Dopo Rema noi cosa faremo

La decisione, definita ancora preliminare, del Consiglio d’amministrazione della Posta svizzera, relativa all’adeguamento della logistica delle lettere a un futuro contesto di mercato e la sostituzione degli attuali 18 centri lettere con solo 3 centri – tutti concentrati sull’Altipiano svizzero – ha suscitato dure reazioni e interrogativi non solo tra l’opinione pubblica e i partner sociali, ma soprattutto tra le migliaia di collaboratrici e collaboratori della Posta. Il progetto Rema, acronimo di Reengineering Mailprocessing, toccherà quasi la metà dei 5633 posti di lavoro a tempo pieno, pari a circa 8 mila e 500 persone. In una parola 3 mila e 500 persone in tutta la Svizzera perderanno il posto di lavoro. In Ticino, entro la fine del 2008, verrà chiuso il centro lettere di Bellinzona. 267 impieghi saranno soppressi e 267 persone, molte a tempo parziale, dovranno essere ricollocate. «Non saranno effettuati licenziamenti», sostiene convinto il consigliere federale Moritz Leuenberger. Ma all’interno dell’azienda e fra la popolazione la paura di tagli draconiani è tangibile. Siamo andati a Bellinzona a tastare il polso ai dipendenti del centro lettere, che dopo 14 anni di onorato servizio e una presenza della Posta centenaria, sarà soppresso assieme ad altri 17 in tutta la Svizzera. Ci accoglie Camillo Gioli, responsabile del centro che ci ricorda che anche lui, assieme ai suoi collaboratori, rientra nel famigerato progetto Rema. Ci accompagna tra i tre piani su cui si sviluppa quello che fino a qualche mese fa era un modernissimo centro. Sofisticate macchine smistano la corrispondenza spedita o in partenza dal Ticino. «Trattiamo ogni giorno – sottolineo ogni giorno, 24 ore su 24, per 365 giorni l’anno – circa 800 mila invii. La maggior parte di questi, il 90 per cento circa, rimane in Ticino». Secondo la direzione generale la scelta di costruire 3 nuovi centri oltre San Gottardo è dettata dal fatto di concentrare la lavorazione delle lettere là dove vive la maggior parte della popolazione e dove, quindi, è “impostato” il maggior numero di invii. «A Bellinzona trattiamo il 5 per cento della corrispondenza totale – sottolinea Gioli – con performance di puntualità di consegne che superano il 97 per cento. Ciò vuol dire che più del 97 per cento della corrispondenza affrancata come posta A è consegnata entro il giorno successivo e che quasi la totalità di quella affrancata come posta B è consegnata entro tre giorni». «E questo – sottolinea con orgoglio – in tutta la Svizzera». Un servizio, quindi, eccellente e a prezzi contenuti. Un vero servizio pubblico. Con soli 90 centesimi si riesce a consegnare, entro il giorno successivo, una cartolina o una lettera in qualunque località svizzera – anche la più remota. In tempi di comunicazione elettronica, non sempre efficacissima, sembra un vero “miracolo”. Merito d’impiegati efficienti, motivati con un forte attaccamento all’azienda e senso del dovere. È così anche con la spada di Damocle che incombe sulla testa di molti? «I miei collaboratori del centro bellinzonese non hanno accolto benissimo Rema. Ho dovuto dare personalmente la notizia della chiusura di questo centro che, tra l’altro avevo appreso solo un’ora prima». «Ma nonostante ciò – ci dichiara Gioli – l’impegno a fare bene il proprio lavoro non è venuto meno». Un altro segno della professionalità dei dipendenti da cui la Posta si vuole forzatamente separare. Durante la nostra visita, abbiamo avuto l’occasione di avvicinare alcuni lavoratori a cui abbiamo chiesto come vedono il loro futuro in seno alla Posta e come hanno accolto la notizia della ristrutturazione. «Trovo il lavoro ancora interessante anche se la possibilità che il centro venga chiuso mi ha lasciato amareggiato» commenta Giovanni, 37 anni che è sposato e vive a Novaggio. Da 20 anni lavora in Posta. «Personalmente nutro ancora ottimismo. Come si è arrivati a questo progetto Rema, non è detto che non si possa tornare indietro, magari con un ridimensionamento del centro senza chiuderlo completamente e poi ho fatto l’abitudine anche ai cambiamenti. Ho lavorato a Biasca, Zurigo, Lugano e ora a Bellinzona, sempre all’interno della Posta. Il centro lettere funziona 24 ore su 24 e il pomeriggio è il momento di massima calma. Sono pochi gli impiegati di questo turno. Di notte il centro si anima e il ritmo di lavoro è elevato. Il ritmo e il volume di lavoro dipende