Sindacato

"Donne, prendete coscienza: il lavoro è diritto, non regalo"

Francesca Scalise è una delle sindacaliste di Unia che sta accompagnando le lavoratrici allo sciopero femminista: "Dalla solidarietà nasce la mobilitazione"

Francesca è una sindacalista preparata e combattente, con i suoi occhi grandi osserva la realtà del lavoro e lo sguardo dice tutto: c’è amarezza, certo, e come potrebbe essere diversamente, ma anche la dolcezza di chi sa che basta trovare le parole giuste e il mondo si può capovolgere. E lei le parole sa usarle e maneggiarle e con queste, che sono poi il riflesso di pensieri fondanti, sta accompagnando le lavoratrici verso lo sciopero del 14 giugno. «Prendete consapevolezza che la vostra storia è quella di tutte: dalla solidarietà nasce la mobilitazione».


La differenza salariale fra generi è del 20%, lo sapete già.

Le donne guadagnano meno sgobbano globalmente più degli uomini: poco lavoro remunerato e tanta fatica gratis.

Le donne lavorano 50 ore a settimana e 30 non sono pagate. Se guardiamo al mondo maschile, il rapporto è inverso: 18 ore non pagate, 33 pagate. E strano mica lo è: le regole le hanno stabilite gli uomini a loro immagine e sembianza, o piccoli padri eterni!, in modo che il sistema funzionasse a loro vantaggio.

I numeri fan impressione: il valore del lavoro non retribuito delle donne ammonta a 434 miliardi di franchi, un importo superiore a tutte le spese della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni messi insieme. Oh, quanti soldi vi portano via, ma non vi indignate?
«Basterebbero questi dati per mobilitare le donne, perché siano protagoniste di questa lotta per l’uguaglianza, ma invece non succede da decenni. Perché non avviene? È questa la domanda centrale, al di là dei nobilissimi studi quantitativi, che guardano all’altra come oggetto da analizzare per assumere il sapere, che è il potere di rappresentarla e controllarla. L’organizzazione delle lavoratrici deve partire dalla soggettività, e non solo dall’oggettività di una categoria cui attaccare numeri e statistiche» spiega Francesca Scalise, funzionaria del settore vendita e terziario di Unia Ticino e Moesa.


La sindacalista in vista dello sciopero femminista del 14 giugno è impegnata quotidianamente nel raggiungere le lavoratrici e sensibilizzarle in vista dalla grande manifestazione.

«Occorre acquisire maggiore consapevolezza. Le donne sono state abituate a credere che il lavoro fosse un dono, una concessione, ma non un diritto. Allora se è un regalo che mi viene offerto, sono anche disposta a farmi sfruttare per questa concessione e a, paradossalmente, difendere lo sfruttamento perché... è pur sempre lavoro. Dobbiamo partire da queste narrazioni per liberare le donne dall’oppressione secolare» continua Scalise.
Per la funzionaria di Unia il sindacato deve sapersi fare interprete delle storie femminili, in modo che da individuali assumano carattere universale, andando a toccare il grande potenziale di sentire, vissuti, pensieri, esperienze che si attivano con l’autonarrazione: «Ogni qualvolta una donna parte da sé in relazione ad altre donne è già politica». Francesca cita la scrittrice Carla Lonzi, femminista teorica dell’autocoscienza: «Questa riflessione la trovo molto profonda. Se una donna parte dalla sua vicenda professionale in relazione ad altre donne sta facendo in questo caso politica sindacale. E si ritorna alla questione per me centrale all’interno di un sindacato: la relazione che permetta all’una di vedersi negli occhi dell’altra. È in questo momento che nasce la solidarietà e si può creare la mobilitazione».


Allo sciopero, se lo si vuole pensare in termini di riuscita dell’azione, occorre arrivare «costruendo con le lavoratrici relazioni che creino solidarietà (la tua storia è la mia), da cui poi nasce la cooperazione, creando le condizioni perché possa avvenire la trasformazione. In questo senso, è necessario offrire degli spazi di scambio, dove le lavoratrici diventino soggetti, parlando della propria storia, delle violenze, delle ingiustizie, ma anche delle loro competenze».


La precarietà vissuta dalle donne, appese a un filo da pianificazioni che le logorano e non garantiscono loro la libertà data dall’indipendenza economica, non permette loro di percepire appieno la situazione che vivono. La parola liberata permette, al contrario, di vedere chiara la loro condizione, che è quella di tutte.

E, allora, la mobilitazione diventa una necessità.

Pubblicato il

07.04.2023 17:35
Raffaella Brignoni
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