Per anni avevano girato il mondo con la missione di garantire sicurezza, confort e puntualità. In un'epoca contrassegnata dalla crescita e dall'ottimismo, con il loro lavoro avevano reso grande Swissair, la compagnia aerea svizzera di bandiera considerata la migliore del mondo, simbolo dell'eccellenza, di un paese prospero, fiero e indipendente. Ma esattamente dieci anni fa la favola s'interruppe bruscamente con il fallimento della società. E furono loro, gli incolpevoli dipendenti, a pagare il prezzo più alto. Con migliaia di licenziamenti.

Attraverso la voce di un loro rappresentante area ricostruire i fatti che hanno preceduto e seguito uno dei giorni più drammatici della storia economica del nostro paese. Era il 2 ottobre del 2001 quando tutti i velivoli con la bandiera rossocrociata stampata sull'impennaggio di coda rimasero bloccati a terra negli aeroporti di tutta Europa perché Swissair, ormai fallita, non era più in grado di pagare il carburante. «Un evento inimmaginabile», ricorda oggi Urs Eicher, 59 anni, già presidente del sindacato del personale di cabina Kapers e per trentacinque anni, dal 1974 al 2010, al servizio  della compagnia di bandiera come assistente di volo e capo cabina. «Ho vissuto gli anni migliori, ma anche quelli peggiori», sintetizza  Eicher (oggi pensionato), che abbiamo incontrato nei giorni scorsi. Per comodità di entrambi ci siamo dati appuntamento alla stazione di Lucerna. Una circostanza che ci consente subito di scoprire una piccola stranezza per una persona con alle spalle 18 mila ore di volo: oggi usa pochissimo l'aereo e si muove prevalentemente in treno. Ma questa è solo una curiosità.
L'intervista lo riporta subito col pensiero alla realtà dell'aeroporto.
«Il giorno del grounding -inizia a raccontare- mi trovavo negli uffici del sindacato poiché la sera prima in una conferenza stampa a Zurigo Mario Corti (presidente del Consiglio di amministrazione e capo operativo, ndr) aveva annunciato la fine di Swissair e la ripresa di due terzi delle sue attività di volo da parte di Crossair e dunque la nascita di una nuova compagnia ridimensionata. Eravamo in attesa di dettagli. Ci aspettavamo decisioni gravose per il personale, ma l'ipotesi del grounding non sfiorava nemmeno i nostri pensieri. Almeno fino a quando, verso le 9 del mattino, non arrivarono le prime telefonate da Londra che annunciavano il blocco degli aeromobili Swissair da parte della direzione dell'aeroporto, che li avrebbe lasciati ripartire solo previo pagamento in contanti delle prestazioni fornite. E la stessa politica, complice l'annuncio del fallimento, fu adottata nelle ore successive da tutti gli altri aeroporti, Zurigo compreso. Il che costrinse i vertici di Swissair ad annunciare a metà giornata la sospensione immediata di tutti i voli.
«Ci ritrovammo di punto in bianco in una situazione tanto nuova quanto drammatica e con un primo grosso problema: aiutare il nostro personale bloccato negli aeroporti di tutto il mondo a rientrare in Svizzera. Una situazione che non sapevamo come affrontare. Del resto nessuna compagnia aerea al mondo era mai stata confrontata con un evento di queste dimensioni. Figuriamoci se lo avremmo potuto immaginare per Swissair, la "banca volante" (come veniva chiamata all'epoca), che alla fine degli anni Ottanta era ancora la compagnia aerea più ricca del mondo». «In soli dieci anni sono riusciti a distruggerla», annota con amarezza Urs Eicher.
Quale fu la reazione dei dipendenti che si trovavano in Svizzera?
Informati della sospensione di tutti i voli e pervasi da un sentimento d'incredulità, a centinaia si recarono spontaneamente all'aeroporto di Zurigo-Kloten per verificare la situazione con i loro occhi, per capire. Altri vennero da noi, al sindacato. Poi, la sera stessa si tenne una grande assemblea presso la pista del ghiaccio di Kloten con oltre settecento partecipanti. Fu una prima assoluta.