anche dal periodo dell’anno. In novembre e dicembre il volume delle lettere e delle cartoline aumenta. Ma l’idea di far rendere la Posta come una qualunque azienda privata come è vista? «Se mi metto nei panni della direzione capisco. Se non si coprono i costi come si fa a pagare i dipendenti? Diventa ambiguo quando si parla di servizio pubblico e s’impone la redditività» conclude Giovanni. La Posta, fra il suo organico, ha anche numerosi posti di lavoro a tempo parziale occupati prevalentemente da mamme che riescono a conciliare famiglia e lavoro. Giusi è una di queste mamme e al riguardo del progetto Rema è realista. «Credo che abbiano già deciso e che questo centro verrà chiuso». La mobilitazione non serve a nulla, quindi? «Abbiamo imparato a non credere a Babbo Natale da un pezzo e con tutta la disoccupazione che c’è in giro c’è poco da stare allegri. Non credo che a noi possa andare diversamente e che troveremo una sistemazione facilmente». «Consideravo la Posta come un’istituzione, come la Chiesa – sottolinea Giusi. Quando ho incominciato a lavorare qui 7 anni fa credevo che fosse impossibile scalfirla». Ma la speranza non è completamente svanita. «In cuor mio spero, ma la ragione mi dice che ci sono poche speranze di conservare il posto di lavoro». È dello stesso tenore di Giusi il parere di Giuseppe, 44 anni. «Pur essendo ottimista di natura, credo che il centro verrà soppresso. Rimarrà solo una piccola piazza di scambio ma i posti di lavoro saranno solo il 10 per cento di quelli attuali. All’inizio è stato come prendere un pugno allo stomaco». Lei sarebbe disposto ad andare a lavorare a Langenthal o Friburgo? «Ho già lavorato alcuni anni, sempre presso la Posta, in Svizzera interna ed ero sul punto di rimanere lì. Doverci ritornare adesso non so se lo farei. A 44 anni sarebbe dura da digerire». Giuseppe dopo una formazione da disegnatore edile, è stato anche nelle guardie di fortificazione. Sono 20 anni che lavora in Posta. Dopo vent’anni sente la Posta come una famiglia? «La particolarità del lavoro a turni fa sì che anche al di fuori del lavoro ci si frequenti. C’è una certa amicizia. Questa decisione sconvolgerà i piani di molti. Penso a chi ha una famiglia, dei figli, un’ipoteca da pagare». Per Alfredo, 29 anni, il progetto Rema «è una porcheria. I grandi capi fanno quello che vogliono e noi subiamo le conseguenze. Non mi sarei mai aspettato un atteggiamento così dalla Posta». «Anche se – continua amareggiato Alfredo – c’era nell’aria già qualche anno fa, ma nessuno si aspettava tagli di questa misura. Sono già stato trasferito da Lugano l’anno scorso. Se prima facevo 30 chilometri al giorno, ora ne faccio 80. In più, sono diminuite anche le indennità di trasporto». Alfredo non è sposato. «Passa anche la voglia, visti i tempi che corrono». La rabbia di Alfredo è comprensibile. La precarietà non è una sensazione piacevole anche se sta diventando la costante nella vita di molti lavoratori. L’attuazione di Rema, comunque, avverrà tra 5-6 anni. Uno, volendo, può guardarsi in giro? «Secondo me – continua Alfredo – Rema entrerà in vigore prima di 5-6 anni. Guardarsi in giro va bene, ma la coda dei disoccupati è lunga. E poi a fare cosa? Lavoro in posta da 13 anni. Il lavoro mi piace e non vedo perché devo cambiarlo». Stesse preoccupazioni per Marco, 35 anni e padre di due figli. Da 13 anni lavora in Posta. «Io, personalmente, sono preoccupato per il futuro. L‘annuncio della soppressione di questo centro, per noi che non siamo abituati a questi tipi di tagli, è stato traumatico». Anche se non avverrà tra un mese ma tra qualche anno? «Avendo ancora trent’anni di lavoro davanti a me, sapere che non li farò in posta, mi pongo – da ormai un mese tutti i giorni – la domanda di sapere dove li farò. E la risposta non l‘ho ancora trovata e non credo che la troverò presto. Ricominciare un altro mestiere a 35-40 anni con una nuova riqualificazione non è facile. Eppoi non saprei neanche cosa fare». Si parla di concorrenza, di mercato. In teoria uno potrebbe andare a fare lo stesso lavoro in una società concorrente alla Posta? «Questo molto in teoria. In pratica non vedo soluzioni. Siamo in una regione “isolata” dal resto della Svizzera. Se lascia la Posta, perché dovrebbe impiantarsi una società concorrente?». L’ultima frase di Marco è emblematica. «Sì, magari ci sarà la riqualifica, e dopo?». Lo smembramento delle Ptt è stato l’inizio dell