Donne, femmine, femministe

Donne e sport: il terreno è cosparso di mine anti-uomo: uomo nel senso della specie umana divisa (suppergiù) in maschi e femmine, o uomo nel senso del maschio? Se, poniamo il caso, un telecronista è maschio, vede la donna come atleta impegnata in un gesto tecnico-agonistico o la vede con qualche «arrière pensée» erotico? Ohibò: non è che le donne facciano il possibile per richiamare l'attenzione solo sul gesto atletico, anzi: certi «body» ridotti creano turbamenti ai seminaristi che guardano la Tv e mettono in apprensione le autorità del Qatar, le più «liberal» del mondo islamico: le loro donne non possono fare atletica ma in occasione della finale del «Gran Prix» di Doha del 2000, hanno accettato anche le gare femminili; a una condizione: che i «body» fossero sostituiti da mutandoni sino alle ginocchia. Ciò che è stato fatto: per i dollari in palio, e in barba alle proprie convinzioni. Ora però che accade? Che le donne «guardabili» da un punto di vista dell'erotismo maschile (anche femminile?) sono sempre meno: le bellissime sono confinate nel salto in alto, nel triplo e in poche altre discipline. Salvo le solite eccezioni. Stiamo assistendo a un'inquietante (da un punto di vista maschile…) trasformazione. Anche senza ricordare la bulgara Dimitrova che di femminile non ha più nulla, aumentando le donne con caratteristiche esterne sempre più simili al maschio: provate a mettere sul corpo di Marion Jones, di Steffi Graf o di Maria Mutola un viso maschile. Per il resto: nessun accenno di seno; zigomi e mascella marcati; muscolatura superiore alla maggioranza della popolazione maschile; prestazioni atletiche superiori a molti maschi di livello regionale; testosterone e ormone della crescita producono un corpo dalle sembianze maschili, viso (in parte) escluso. Anche l'azione biomeccanica, di conseguenza, si modifica, e per l'appunto, non è più distinguibile da quella di un uomo. Nel 1928, le donne furono ammesse agli 800 metri. Poco allenate, arrivarono stravolte al traguardo. «Uno spettacolo indegno», sentenziarono i padri del movimento olimpico (De Coubertin in testa). E trovarono subito medici e scienziati pronti a dichiarare che la distanza massima per una donna era di 400 metri, meglio ancora 200 metri. Gli 800 furono tolti sino al 1956. Prima dunque la valutazione non fu «scientifica» ma «maschilista». E ora? Ora che i muscoli di Steffi e Maria fanno invidia a molti maschi? Ora se qualche telecronista richiama l'attenzione su questi dati di fatto, riceve proteste da parte delle donne: in qualche caso garbate e intelligenti, in altri no. Rispuntano eterni malintesi, sospetti e incomprensioni. Un uomo deve commentare solo la prestazione atletica e non il fisico… Ohiboroboh!…

Pubblicato il

14.09.2001 13:00
Libano Zanolari