Cosa ricorda del clima di quell'assemblea?
Ricordo un clima di grande confusione. Ci ponevamo delle domande ("percepiremo ancora uno stipendio?", "saliremo ancora a bordo di un aereo?"), senza essere in grado di fornire alcuna risposta. Anche per noi dirigenti sindacali era impossibile capire come sarebbe evoluta la situazione. Quando arrivai a casa, verso mezzanotte, mi resi conto di non poter parlare del futuro con mia moglie e i miei figli allora adolescenti. Fu terribile. D'altra parte però, come sindacalista, dovevo trasmettere un certo ottimismo e motivare i colleghi. Insomma, dovevo sorridere esteriormente e piangere dentro.
Nei giorni successivi arrivarono però alcune certezze con l'annuncio della nascita della nuova compagnia...
Esatto. Ma tra le certezze c'era anche quella che un terzo di noi sarebbe stato licenziato a causa della riduzione della flotta. Il sindacato e il personale di Swissair dovettero così imparare nel breve volgere di pochi giorni a familiarizzare con una terminologia fino ad allora sconosciuta. Termini come "fallimento" "grounding" e "licenziamenti" entrarono di prepotenza nel nostro vocabolario. Fu uno choc, paragonabile a quello provocato dal disastro aereo di Halifax del 2 settembre 1998 (quando un Md-11 della compagnia partito da New York e diretto a Ginevra si inabissò nell'Oceano Atlantico con 229 persone, ndr). Anche allora fu necessario "adottare" un termine nuovo: "incidente". Per il personale di Swissair era infatti un evento inimmaginabile, al pari di quelli che si verificarono nell'autunno del 2001.
Lo era anche dalla prospettiva dei sindacati?
Certo. Tant'è che i sindacati erano totalmente impreparati ad affrontare una situazione di quel tipo. Basti pensare che nel luglio 2001, cioè tre mesi prima della bancarotta, sottoscrivemmo il miglior contratto collettivo di lavoro di tutti i tempi, con cui ottenemmo la riduzione da 58 a 57 anni dell'età di pensionamento e con rendite, finanziate in parte con le casse della compagnia, pari al 107 per cento dell'ultimo salario. E oltre a ciò: più vacanze, aumenti salariali e diversi altri miglioramenti delle condizioni di lavoro. Era insomma il paese delle meraviglie. Come si poteva immaginare che un partner contrattuale di questo tipo potesse avere i problemi che poi sono emersi? Oggi sono convinto che i manager già sapevano durante le trattative che quel Ccl non sarebbe mai stato onorato.
Ritiene che siano stati commessi errori da parte sindacale?
Come sindacati, sicuramente sbagliammo, negli ultimi anni prima del grounding, nel non verificare i dati economici del gruppo e nel riporre un'eccessiva fiducia nei manager e nel consiglio di amministrazione. Successivamente, in veste di presidente di Kapers, imparai a non più fidarmi di nessun manager e ad esigere di visionare tutto. Capii insomma l'utilità di una sana diffidenza.
I grossi cambiamenti nel settore dell'aviazione civile iniziarono però già negli anni Novanta con l'arrivo sul mercato delle compagnie low cost. Non era prevedibile che una compagnia come Swissair dovesse pagare un prezzo per questa evoluzione?
In effetti, segnali negativi erano già giunti a metà degli anni Novanta.  Il primo cambiamento significativo fu l'esternalizzazione di numerosi servizi: tecnica, catering, pulizia e altri. Un'operazione che ridusse la compagnia di bandiera a poca cosa (amministrazione, piloti e personale di cabina) e che uccise il celebre "spirito Swissair", che univa tutti i suoi dipendenti come fossero membri di una famiglia. Nei molti collaboratori che la subirono essa causò, oltre ad un danno economico (per esempio a causa della cancellazione di tutte le facilitazioni di cui godevano), sentimenti di esclusione e di disaffezione. Dunque, al momento del grounding lo "spirito Swissair" era già morto da tempo. Oggi sappiamo che anche il destino della compagnia stessa era ormai segnato: anche se non si fosse arrivati al grounding (evento che comunque si sarebbe dovuto e potuto evitare), non sarebbe sopravvissuta a lungo. Le condizioni per operare in Europa erano divenute proibitive in seguito alla mancata adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo. E la strategia per fronteggiare questo problema, quella di acquisire partecipazioni in compagnie estere, si rivelò un fallimento: si puntò su quelle sbagliate e si sottovalutarono le difficoltà di unire culture aziendali profondamente differenti.
