Al Dipartimento finanze ed economia (Dfe) di Laura Sadis, ed in particolare alla Divisione dell'economia diretta da Arnoldo Coduri, passano il tempo a pensare a come si possa forzare la mano sugli orari di apertura dei negozi. Ne è riprova il progetto di nuova Legge sull'apertura dei negozi, mandato la scorsa settimana in consultazione.

Esso è stato presentato quando ancora non si erano spente le luci (e le ombre) su Emozioni Ticino, la pretestuosa manifestazione voluta dalla grande distribuzione con l'attiva complicità di Ticino Turismo e del Dfe per imporre due domeniche di aperture supplementari dei negozi. Proprio nel contesto di Emozioni Ticino il Dfe ha giocato un ruolo molto ambiguo, forzando l'apertura dei negozi del 3 ottobre scorso quando in realtà contro di essa era pendente un ricorso con effetto sospensivo (cfr. area n. 16 del 22 ottobre, pagina 9).
Lo stesso zelo nell'andare incontro alle perentorie richieste della grande distribuzione lo si riscontra nella nuova Legge sull'apertura dei negozi. Di positivo va riconosciuta la volontà del Dfe di prendere finalmente il toro per le corna e di rimettere ordine in un settore la cui regolamentazione attuale non soddisfa nessuno. È dal 2003 almeno che si aspettava che il cantone tirasse fuori da qualche recondito cassetto un suo progetto di legge. Nel frattempo però non è che il Dfe sia rimasto a guardare, anzi: nel corso degli anni ha sempre più forzato la mano, creando con il regime delle deroghe sulla base del Regolamento della Legge cantonale sul lavoro una situazione di fatto assai più deregolamentata di quanto non fosse la volontà del legislatore e, quindi, del popolo.
Agendo dunque sulla base di un regolamento governativo, come tale non sottoposto a referendum popolare, si è creata una situazione che ora la nuova Legge interverrebbe a "riordinare", quasi che il disordine precedente non fosse frutto di un preciso calcolo politico. In realtà la Legge sull'apertura dei negozi ora messa in consultazione non farà che codificare le forzature citate, sperando che nel frattempo il popolo con anni di pratica le abbia assimilate e digerite.
Se ne è avuta una nuova dimostrazione durante la confernza stampa di presentazione del progetto di messaggio sulla nuova Legge sugli orari di apertura dei negozi. In quell'occasione Coduri ha rilevato che già oggi l'81 per cento dei lavoratori occupati nel settore lavora in negozi al beneficio delle deroghe per il periodo estivo, e che il 41 per cento del personale della vendita è occupato in negozi situati in comuni di confine, al beneficio quindi di ulteriori deroghe. Sia i primi che i secondi con il regime normativo attuale stabilito dal Regolamento della Legge cantonale sul lavoro, e dunque dal Dfe per mezzo delle deroghe governative, possono essere tenuti a lavorare tutti i giorni fino alle 19, il giovedì fino alle 21 e il sabato fino alle18.30, rispettivamente fino alle 19. Logica la conclusione: la nuova Legge, quando stabilisce che i negozi chiudono tutti i giorni (tranne il giovedì) alle 19, non farebbe che codificare una situazione ampiamente diffusa e, anzi, quando fissa alle 18 l'orario di chiusura al sabato farebbe un grosso passo avanti nella tutela degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Del resto anche il messaggio così come proposto dal Dfe parla una lingua chiara ad esempio quando, a proposito degli shop annessi alle stazioni di benzina, rileva che «si intende comunque salvaguardare nella misura più ampia possibile la situazione esistente», ammettendo l'apertura domenicale di un buon numero di negozi annessi alle stazioni di servizio «in base ad un'interpretazione certo ampia, ma ancora compatibile con il diritto federale». Ancora una volta quindi una prassi generosa che diventa legge. Anche a rischio di violare il diritto federale.
Insomma, prima il Dfe e il governo liberalizzano il settore a suon di regolamenti e deroghe, poi ingenuamente si accorgono cos'hanno combinato e, per riportare un po' d'ordine, si adeguano alla situazione che loro stessi hanno creato, cortocircuitando la volontà popolare. La direttrice del Dfe Laura Sadis presentando il progetto di Legge ha detto che quella degli orari di apertura dei negozi è «una storia infinita». È vero, ed è una storia che non pare destinata a concludersi tanto presto.


Enrico Borelli (Unia): «Se finisce così sarà referendum»

«Se la Legge sull'apertura dei negozi uscirà dal parlamento così come ci è stata presentata o addirittura peggiorata, è certo che lanceremo il referendum». Enrico Borelli, segretario responsabile del settore della vendita per il sindacato Unia, pur non volendo anticipare un giudizio che presuppone un esame attento della proposta di legge ancora tutto da compiere, non lascia spazio ad equivoci. Così come presentata per Unia la Legge sull'apertura dei negozi è inaccettabile. Molti sono i punti critici. «A cominciare dalla chiusura generalizzata alle 19, quando meno di un anno fa era stato sottoposto ai partner sociali un progetto di legge che manteneva le chiusure alle 18.30», rileva Borelli. Poi c'è la chiusura al sabato tutto l'anno alle 18 e l'apertura per quattro domeniche all'anno, «soluzioni queste adottate in pochissimi altri cantoni», aggiunge Borelli. C'è la possibilità di deroghe al divieto di aperture domenicali per ragioni economiche nelle zone di frontiera e l'aumento da 120 a 200 metri quadrati della superficie massima ammessa per aprire alla domenica nelle zone turistiche. E c'è una regolamentazione molto permissiva a favore degli shop annessi alle stazioni di benzina, regolamentazione che secondo Borelli non recepisce i principi sanciti dalla giurisprudenza del Tribunale federale e dunque sarebbe chiaramente illegale. E infine c'è la costituzione di una commissione paritetica a carattare solamente consultivo: «questo dimostra che non c'è la volontà di dare pari dignità alle istanze del mondo del lavoro», conclude Borelli.

Pubblicato il 

05.11.10

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