovare un alloggio. A noi piacerebbe restare qui. Abbiamo tutto vicino, la Migros e la Coop, la farmacia" spiega la signora: «siamo anche vicini al cimitero e a casa Serena (la casa anziani del comune di Lugano, ndr). Abbiamo proprio tutto a portata…», aggiunge ridendo.
«Altrimenti – interviene il marito – non ci resta che sperare negli alloggi della Cassa pensioni di Lugano. Di sicuro ci spiacerebbe molto abbandonare questo appartamento. Dopo sessant'anni, uno ci si affeziona e lo sente "suo"».

Pubblicato il

15.02.2008 02:00
Francesco Bonsaver