Che tracce lasciò invece il disastro aereo di Halifax?
Per me fu l'inizio della fine. Dopo quell'incidente, Swissair cominciò a far notizia solo per fatti sgradevoli: perdite finanziarie, problemi con i concorrenti e con le compagnie acquisite, voci di ristrutturazioni, eccetera. Tutto questo suscitava un vago sospetto che qualcosa sarebbe potuto capitare, ma l'eccellente gestione dell'incidente aereo sia verso l'esterno sia verso l'interno dell'azienda, da parte dell'allora presidente della direzione Philippe Brugisser contribuì a mascherare lo stato delle cose. Al dirigente aziendale venne così accordata una fiducia tale da consentirgli di operare in piena autonomia e di far deragliare il treno. Una grossa responsabilità pesa sulle spalle dell'allora consiglio di amministrazione, che venne meno al suo dovere di vigilanza. Anzi, che si disinteressò totalmente. Un comportamento assolutamente condannabile per personaggi che rappresentavano la "crème de la crème" dell'economia svizzera e che come tali godevano di grande fiducia.
Il giorno dopo il grounding in una manifestazione sulla Piazza federale a Berna il personale di Swissair inneggiava a Mario Corti, successore di Philippe Brugisser. A torto?
Mario Corti proveniva da Nestlé e rappresentava per noi una grande speranza. Arrivò però tardi e probabilmente non era nemmeno la persona giusta, visto che era abituato a decidere di cosa fare dell'enorme denaro di una multinazionale e finiva in un'azienda che non aveva più soldi.
Che sentimenti prova nei confronti delle persone che condussero Swissair al fallimento?
La cosa che più mi fa rabbia è vedere come queste persone sappiano riciclarsi. Penso a uno come Peter Kurer, che dopo essere stato coinvolto in pieno come legale di Swissair nelle operazioni sbagliate di acquisizione di compagnie estere, nel 2008 finì alla guida del consiglio di amministrazione di Ubs. Il prezzo più alto, come sempre avviene, alla fine lo hanno pagato solo i lavoratori. Migliaia di lavoratori. A questo proposito ricordo che, oltre al licenziamento di 3.500 persone (tra piloti, assistenti di volo e personale di terra) per la fine del 2001, il fallimento di Swissair portò alla cancellazione nella sola regione di Zurigo di dieci-quindicimila posti di lavoro. E a livello mondiale gli impieghi soppressi superarono sicuramente quota 30 mila.
In che misura i licenziamenti portarono ad una perdita di competenze nella compagnia Swiss nata dalle ceneri di Swissair?
Il danno da questo punto di vista è stato enorme soprattutto nei settori dell'amministrazione, della vendita e del marketing. Nel giro di 24 ore si distrusse un patrimonio di competenze, si persero centinaia di ottimi collaboratori e si cancellarono tutti i canali di vendita su mercati importanti come quelli dell'India, della Tailandia o del Giappone.
Secondo la Segreteria di Stato dell'economia, la maggior parte del personale licenziato sarebbe riuscito a trovare nuovi impieghi. Lo può confermare?
Presso il personale di cabina e i piloti i licenziamenti furono effettuati secondo un criterio di anzianità: sono stati fatti partire i più giovani, cioè quelli che avevano più chance di essere collocati. Questa strategia ha funzionato molto bene per il personale di cabina. Un po' meno per i piloti.
E per coloro che rimasero nella nuova compagnia Swiss?