fine di Generoso Chiaradonna Dell‘assurdità del progetto Rema e delle conseguenze sociali della sua attuazione, abbiamo discusso con Werner Carobbio, presidente della sezione Ticino e Moesano dell’Unione sindacale svizzera ed ex Consigliere nazionale socialista che votò contro la trasformazione delle ex Regie federali (1995-1996). A quando risale la decisione di dividere le ex Ptt in due aziende distinte e separate, Swisscom e Posta? Erano gli anni 95-96 quando fu presentato il progetto di riforma delle Ptt. Un progetto che prevedeva lo scorporo dell’attività aziendale in Telecom prima, diventata successivamente Swisscom, e Posta. Swisscom si decise di trasformarla in società anonima di diritto privato con la maggioranza del capitale in mano al Consiglio federale. La presenza di privati nel capitale sociale è realtà tanto è vero che il 50 per cento delle azioni sono quotate in Borsa. Per la Posta si scelse una soluzione di diritto pubblico. È chiaro che questa separazione ha avuto come primo effetto che gli utili che venivano realizzati dal settore delle telecomunicazioni non venissero più utilizzati per coprire i deficit delle prestazioni base della Posta non redditizie. Si pensi alla distribuzione delle lettere e dei pacchi nelle zone periferiche. Quale fu la motivazione di questa separazione? Una delle ragioni invocate fu di evitare commistioni tra due servizi diversi e che non fosse giusto usare gli utili della Swisscom per coprire i deficit della Posta. Questo discorso poteva avere anche un fondamento però il problema diventava un altro: alla Posta è stato assegnato, per legge, un compito di garantire una parte del servizio di base, non tutto. Alcuni servizi sono stati aperti alla concorrenza (pacchi) e prossimamente cadrà anche il monopolio sulle lettere oltre i 100 grammi (manca il voto degli Stati, n.d.r.). La tesi che sostenevo, e sostengo tutt’ora, era: se alla Posta è stato affidato questo mandato pubblico bisogna – costi o non costi – che queste prestazioni vengano garantite e – al limite – coperte con aiuti finanziari dall‘ente pubblico. Del resto questo avviene già per le ferrovie (Ffs) dove tutta l‘infrastruttura è finanziata dalla Confederazione. Ciò purtroppo non è avvenuto e nel mandato è stata data la priorità al pareggio dei conti e meno al servizio pubblico. Nel 1995 come si schierarono i partiti? Ci fu il voto favorevole dei partiti borghesi ma anche quello di molti socialisti. Anche fra i socialisti prevalse l’idea che, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, bisognava liberalizzare. Infatti, il tentativo di lanciare un referendum contro la trasformazione delle regie federali (Ptt), non andò in porto. I deputati ticinesi come votarono? I rappresentanti borghesi si pronunciarono per la separazione e il vincolo dell’autofinanziamento per la Posta. Anche recentemente, poco più di un mese fa, per l’abolizione del monopolio sulle lettere al di sopra dei 100 grammi, tranne i deputati socialisti, gli altri si sono pronunciati per la liberalizzazione. Sono scelte contraddittorie se si pensa che adesso sembrano tutti preoccuparsi degli effetti del progetto Rema. Ma tale progetto è figlio della filosofia della liberalizzazione che impone alla Posta, pur essendo un soggetto pubblico, di agire come un’azienda privata: deve garantire il servizio pubblico senza generare costi allo Stato. Ma la legge può essere cambiata… Certo che può essere cambiata. Il Consiglio federale ha già uno strumento per correggere le storture: le direttive che ogni 4 anni vengono emanate per le ex aziende federali. In queste direttive se ne può includere una che freni lo smantellamento dei centri lettere. La tesi di Leuenberger che nessuno verrà licenziato non sta in piedi. È vero che si attueranno prepensionamenti e rotazione di personale all’interno dell’azienda ma i posti di lavoro scompariranno comunque. Ci saranno, in tutta la Svizzera, circa 3 mila occasioni di lavoro in meno. Per questo motivo sostengo che il progetto Rema va ritirato e non ridiscusso. Se è vero che il 90 per cento delle lettere trattate a Bellinzona riguardano il Ticino, non si capisce perché gli verrà fatto fare il giro della Svizzera per riconsegnarle in Ticino. È un’assurdità dei manager che sulla carta fanno funzionare tutto egregiamente e nella pratica ne paghiamo le conseguenze.

Pubblicato il

22.11.2002 02:30
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