di Maria Pirisi Lo stato di salute del Centro scolastico per le industrie artistiche di Lugano, ex stabile Vignola, continua a destare preoccupazione. Fra le magagne legate all’immobile, che un tempo si era guadagnato il triste titolo di “cadavere edilizio”, la constatazione (in ordine di tempo) che i suoi spazi sono ancora insufficienti ad accogliere il numero di allievi che scelgono la scuola. Da qui la situazione kafkiana di quest’ultimo anno scolastico: 21 allievi promossi che non potranno continuare gli studi per carenza d’infrastrutture. Nata male, questa sede della Csia, non sembra crescere meglio, pressata com’è dalle lamentele di docenti e allievi che non si sono attenuate nel tempo. Oggetto di critica, la ristrutturazione, che non avrebbe risolto i pressanti e congeniti problemi dello stabile. In più di un’occasione lo scorso anno i quotidiani, in particolare la Regione avevano descritto con dovizia di particolari le pecche di una ristrutturazione e "gli effetti pratici di una scelta architettonica molto discutibile sotto molti punti di vista."(La Regione, 09.02.02). Ma veniamo per gradi. Il centro ex Vignola della Csia è stato venduto nel 1997 dalla Società di Banca svizzera (oggi Ubs) al Cantone per una cifra di 18,5 milioni di franchi. L’acquisto dell’immobile – definito «brutto stabile commerciale, frutto di speculazioni edilizie»* - aveva suscitato non poche critiche e perplessità in Gran Consiglio agli occhi del quale la soluzione appariva alquanto miope. Resta un mistero da chi e perché venne caldeggiato il suo acquisto. L’anno successivo, nel ’98, vengono stanziati altri 9 milioni e 633 mila franchi per la ristrutturazione affidata al progettista e architetto Gianfranco Agazzi. Numerosi i punti del "cahier de doléances" per i lavori eseguiti. L’esempio più macroscopico riguarda l’involucro di vetro (schermatura) costruito intorno al pianterreno e al primo piano per migliorare l’illuminazione e le condizioni termiche degli spazi interni. Col sopraggiungere della stagione calda la cintura vitrea, in una sorta di effetto-serra, aumenta la temperatura di alcune aule fino a 35 gradi con conseguente e profondo disagio per alunni e docenti. Per far circolare l’aria vengono tolti, qua e là, dei pannelli di vetro, fatto che spiega l’attuale stile emmenthal delle pareti. Vengono però lasciati i vetri originari dorati dal secondo piano in su con conseguente sfasamento della percezione cromatica proprio in quelle aule dove viene insegnata tecnica del colore. «La sensazione – ci dice un docente – è che non si sia tenuto conto, nella progettazione delle reali esigenze della scuola e che nel porre rimedio ai difetti congeniti, siano stati fatti degli interventi che non hanno risolto niente». Per Flavio Pozzi, Capo area di costruzione della Sezione logistica (Dipartimento finanze ed economia), ossia il committente, «Chi critica aspramente i lavori eseguiti si dimentica che l’edificio in origine era poco più di un capannone commerciale e il tentare di trasformarlo in una scuola d’arte richiedeva uno sforzo grandissimo. L’architetto Agazzi ha studiato nei minimi particolari i problemi e ha definito il suo programma di interventi con la vecchia direzione. Nel frattempo la direzione è cambiata insieme alle esigenze e agli indirizzi della scuola. Si trattava ora di sposare il vecchio preventivo (legato alla passata concezione della vecchia scuola) con il sorgere delle nuove esigenze. Gli alunni erano aumentati e con loro si erano moltiplicati i corsi, così abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni elementi del progetto originario per risolvere i problemi più contingenti. Insomma, posso dire che si è partiti col piede sbagliato». Ma perché operare un intervento sapendo di non poterlo realizzare al meglio? Che senso ha? Queste le domande di fondo che alcuni docenti e alunni si pongono. «Non ci si può venire a spiegare – ci dice un insegnante – che le cose non hanno funzionato perché sono state fatte non rispettando il progetto originale. Se così fosse, l’architetto avrebbe avuto tutto il diritto (e dovere) di rifiutarsi di realizzare i suoi progetti in modo aprossimativo». Interpellato, l’architetto Gianfranco Agazzi risponde: «Abbiamo dovuto adattare il nostro progetto originario alle richieste che man mano venivano avanzate dalla nuova direzione. Basti pensare che metà del seminterrato che doveva essere adibito a posteggio coperto, è stato convertito in aule, il che ha portato ad una ripartizione delle risorse diversa da quella preventivata. Quando subentrano spese non previste, bisogna risparmiare da un’altra parte ed è quello che è successo. Su cosa risparmiare la decisione è stata presa con l’avallo del committente (Stato) e della scuola. I vetri ambrati, che mi vengono rimproverati, sono stati lasciati non perché io abbia trascurato il problema (e ciò è testimoniato dal mio primo progetto) ma perché al momento vi erano priorità più importanti». E la schermatura esterna in vetro? Anche qui l’architetto Agazzi spiega che la struttura era stata progettata in collaborazione con un team di specialisti.«L’architetto Andrea Compagno – precisa Agazzi – con cui ho collaborato, lavora a fianco di celebri architetti di fama mondiale, fra cui Renzo Piano ed è uno specialista in facciate in vetro. La facciata è stata studiata nel dettaglio solo che nel progetto originario aveva un elemento determinante che oggi non c’è ancora: tapparelle regolabili che dovevano essere abbassate nei giorni di forte insolazione. Ebbene, col nuovo credito potremmo finalmente ultimare l’opera». Commenta un docente: «Strano modo di operare. Come se un architetto progettasse una piscina per tuffi e, di fronte alla richiesta del committente di fare, con lo stesso budget, anche un altro intervento, decidesse di costruire sì la piscina, profonda però 30 centimetri!» C’è inoltre un’altra questione che necessita di un chiarimento. L’architetto ha oppure no ricevuto l’incarico mediante concorso? E qui si fa avanti il portavoce del committente-Stato: «Prima del 2001 – ci risponde Flavio Pozzi – lo Stato poteva commissionare dei lavori anche senza concorso e l’architetto Agazzi ricevette l’incarico prima di quella scadenza. Il nuovo progetto? Non richiedeva concorso in quanto non è altro che un’ultimazione dei lavori cominciati la cui direzione oggi è stata affidata a Roberto Schwäbli». Ma per i docenti e gli alunni che finora hanno protestato i dubbi restano. Chissà se queste continue operazioni potranno ridare vita a quel “cadavere edilizio” che lo Stato acquistò vendendo l’illusione che un giorno sarebbe risorto a nuova struttura. * dal rapporto della Commissione della gestione e delle finanze (relatore Paolo Beltraminelli, Ppd) del Gran Consiglio sul messaggio governativo nel quale (luglio 2002) si chiedeva di stanziare un credito di 2 milioni e 980mila franchi per lavori supplementari e migliorie dello stabile.

Pubblicato il 

11.07.03

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