Sacrifici ne abbiamo dovuti sopportare anche noi. A partire da riduzioni salariali dell'ordine del 30 per cento, passando per un aumento del carico di lavoro fino alla perdita di un quarto della rendita pensionistica che ci sarebbe spettata
Dopo il grounding, lei divenne presidente del sindacato Kapers, carica che occuperà per otto anni. Una posizione ingrata in quella fase...
Non ero mai stato attivo nel sindacato e dal giorno alla notte mi ritrovai prima vicepresidente e poi presidente di Kapers. In piena tempesta. Il peso è stato a volte insopportabile. Ci sono stati frangenti in cui la responsabilità era tutta sulle spalle dei sindacati, da cui di fatto dipendevano le sorti della compagnia, che ci siamo impegnati prima a far nascere e poi a mantenere in vita. Sono stati anni molto difficili: fino al 2005 regnava l'incertezza più assoluta sul futuro della neonata Swiss, che accumulava pesanti perdite, mentre gli investitori si allontanavano e le istituzioni politiche pure. La sua sopravvivenza era costantemente in dubbio. Sono convinto che se non fosse intervenuta l'acquisizione da parte di Lufthansa, anche Swiss sarebbe finita in bancarotta.
Dopo che nel suo primo anno la compagnia aveva accumulato perdite per 900 milioni, i sindacati cominciarono a interessarsi dei dati economici dell'azienda: capimmo che il capitale iniziale di 2,5 miliardi, avanti di questo passo, si sarebbe dissolto in breve tempo. Discutemmo del problema con il numero uno della compagnia, l'ex uomo di Crossair André Dosé, che ci diede una risposta scioccante: "Abbiamo ricevuto i soldi per spenderli", ci disse. Di fronte alla prospettiva di un nuovo fallimento e la cancellazione di altre migliaia di posti di lavoro, iniziammo una raccolta di firme per sfiduciare Dosé. Dopo un paio di mesi il consiglio di amministrazione decise di allontanarlo.
Ma poi arrivò Christoph Franz e dovemmo ingoiare un'altra pillola amara: alla luce dei dati contabili dell'azienda che noi quadri sindacali conoscevamo ma su cui non potevamo informare i nostri associati, fummo costretti a fare nuove concessioni accettando una riduzione del personale al minimo indispensabile, oltre che un aumento dei tempi di lavoro per lo stesso salario. Subivamo pressioni enormi sia dal basso sia dall'alto. Pressioni che ti stringevano alla gola.
Oggi come oggi è ancora attrattiva Swiss come datore di lavoro?
L'aviazione civile è cambiata radicalmente. Quando io entrai in Swissair nel 1974 per un volo in Estremo Oriente stavamo in giro quasi due settimane: prestavamo servizio sulla rotta Zurigo-Atene, facevamo due giorni di libero, ripartivamo dunque alla volta di Bombay, dopo altri due giorni di pausa si volava a Tokio, dove si trascorrevano 48 ore prima di ricominciare lo stesso viaggio all'inverso. Erano tempi eccezionali, che mi hanno consentito di vistare tutti i continenti a parte l'Australia. Poi, col passare degli anni si sono moltiplicati i voli diretti (Bombay, San Paolo, Tokio, Bangkok), anche se fino all'inizio del declino i tempi di recupero tra un volo e l'altro erano ancora di quattro giorni. Oggi invece i voli sono diretti e giornalieri e i tempi di riposo per il personale sono ridotti all'osso: chi atterra oggi alle 17 a Hongkong riparte alle 23 del giorno successivo per un secondo volo di 13 ore, di regola su aerei esauriti in ogni ordine di posto. Turni simili erano impensabili in passato.
Tuttavia lavorare nel settore dell'aviazione può ancora essere interessante e eccitante, soprattutto per i giovani che non hanno termini di confronto. Sicuramente (e questo non vale solo per Swiss) non è più attrattivo dal punto di vista della carriera come lo era ai vecchi tempi. Tempi che in ogni caso non torneranno più. 

Pubblicato il 

23.09.11

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