Uno dei migliori contribuenti di Lugano potrebbe presto lasciare la città? È questo il timore che aleggia tra alcuni operatori della piazza nel momento in cui la Duferco SA e le altre società luganesi dello stesso gruppo stanno per finire sotto il controllo totale della Repubblica popolare cinese. Per ora si tratta solo di supposizioni, ma alcuni indizi convergono su un addio che non sarebbe scevro di conseguenze. Analisi. L’arrivo dei cinesi Quella della luganese Duferco – divenuta uno dei principali commercianti d’acciaio al mondo - è una storia complessa e ramificata, nella quale gli affari si mischiano spesso alla geopolitica. Al centro di tutto vi è sempre lui, lo storico fondatore: Bruno Bolfo, oggi ottantaquattrenne. Dopo aver conquistato il selvaggio est post sovietico e stretto alleanze con vari oligarchi russi e ucraini, nel 2014 il magnate d’origine ligure ha deciso di vendere la maggioranza del proprio ramo di trading – la Duferco International Trading Holding (DITH), basata in Lussemburgo – ai cinesi di Hesteel Group. Si tratta del secondo produttore di acciaio al mondo, di proprietà dello Stato cinese che, con questa operazione, ha potuto appoggiarsi sulla profonda rete di vendita sviluppata negli anni dal gruppo di Bruno Bolfo. A Lugano, oggi, la DITH controlla diverse società. Su tutte la Duferco SA, storica azienda fondata nel 1982. L’uscita di scena di Bruno Bolfo La DITH non va confusa con la Duferco Participations Holding (DPH), la holding lussemburghese rimasta nelle mani di Bolfo. La DPH controlla altre società della piazza di Lugano, in particolare la DXT Commodities attiva soprattutto nel commercio di energia e che è la nuova macchina da soldi – 38 milioni di franchi di dividendi versati nel solo 2023 – dell’impero Bolfo. Impero che, proprio quest’anno, è stato ceduto alla famiglia di Antonio Gozzi, suo nipote. Negli anni la DPH ha mantenuto una quota nella DITH a controllo cinese. Questa quota è scesa progressivamente, passando dal 38,5% nel 2015 all’attuale 5,3%. A settembre 2023 (ultimo rapporto annuale), la Hebsteel controllava l’82,7%, mentre un 11% era nelle mani di una società inglese controllata dal CEO Matthew De Morgan. L’accordo con cinesi «prevedeva un’acquisizione progressiva sull’arco di un decennio e la scadenza è proprio quest’anno» ha dichiarato Bruno Bolfo a La Domenica del Corriere del Ticino (una nostra richiesta d’intervista nelle scorse settimane non ha avuto risposta). Il passaggio dovrebbe insomma avvenire entro l’anno. Ciò significa che i dipendenti della DITH in Ticino, circa 250, passeranno presto sotto il controllo totale della Repubblica popolare cinese. Con quali conseguenze? Rischio delocalizzazione ed effetto Trump Ci si potrebbe chiedere che senso abbia per una società cinese, che commercia in gran parte acciaio cinese, avere una propria antenna commerciale nella lontana e periferica Lugano. Soprattutto adesso che non ci sarà più nessun legame diretto con Bruno Bolfo, ancorato in Ticino con la sua rete di società. La DITH potrebbe quindi trasferire, magari gradualmente, le proprie attività commerciali a Dubai, dove già possiede una filiale. I vantaggi sarebbero diversi: costo del personale inferiore, migliori condizioni fiscali, maggiore discrezione e soprattutto il fatto che, come dimostrato a seguito della guerra in Ucraina, gli Emirati Arabi Uniti sono diventati una sorta di place to be per chi vuole operare nel trading di materie prime in un contesto internazionale caratterizzato da sanzioni a geometria variabile. Un’altra soluzione, ancora più vicina alla proprietà cinese, è quella di Singapore (sede della società che controlla DITH, la Hebsteel Global Holding PTE LTD) o Hong Kong. Per ora si tratta solo di supposizioni, date però per plausibili da alcuni operatori attivi in questo settore che preferiscono non esprimersi direttamente. Tutto questo, inoltre, va inserito nel contesto di un’elezione presidenziale negli Stati Uniti in cui non è escluso che vinca Donald Trump. Quest’ultimo durante il suo primo mandato si era già distinto per delle sanzioni commerciali sull’acciaio cinese. Che faranno le banche svizzere se l’acciaio cinese finirà sotto sanzioni? Continueranno a stanziare linee di credito ai trader di proprietà dello Stato cinese? L’incognita Trump potrebbe insomma pesare su quanto si sta decidendo in queste settimane in merito al futuro di DITH, in particolare della propria sede operativa di Lugano. Una riunione in questo senso si è tenuta il 16 e il 17 ottobre scorso, tra i cinesi e i vertici della società. Ottimi contribuenti Le autorità cantonali e cittadine – che tanto hanno corteggiato la Cina in questi anni con buona pace dei diritti umani – farebbero bene a monitorare la situazione. Duferco è la società attorno a cui sostanzialmente è nata e si è sviluppata la piazza di Lugano del commercio di materie prime. Una sua partenza, anche solo parziale, da un punto di vista simbolico sarebbe sicuramente uno smacco per il settore. La Duferco sotto mano cinese impiega oggi circa 250 persone. C’è chi magari è pronto a partire, ma altri andrebbero ricollocati su una piazza che resta comunque in fermento, come dimostra la creazione quest’anno della Sirius Energy: si tratta di un’impresa attiva nel trading di energia – capitale messo sul tavolo: 25 milioni di franchi! – formata da ex manager di DXT Commodities probabilmente scontenti del passaggio della società sotto l’aurea della famiglia Gozzi. Oltre ad essere un importante datore di lavoro, la DITH è senza dubbio un ottimo contribuente fiscale. Nell’anno dorato 2022 le società del gruppo basate in Ticino hanno accumulato utili complessivi per oltre 115 milioni di franchi. Secondo nostre stime, sempre per il 2022, queste società avrebbero dovuto versare nelle casse del Cantone 6,8 milioni di franchi e in quelle della città circa 5,2 milioni (più altri 9,4 milioni alla Confederazione). Nel contesto in cui le entrate date dalle persone giuridiche sono in calo per gli effetti negativi della riforma fiscale votata nel 2018, una perdita di questo tipo non sarebbe certo senza conseguenze. |