E si ritorna

Si ritorna a parlare di disoccupazione. Anche in Svizzera. Il numero delle persone senza lavoro ha ricominciato a crescere da diversi mesi, ha recentemente superato le 100 mila unità e crescerà ancora nei prossimi mesi. “Porca miseria”, avranno pensato nella stanza dei bottoni, “ce l’avevamo quasi fatta…” Dal 1997 al 2001 il tasso di disoccupazione è sceso regolarmente: un po’ perché c’è stata la ripresina, un po’ perché avendo cambiato nel frattempo le disposizioni della legge sull’assicurazione disoccupazione molte persone sono uscite dalle statistiche. Pensa che sfiga: non fa neanche in tempo ad entrare in vigore la nuova restrizione… revisione (scusate) della legge che i disoccupati balzano a 130 mila unità. E si ritorna a parlare di disoccupazione. Anche in Svizzera. Il guaio è che quando si parla di disoccupazione c’è sempre la tendenza ad appiattire il discorso su una questione di statistiche e di analisi economiche. Ci si dimentica che la disoccupazione è anche una questione di cultura o, se preferite, di mentalità. È innanzi tutto culturale il problema che vivono i disoccupati, confrontati con i loro stessi pregiudizi e con quelli delle persone che li circondano. Ritrovarsi senza lavoro vuol dire perdere un pezzo di identità. E non è solo una questione di fonetica se dico che identità rima con dignità. Personalmente mi sono sempre chiesto perché dal 1. gennaio 2001 un impiegato dell’ufficio di collocamento di Bellinzona ha cominciato a darmi del tu, mentre fino al 31 dicembre 2000 mi dava del lei… In compenso credo di sapere perché quando lo incontro adesso, lui volge lo sguardo da un’altra parte… Durante il mio percorso personale e professionale ho incontrato centinaia di disoccupati. Tutti avevano un problema: capire il perché della loro situazione. Non si trattava di capire perché erano diventati disoccupati, ma perché lo restavano. Ed in questo difficile lavoro di costruzione di senso si sentivano soli. Non li aiutavano certo gli articoli di giornale, né i colloqui all’ufficio di collocamento, che li rinviavano a loro stessi. Ho incontrato anche un’infinità di persone per le quali il disoccupato è uno che “se la cerca”. Ho visto incredulità, sui loro volti, quando gli dicevo che ero stato licenziato. Molti, conoscendomi, pensavano li prendessi per i fondelli. Non gli ho chiesto se e come hanno votato per la recente revisione della Ladi. Perdere il lavoro vuol dire perdere il proprio posto nella società: per farne parte, bisogna dimostrare la propria utilità e produttività. Non è un problema economico, è una questione culturale. E si ritorna a parlare di disoccupazione. Anche in Svizzera. E si continuano a dire sempre le solite cose. Come ho fatto, e continuerò a fare anche io. Finché ce ne sarà bisogno…

Pubblicato il

17.01.2003 13:00
Mauro Marconi