«È il mercato che sforna precari, non è un fallimento della formazione»

Dati e analisi sui giovani diplomati che faticano a introdursi nel mondo del lavoro. Il problema della disoccupazione sottostimata

Dati e dati sulla disoccupazione, sull’occupazione, sulla sottoccupazione e sull’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani. Ebbene, l’Ufficio federale di statistica ci mostra ora un inedito 38% di apprendisti che in Ticino, con tanto di diploma, trascorre un periodo a “timbrare” prima di trovare un posto. Di più, in Svizzera il 15,7% dei giovani tra i 18 e i 24 anni è a rischio povertà. Ma qual è la realtà che si nasconde dietro a questi numeri? Ne parliamo con Furio Bednarz, capo dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione (Decs).

 

C’è da preoccuparsi, Furio Bednarz, per quel 38% (contro il 19% a livello nazionale) che dopo l’apprendistato fatica a inserirsi nel mercato del lavoro? Eravamo rimasti al fatto che il percorso duale fosse sinonimo di una certa garanzia... La formazione professionale è, dunque, in difficoltà?
Il dato non rispecchia una difficoltà della formazione professionale, bensì è il riflesso di un mercato del lavoro critico e problematico. In altre parole, non significa che il modello dell’apprendistato non funzioni più o sia fallito come dimostra, del resto, il numero nettamente inferiore di disoccupati fra chi ha concluso un percorso duale (scuola e lavoro) rispetto a chi ha seguito una formazione a tempo pieno. La realtà è piuttosto un’altra: oggi noi sforniamo persone che entrano in un mercato del lavoro altamente precario per più fattori. Il 38% cui accenna, e che si riferisce alla media delle varie professioni, è un dato che la Divisione della formazione professionale guarda con attenzione, mentre la preoccupazione cresce maggiormente laddove troviamo persone che non hanno conseguito un titolo secondario. Un fenomeno, quest’ultimo, in crescita anche da noi. Questi dati devono servire per fare delle riflessioni di sistema. Il mondo del lavoro è cambiato e servono risposte nuove per accompagnare e sostenere con risposte strutturate chi sta cercando di definire il proprio futuro professionale e personale.


Tra i giovani, dicono sempre i dati, cala la disoccupazione, ma crescono incertezza e rischio di povertà, come si spiega? E ancora: come siamo collocati nel confronto internazionale?
In parte si spiega con le difficoltà del mercato del lavoro. Invece, il contesto rimane, se paragoniamo la situazione svizzera e quella dei paesi vicini, positivo, in termini di conferma della capacità del sistema di formazione professionale duale di garantire una transizione verso il mondo del lavoro. I tassi di disoccupazione giovanile in Svizzera sono molto inferiori a quelli delle nazioni vicine. Tuttavia, stanno emergendo alcune difficoltà, messe in evidenza recentemente da tre pubblicazioni: il comunicato stampa dell’Ufficio federale di statistica sullo stato di avanzamento verso l’obiettivo di “quota 95%”, riferito all’analisi longitudinale sulla percentuale di giovani che entro i 25 anni hanno conseguito un titolo secondario superiore (siamo al 90,7%, ma in Ticino sotto l’88%). Il secondo studio “A 20 anni in assistenza” (Supsi), che ha esaminato la crescita (in pratica il raddoppio) del numero di giovani che risultano in Ticino precocemente a beneficio dell’aiuto sociale. Infine i risultati della rilevazione longitudinale 2012-2015 sugli sbocchi nel mondo del lavoro dei giovani titolari di un Attestato federale di capacità (Afc), da cui risulta che l’85% di essi ha trovato impiego in Svizzera in meno di tre mesi, ma – come si diceva prima – assai meno in Ticino, dove il 38% dei giovani è stato confrontato nei 30 mesi successivi al diploma a un periodo di iscrizione in disoccupazione e dove, a sei mesi dal titolo, ancora un 30% risultava o in disoccupazione (un terzo dei casi) o comunque inoccupato (due terzi dei casi).


Insomma, al di là delle qualifiche, il tempo di inserimento è diventato più complesso, mentre aumentano i giovani senza diploma esclusi dal mercato: uno scenario non incoraggiante...
Uno scenario da affrontare, se pensiamo, in particolare, da una componente di giovani adulti, che dovremmo considerare più forti e attrezzati nella transizione 2, mentre non sempre è così come dimostra il tempo di inserimento sempre più lento: ancora dopo 42 mesi le persone non occupate rappresentano il 17% (contro l’8 medio); il che vuol comunque dire che il 76% o lavora o studia e lavora e il 6% è ancora in formazione (un risultato di per sé molto positivo). E ancora: lo sbocco occupazionale è garantito dove c’è la possibilità di rimanere nell’azienda di tirocinio (46% nella media svizzera, ma solo poco più del 30% dei casi in Ticino, stando alla rilevazione Ari). Insomma, queste ricerche ci forniscono altri elementi di analisi importanti. Ci indicano che solo una piccola parte dei senza lavoro risulta iscritta alla disoccupazione (12% contro 31% inoccupati in Ticino), il che vuol dire che i dati ufficiali sulla disoccupazione giovanile sottostimano il fenomeno.


Al di là dei dati, persiste una sensazione di insicurezza legata al lavoro...
Emerge un senso di scoraggiamento trasversale. Lo vivono i cosiddetti Neets, giovani che non lavorano, non cercano attivamente e non studiano, visto che l’assenza di un titolo è un predittore di esclusione sociale e professionale molto incisivo. Un sentimento analogo è però vissuto anche dai giovani adulti diplomati, profondamente scoraggiati dalle difficoltà, come dimostra il fatto che avanzando il tempo di ricerca (dai primi sei mesi a oltre 42 mesi) non diminuisce tanto il numero di cercatori d’impiego non iscritti in disoccupazione, ma soprattutto quello degli iscritti, i quali hanno il beneficio di poter contare quanto meno su misure di sostegno attive e passive.


Che cosa si dovrebbe fare?
A livello cantonale si sta lavorando molto per sostenere la transizione 1 e per favorire un orientamento delle scelte dei giovani verso sbocchi interessanti. Si sta facendo meno per supportare la transizione 2 ritenuta già sostanzialmente positiva. Si dovrebbe dunque aumentare lo sforzo in questo campo. Fra gli interventi, si può immaginare un’offensiva per la qualificazione di “Second Chance” rivolta ai giovani adulti senza titoli, sperimentando modelli flessibili di pre-apprendistato (recupero delle motivazioni e delle competenze di base). Azioni per rafforzare interventi a favore delle componenti a maggior rischio di esclusione in modo da evitare il ricorso precoce all’aiuto sociale.


Si potrebbe pensare di intervenire con misure sociali diverse?
Certo, una pista interessante viene dall’esperienza maturata nel canton Vaud, dove si è provveduto a riconvertire l’aiuto sociale a favore degli “under 25” in borse di studio.


E, come invece, si potrebbe agire con interventi sull’economia per contrastare la precarizzazione dei lavoratori?
Il nostro ambito è la formazione ed è lì che dobbiamo intervenire, però si può immaginare il lancio di una campagna massiccia di sensibilizzazione delle imprese e studiare misure eventuali di supporto a favore delle aziende che inseriscono giovani qualificati o si impegnino in azioni di Second Chance. Appare evidente che in Ticino molte ditte locali trovano più conveniente soddisfare con il reclutamento oltre frontiera le proprie esigenze di manodopera qualificata scarsamente disponibile in loco. Risulta in alcuni casi più facile assumere frontalieri qualificati e competenti che investire nei giovani locali, soprattutto se difficili e non troppo performanti. Ma qualcosa pare stia già cambiando, con l’introduzione del vincolo di segnalazione dei posti disponibili da parte delle imprese, previsto dalla soluzione light alla priorità per la manodopera residente voluta con il referendum del 2014.

Pubblicato il

16.05.2018 21:54
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